E se Atlantide non fosse solo una1-800x400

E se Atlantide non fosse solo una?

Atlantide è un’isola leggendaria, una terra meravigliosa. L’ha raccontata Platone nel quarto secolo avanti Cristo.

Atlantide, il mitico continente inghiottito dalle acque: solo una leggenda, una metafora letteraria o qualcosa di più?

Per dare risposta a queste domande, studiosi e appassionati di tutto il mondo, da secoli, danno la caccia alla città oltre le Colonne d’Ercole. Esistono numerose teorie che identificano Atlantide in molti luoghi. Alcuni vicino a noi, altri molto lontani.

Forse la verità sta nel mezzo. Forse non è solo uno il continente perduto. Forse l’ottica con la quale gli antichi vedevano la comparsa e la sparizione di un’isola era diversa da quella che adottiamo oggi. I loro orizzonti erano più piccoli e il mondo finiva dove finiva lo sguardo dell’uomo.

Quante isole, quante terre sono emerse e scomparse nei millenni? Capire cos’è stato scoperto sinora è il modo giusto di approcciare la storia del continente perduto, una delle più affascinanti mai raccontate.

C’è un elemento che accomuna gli studiosi impegnati nella ricerca di Atlantide: tutti, ovunque abbiano scelto di collocare la città perduta, non possono prescindere da Platone. Ciò che noi conosciamo di questo mito, o presunta realtà, è stato scritto nel IV secolo avanti Cristo.

Cosa esattamente ci ha lasciato detto Platone di Atlantide? Nei suoi due dialoghi – Timeo e Crizia – il filosofo greco ci dà numerose informazioni storiche, geografiche e architettoniche sul mito. E non lo tratta da leggenda, bensì da realtà.

Ci dice che si estendeva al di là delle Colonne di Ercole, a ovest. Che aveva una forma circolare del diametro di circa 18 chilometri. Che, al centro, c’erano una collina, fortificazioni concentriche di terra e di mare, e una grande quantità di acqua e di metalli preziosi.

Che era ricca di minerali, vegetali e animali e che questo ha contribuito a rendere il popolo che la abitava potente e rispettato. C’erano porti interni ed esterni, e un grande canale collegava il mare alla parte centrale del territorio.

Nell’acropoli si ergeva un maestoso tempio dedicato a Poseidone. Per secoli gli abitanti sono stati virtuosi, ma poi sono decaduti moralmente. La punizione è stata un terribile cataclisma che ha distrutto quasi tutto ciò che avevano creato. È stato quel giorno che Atlantide è scomparsa.

I dettagli descritti dal filosofo greco sono ancora numerosi. Ma chi ha raccontato tutto questo a Platone? Come ogni storico, cita la fonte ufficiale del suo racconto: è il giurista e poeta ateniese Solone, il quale l’avrebbe a sua volta appresa in seguito a un viaggio fatto in Egitto più di un secolo e mezzo prima.

Abbiamo, quindi, la fonte, Platone, e alcuni indizi. E abbiamo una buona descrizione di ciò che dobbiamo trovare. Per lo storico Joachim Ristieg, “quella di Atlantide è ancora oggi la catastrofe più terribile che sia mai stata raccontata in varie lingue e in paesi diversi”.

La storia del cataclisma è arrivata anche in Egitto: “Platone l’ha sentita e l’ha riportata. Ma se ne parla anche nei miti del nord Europa e nelle leggende locali dell’America centrale e dell’America del nord e del sud”.

Una ricerca che dura da secoli e nella quale si sono cimentate molte illustri personalità.

 

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1. Quando la scienza scopre il mito

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L’oggetto della ricerca è una città che è stata abitata dalla “perfezione”.

Ognuno ha giocato la sua partita, ognuno ha indicato il luogo che un tempo potrebbe aver ospitato la patria dei padri.

Sono stati scelti i più diversi angoli del pianeta e anche oltre. Fino a quando i numerosi ricercatori contemporanei non hanno deciso di riunirsi per confrontarsi e trovare una sola risposta alla domanda che da secoli accende l’immaginario collettivo: “Dov’è Atlantide?”. Il luogo teatro di questo confronto è l’isola greca di Santorini, nell’Egeo.

