A che cosa serve la buona educazione

Qualcuno la paragona al Codice Stradale, senza il quale non si potrebbe circolare in sicurezza.

In effetti, rispettare regole di buona creanza serve per vivere in pace e armonia con il prossimo.

Ma non solo: protegge dall’aggressività altrui, limita l’egoismo personale e fa entrare più facilmente in relazione con tutti!

1. Dal latino

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Salutare quando si incontra qualcuno, dire grazie quando si riceve qualcosa, non parlare con la bocca piena, arrivare puntuali all’appuntamento: sono alcune regole spicciole della buona educazione, sempre più trascurate nel mondo d’oggi.

Eppure, la buona educazione è alla base della convivenza civile nella nostra società. Potremmo paragonarla al Codice Stradale, senza il quale sulle strade regnerebbe il caos.

Al volante come nella vita, un comportamento corretto preserva da scontri e incidenti, assicurando “precedenze” e rispetto delle regole.

Il termine educazione deriva dal latino educatio e nel suo significato originale racchiude più aspetti: la formazione culturale dell’individuo, il contesto storico-sociale della sua crescita, lo sviluppo della sua personalità e il suo comportamento nella società.

Si tratta quindi di un processo interdisciplinare, volto a inserire la persona nella famiglia, nella scuola, nel mondo del lavoro e, in generale, in tutti gli ambiti sociali.

È curioso osservare che dal 1929 al 1944 l’attuale Ministero della Pubblica Istruzione si chiamava Ministero della Educazione Nazionale. Lo stesso concetto si ritrova nell’accezione inglese education, che significa sia “educazione”, sia “insegnamento-istruzione”.

 

Per essere educati in rete bisogna conoscere la netiquette
La parola, composta dall’unione dell’inglese network (rete) e del francese étiquette (etichetta), si riferisce alle regole della buona educazione online.
Sui forum e nelle discussioni è indispensabile esprimere la propria opinione con correttezza e rispettare quella degli altri. Si eviterà di scrivere in caratteri maiuscoli, poiché sul Web significa urlare.
Inoltre, dato che lo scritto non permette di cogliere l’espressione e il tono della voce, per evitare di essere travisati è bene ricorrere alle emoticon, pur senza eccedere.
Va sempre rispettata la privacy altrui: prima di pubblicare foto che ritraggono altri è d’obbligo chiedere il consenso.

 

Il bon ton? S’impara anche con le app!
- Galateo Plus 4 +, progettata per iPad, consiglia il comportamento corretto in tutte le situazioni (foto sotto a sinistra).
- Galateo Pocket, su Google Play, è un utile compendio di suggerimenti di bon ton tratti dalla Rete.
- iEtiquette, aggiornata da Apple, è un’app intuitiva suddivisa in 5 sezioni: tavola, invitati, matrimonio, condivisione di spazi e vita sociale (foto sotto a destra).

2. Il galateo

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La buona educazione è definita anche buona creanza, buona condotta, buon costume, bon ton, etichetta o galateo, dal nome del celeberrimo trattato di Monsignor Giovanni Della Casa scritto a metà del XVI secolo e a tutt’oggi considerato il codice di comportamento per eccellenza.

Il titolo originale dell’opera è lunghissimo: Galateo overo de’ costumi, Trattato di messer Giovanni della Casa, nel quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovanetto, si ragiona de modi, che si debbono o tenere, o schifare nella comune conversatione, cognominato Galatheo overo de costumi.

Il trattato, strutturato come un dialogo immaginario di natura platonica fra un anziano precettore e il suo giovane allievo, prende nome da Galeazzo (in latino, Galatheus) Florimonte, vescovo di Sessa Aurunca (Caserta), che aveva dato a Della Casa l’idea di scrivere il saggio.

Incentrato sul buon costume, il Galateo è suddiviso in 30 capitoli, ciascuno dei quali dedicato a un ambito diverso: buoni costumi, frasario, modo di vestire, comportamenti a tavola, fino al portamento e al modo di camminare.

Condanna, fra l’altro, i vizi, l’eccesso nel dare buoni consigli, le bestemmie, le parole sconce o dal doppio senso e l’adulazione. A dispetto dei circa 470 anni intercorsi dalla sua uscita, è più che mai attuale in pressoché tutte le occasioni sociali.

COVID permettendo, si parte dalla stretta di mano, che dev’essere salda ma né troppo vigorosa né troppo debole. L’usanza, già citata nell’Iliade di Omero 2700 anni fa, nacque perché si evitasse di vedere in una persona nuova un potenziale nemico.

Due must in compagnia sono lasciar parlare gli altri senza interromperli e conversare su temi graditi a tutti, cambiando discorso se ci si accorge del contrario.

3. A che cosa serve?

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Al di là delle buone maniere, la buona educazione ha anche altre finalità che a prima vista potrebbero non venire individuate o essere sottovalutate.