“In questi anni specialisti di diverse discipline - filologia, storia, archeologia, geologia, geofisica e persino informatica - hanno partecipato a numerosi convegni nel tentativo di comprendere ciò che Platone scrisse nei suoi dialoghi, Timeo e il Crizia nel IV secolo avanti Cristo”, spiega il geofisico Stavros Papamarinopulos.

“È un argomento che finora è stato escluso dalla sfera dell’indagine scientifica. Molti credono che Platone abbia creato il mito di Atlantide per spiegare concetti morali o esporre riflessioni filosofiche ai suoi contemporanei, ai giovani di Atene e di altre città greche”.

Santorini non è una sede scelta a caso per discutere del continente perduto. L’isola greca, la più meridionale dell’arcipelago delle Cicladi, è per gli studiosi uno dei luoghi in cui potrebbe essere sorta la leggendaria Atlantide.

La civiltà che viene descritta da Platone, che il filosofo greco chiama civiltà di Atlantide, ha molti elementi di coincidenza con una civiltà del Bronzo, in particolare quella minoica.

Sappiamo che un grande archeologo, a Santorini, ha scoperto una porzione di una Pompei sepolta del II millennio avanti Cristo, una città della civiltà minoica perfettamente conservata che somiglia moltissimo alle evocazioni mitiche platoniche.

La forma circolare dell’isola, l’eruzione vulcanica del 1627 avanti Cristo che ha provocato la quasi totale devastazione del territorio sommerso dal mare, le rocce bianche, scure e rosse che sarebbero state estratte dalle sue cave per costruire i palazzi della grande città.

E, soprattutto, la scoperta nel 1967 del sito archeologico di Akrotiri, una Pompei greca quasi intatta e coperta di cenere. Queste le più importanti coincidenze tra il racconto platonico e Santorini. L’isola greca è, quindi, una delle ipotesi più accreditate.

Nella foto di sotto, Santorini. L’isola delle Cicladi potrebbe essere il luogo abitato dagli atlantidei.

 

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2. Vicinissima e non affondata

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  • Vicina, anzi vicinissima!
    Oltre all’ipotesi Santorini, altre due strade, in particolare, sembrano avere basi solide.
    Una di questa ci porta su un’isola che forse qualcuno di noi già conosce molto bene: la Sardegna.
    La chiave di volta di questa teoria è tutta nel definire l’esatta collocazione delle Colonne d’Ercole, limite oltre il quale, a ovest, sarebbe da collocarsi Atlantide.
    Oggi le identifichiamo con lo Stretto di Gibilterra, il canale che mette in comunicazione il Mediterraneo con l’ Oceano Atlantico.
    Una tale identificazione corrisponde con la nostra visione, ma questo non significa che fosse la stessa di quella di Platone e dei suoi contemporanei. 3.500 anni fa il Mediterraneo era diviso in due aree di influenza ben precise.
    A oriente, tra la Sicilia e la Turchia, dominavano i greci. Mentre a ovest della Sicilia fino alle coste spagnole regnavano i Fenici. Potrebbe essere, quindi, possibile che le Colonne d’Ercole fossero un confine geopolitico tracciato dai fenici per impedire ai greci di espandersi verso Occidente.
    E che, anche per questo, Platone, un greco, desse loro tanta importanza. Di Atlantide la Sardegna avrebbe il misterioso popolo scomparso: è la civiltà nuragica che ha disseminato l’isola di numerose torri circolari erette con enormi blocchi di pietra.
    Avrebbe l’abbondanza di metalli e di giacimenti minerali, e sappiamo quanto i popoli nuragici fossero abili nell’estrazione e lavorazione.
    Ma perché la Sardegna possa essere identificata con Atlantide mancherebbe un indizio imprescindibile: la distruzione, che secondo il racconto platonico, si è abbattuta sull’isola per l’ira degli dèi verso il progressivo decadimento dei costumi e dell’animo.
    Tra il 1949 e il 1956 l’archeologo sardo Giovanni Lilliu ha portato alla luce nei territori di Barumini quello che è considerato il più importante villaggio nuragico di tutta la Sardegna, Su Nuraxi.
    La punta era visibile, ma tutto il complesso architettonico e il villaggio circostante, risalenti probabilmente al XII secolo avanti Cristo erano ricoperti da una montagna di terra e fango. Perché?
    È possibile che in un’epoca antica un impetuoso fiume di fango abbia investito gran parte del territorio? Alcuni cumuli di fango, una volta scavati, hanno restituito talmente tanta roba da riempire tre piani di un museo.
    Questa roba nessuno se la dimentica a casa se è andato via con calma. Come mai è sigillata là sotto?”. Tutto questo fa pensare a una catastrofe improvvisa e violenta.
    Ma c’è ancora un problema da affrontare se vogliamo procedere sulla strada dell’identificazione tra Atlantide e la Sardegna. Secondo Platone la punizione divina si sarebbe abbattuta novemila anni prima rispetto a quando il filosofo ha scritto i suoi dialoghi, cioè intorno al 9500 avanti Cristo.
    La civiltà nuragica si è sviluppata, invece, molto più tardi, a partire dal 1700 avanti Cristo e ha conosciuto un rapido declino intorno al 1100 avanti Cristo, sul finire dell’età del Bronzo.
    Chi riporta a Solone, la fonte di Platone, le informazione su Atlantide è un egizio, e gli egizi hanno iniziato a calcolare il tempo, basandosi sui cicli lunari.
    Da una luna piena a un’altra, creando cicli lunari della durata di 29,5 giorni ciascuno. I novemila anni di cui parla Platone potrebbero, quindi, essere stati originariamente novemila cicli di tempo, quindi 727,4 anni solari.
    Se invece di novemila anni, consideriamo novemila mesi, finiamo esattamente nel periodo del XII secolo che tutta l’archeologia chiama la dark age, l’età buia.
    Dobbiamo, pertanto, retrodatare la distruzione di Atlantide di 727 anni dal momento in cui è avvenuto l’incontro tra Solone e il sacerdote egizio che per primo gli ha narrato la storia, cosa che presumibilmente è avvenuta nel 570 avanti Cristo.
    Se così fosse, la distruzione di Atlantide sarebbe avvenuta nel 1297 avanti Cristo. Staremmo, quindi, parlando di 3.300 anni fa, e non di 11.500 come finora si è ritenuto.
    Questo è uno dei punti cruciali di tutta la vicenda. Senza l’interpretazione esatta del testo platonico non è possibile ritrovare Atlantide.
    Secondo Stavros Papamarinopulos “ci vorranno alcuni anni. Non è un problema che si possa risolvere dall’oggi al domani, come a Hollywood. Si arriverà alla verità solo attraverso lo scambio di idee e di opinioni, e con il coinvolgimento di tutte le discipline scientifiche, quelle teoretiche speculative e naturali.”

 

  • Coperta, non affondata
    Uno dei problemi che in passato hanno maggiormente minato il successo della ricerca, dunque, è stato che la maggior parte degli studiosi non leggeva Platone nella lingua originale, ma in traduzioni spesso inesatte.
    “Prima o poi l’enigma sarà ricondotto in ambito scientifico e potrà essere sottoposto a verifica”, sottolinea Papamarinopulos.
    È il motivo che spinge, ancora oggi, studiosi di varie materie a organizzare convegni e seminari sul mito platonico.
    George Sarantitis è un importante studioso di storia antica greca: “Le parti che riguardano una perfetta traduzione del mito di Atlantide hanno richiesto circa quattromila ore di lavoro in collaborazione con filologi dell’università di Atene. I risultati sono stati molto significativi. Faccio un esempio: il mito dice che Atlantide è affondata nell’oceano. Ebbene, per prima cosa non esiste alcun oceano. Il mito parla di Pelagos, o di Pondos, questi due tipi di mari sono completamente diversi dall’oceano, e Platone sapeva bene cosa fosse l’oceano”. Sarantitis, dunque, ha realizzato un’operazione incisiva nel tradurre Platone eliminando i numerosi errori che si erano radicati nel corso dei secoli.
    “Il secondo elemento importante emerso – spiega – è che non esiste un solo riferimento al fatto che Atlantide sia affondata. I testi non lo dicono mai. La colpa era di una cattiva traduzione, probabilmente del secolo scorso, che aveva interpretato una determinata parola come ‘affondata’. Ebbene, quel termine non significa affondata ma coperta”.
    Ma se Atlantide a un certo punto della sua storia è stata distrutta, i suoi abitanti superstiti dove sono andati? Proviamo a ripartire dalla conclusione della storia.
    Cioè andiamo a cercare in altri popoli tracce di uomini che, arrivati da lontano, hanno portato una cultura e una civiltà estremamente evoluta.
    Nella foto sotto, Su Nuraxi. Una veduta dell’area archeologica nuragica, in Sardegna.