La buona educazione è un passaporto sociale che ci permette di entrare in relazione con tutti, compresi gli sconosciuti. Infatti, un “galateo” valido e codificato nel contesto di appartenenza agevola il modo di incontrarsi e di mettersi in relazione con il prossimo e costituisce la base per assumere sempre i comportamenti corretti e non essere fraintesi o giudicati fuori luogo.

Non solo: la buona educazione è anche uno scudo all’aggressività degli altri poiché ha l’effetto di depotenziarla.

Se dinanzi a una persona che diventa aggressiva mantengo dei toni pacati ed educati, smorzo la sua aggressività ed evito che la situazione degeneri, come accade, ad esempio, nelle risse e negli accoltellamenti fra automobilisti, spesso innescati da un insulto o da un gesto volgare.

Senza contare che la buona educazione permette di contenere il nostro egoismo a favore della socialità. Come quando cediamo il posto a un anziano sul tram anziché rimanere comodamente seduti o sacrifichiamo qualche minuto del nostro tempo in coda alla cassa del supermercato per lasciar passare chi deve comprare solo un articolo.

C’è in gioco molto di più di quello che sembra. La buona educazione può essere considerata un “collante sociale” perché assicura uniformità di valori sulla buona condotta, cioè un codice di riferimento generale accessibile a tutti che permette di andare d’accordo.

Infine, contribuisce a valorizzare se stessi e a costruirsi una buona reputazione, in quanto genera negli altri l’immagine di una persona affidabile, seria e degna di stima.

4. Italiani maleducati

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Secondo un’indagine di Skyscanner, sito leader in Europa per la comparazione dei voli, gli italiani rientrano nella Top Ten dei popoli più maleducati del mondo.

La medaglia d’oro spetta ai francesi, la piazza d’onore dei russi, mentre noi occupiamo l’ottavo posto della classifica a pari merito con i polacchi.

Né si può sperare nelle generazioni future, perlomeno stando a uno studio condotto dall’Associazione Donne e qualità della vita su un campione di 500 albergatori europei.

Il 66 per cento degli intervistati considera i bambini italiani i più maleducati, viziati e capricciosi fra i coetanei europei, lamentandosi, in particolare, della loro vivacità esagerata, di capricci e schiamazzi, oggetti rotti e corse fra i tavoli delle sale da pranzo. I più educati sono risultati i bambini svedesi.

Sulla buona educazione è intervenuto Papa Francesco, che partendo dal vivere in pace in famiglia, ha riproposto tre parole trascurate: permesso, grazie e scusa. La prima per non essere invadenti, la seconda per aiutarci reciprocamente e la terza per evitare “le guerre fredde del giorno dopo”.

La mancanza di queste tre parole apre delle crepe, che possono diventare “fossati profondi”. In famiglia come nella società.





5. Occhio ai gesti: in altri Paesi il loro significato cambia

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Prima di recarsi all’estero, è bene informarsi sull’etichetta del luogo. In Giappone è tabù soffiarsi il naso in pubblico, poiché l’azione è considerata un gesto intimo sconveniente come una flatulenza.

Nel Paese del Sol Levante, mai porgere un biglietto da visita con una sola mano: il biglietto, alla pari degli oggetti importanti, va sempre dato e preso con due mani.

E mai dire “cin cin” per brindare, poiché l’accezione, in giapponese, indica l’organo sessuale maschile.

In Cina è offensivo mangiare tutto quello che c’è nel piatto, poiché così facendo si sottintende che la razione servita era scarsa e che si ha ancora fame. È quindi opportuno avanzare qualche chicco di riso per lasciare intendere che il pasto era abbondante.

Nei Paesi musulmani, non usate mai la mano mano sinistra, riservata ai compiti impuri (come lavarsi le parti intime) per mangiare.

In India e nei Paesi buddisti accarezzare un bambino sulla testa non è considerato un gesto affettuoso: è la sede del 7° Chakra, il Chakra Sahasrara o “della Corona”, centro energetico connesso all’infinito e al divino.

Il segno dell’OK, con il pollice e l’indice congiunti a formare una ‘O’: che non vi venga in mente di farlo in Brasile, dove si riferisce volgarmente all’ano e ha la valenza di un pesante insulto.

Idem per il pollice alzato, sinonimo di positività in Occidente ma esecrabile in Iran, in quanto corrisponde al nostro dito medio all’indirizzo dell’interlocutore.

Lo stesso vale, in Gran Bretagna e in Australia, per l’indice e il medio a “V” in segno di vittoria: non usatelo se volete ordinare due birre, perché è un’offesa triviale. Da evitare, con gli asiatici, anche il gesto scaramantico con cui scongiuriamo la malasorte incrociando il medio sull’indice, considerato un gesto osceno.








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