 

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3. E se fosse a nord?

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Se torniamo indietro nei secoli fno al momento magico in cui le civiltà stavano forendo e con loro i primi miti, ritroviamo molte incredibili coincidenze che accomunano popoli a noi noti.

Ovunque vi siano opere ciclopiche, queste vengono accostate a uomini dalla pelle molto chiara, alle volte bianca come la neve, alti e dalle lunghe barbe.

In grado di spostare e modellare la roccia grazie a suoni melodiosi. Uomini capaci di misurare il tempo, guardando le stelle. Dispensatori di saggezza e di progresso.

Questi uomini sarebbero giunti da un’isola lontana, situata alla confluenza degli oceani, circondata da fondali tanto fangosi che i naviganti poco esperti non potevano avvicinarsi.

Un’isola al centro della quale vi era una città costruita a cerchi concentrici sulla cima di un monte, circondata da mura ricoperte di oro, argento e ossidiana. Un’isola bianca di nome Atala, o Aztlan.

La somiglianza con la descrizione Platonica di Atlantide e l’assonanza tra i diversi nomi, non possono non farci credere che siamo davanti a miti con una stessa matrice.

Le leggende convergono anche su un altro punto, un terribile cataclisma che si è abbattuto per ben tre volte su questa isola persa nel tempo e suoi abitanti, sollevando mura d’acqua che hanno distrutto completamente la patria degli uomini dalla pelle bianca.

Ma qual era la misteriosa isola distrutta dove il giorno si confondeva con la notte, prima patria di questo popolo antichissimo che sembra sconvolgere l’esistenza delle prime civiltà conosciute?

Per l’ingegnere Marco Bulloni, “questo mito di Atlantide potrebbe essere nato a nord”. C’è un’isola a soli 150 chilometri dal circolo polare, in cui durante l’estate il sole non tramonta mai sopra l’orizzonte e gira in senso orario, mentre una volta ogni 18 anni e mezzo, la luna gira in senso antiorario sopra l’orizzonte.

Questi due movimenti devono aver suggerito che quest’isola fosse sacra proprio per la sua forma e la sua natura circolare. L’arcipelago delle Solovetsky, chiamato anche Solovki, è in Russia.

È formato da sei grandi isole e da una settantina di terre minori, per una superficie complessiva di circa 320 chilometri quadrati. L’isola maggiore, la Grande Solovetsky, occupa l’80 per cento di questo territorio.

È su di essa che si è focalizzata l’attenzione dell’ingegnere Bulloni. La Grande Solovetsky è riuscita più volte, nonostante la sua posizione ai margini del pianeta, a salire alla ribalta della storia, come se avesse una strana energia capace di attirare forze ed eventi.

L’ultimo, all’inizio del 900, è triste e vergognoso. L’uccisione di oltre 50 mila tra artisti e intellettuali per mano dei bolscevichi in quello che è stato definito il lager a destinazione speciale delle Solovetsky.

In memoria delle migliaia di persone sparite negli anni del terrore, nel cuore di Mosca si trova una pietra proveniente dalle isole Solovetsky dove più di 150 mila persone sono morte in quel periodo.

Nella foto sotto, lo stretto di Gibilterra. È qui che molti studiosi collocano le antiche Colonne d’Ercole.

 

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4. Coincidenze straordinarie

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Nel cuore del mar Bianco, dunque, c’è un’isola dalla forma circolare con una peculiarità che la rende straordinaria.

Secondo i geologi russi, sarebbe emersa dal ghiaccio a partire dal 7000 avanti Cristo.

Possiamo immaginare la meraviglia dei popoli cha hanno abitato questi luoghi circa cinquemila anni fa se davvero hanno visto le terre emergere dal mare. Devono aver pensato a qualche cosa di magico, divino.

Da lì a ritenere che anche l’isola fosse sacra, il passo è breve, soprattutto se pensiamo ai particolari fenomeni atmosferici che si verificano a queste latitudini.

“Tra i nostri ultimi ritrovamenti il più importante è quello del sito i cui scavi sono giunti a termine di recente”, spiega l’archeologo Aleksandr Yakovlevich Martynov. “Si tratta del più antico. La sua datazione lo ha collocato a 7.600 anni fa, con un margine di errore di circa 100 anni. È l’insediamento più antico in assoluto. Una testimonianza delle prime colonizzazioni delle isole Solovetsky da parte dell’uomo”.

All’epoca il clima era molto più temperato e quei territori erano decisamente più ospitali di oggi, anche se la Grande Solovetsky beneficia ancora ai giorni nostri di un microclima particolare, dovuto alla sua posizione geografica che la rende rigogliosa ricca di vegetazione, animali e specchi di acqua potabile.

“Il clima – aggiunge Martynov - è soggetto a numerose variazioni nel corso dei secoli. A quei tempi, 7.600 anni fa, era sicuramente più mite di adesso, faceva un po’ più caldo. Successivamente, durante l’epoca neolitica, cioè nel V, IV e III millennio avanti Cristo, si è registrato un abbassamento delle temperature che, tuttavia, non è stato così drastico da impedire all’uomo di insediarsi qui.

Gli archeologi russi ritengono che queste isole siano state abitate da una grande civiltà, che chiamano la cultura del mar Bianco. Distinguono due periodi storici: quello precedente al 1300 avanti Cristo e quello successivo.

In questo spartiacque si è passati dallo splendore di una civiltà rigogliosa al decadimento, alla distruzione e all’abbandono. Dopo il 1300 avanti Cristo, la cultura del mar Bianco ha lasciato questi territori e le isole sono rimaste completamente disabitate, salvo gli sporadici passaggi di pescatori.

Cos’è accaduto? I geologi russi confermano che la Grande Solovetsky ha subito la devastazione di uno tsunami, ma gli archeologi non hanno ancora datato quando è avvenuto.

“Ritengo che abbiano abbandonato questi luoghi, in quanto il loro simbolo sacro più importante, che era l’isola di Atlantide, è stata distrutta da uno tsunami”, spiega il ricercatore italiano e autore del libro "Ho scoperto la vera Atlantide", Marco Bulloni.

“Quindi era lo stesso Poseidone, il dio del mare, che li aveva puniti, aveva punito il loro simbolo sacro per eccellenza”. Stiamo parlando della distruzione di un’isola che sarebbe stata considerata sacra, a opera di uno tsunami.

Un’isola dalla forma circolare, emersa dalle acque e dalle acque d’improvviso coperta. Un’isola del diametro di 18 chilometri, con una collina, con abbondanza di metalli, vegetazione e acqua potabile, abitata da una grande civiltà con un canale che ne collega il centro al mare.

Gli ingredienti, dunque, sembrano esserci tutti. Anche il periodo segnalato dai geologi per la catastrofe sembra coincidere con quello descritto da Platone. A questo punto manca solo di trovare il grande tempio di Poseidone.

Nella foto sotto, Mar Bianco. È da queste gelide acque che potrebbe aver avuto origine il mito di Atlantide. Siamo in Russia.

 

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5. Opere megalitiche e la ricerca continua

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  • Opere megalitiche
    Dopo molti secoli di abbandono, l’isola è stata riscoperta da tre monaci ortodossi e successivamente abitata da una piccola comunità di religiosi, cui gli archeologi russi associano la costruzione del complesso monasteriale e dell’acropoli.
    La fortezza è realizzata grazie all’iniziativa congiunta dei monaci e fedeli che venivano a lavorare nel monastero per un voto fatto, una promessa a Dio.
    Poi c’erano anche alcuni che lavoravano a pagamento. Eppure nelle fondamenta della cinta muraria dell’acropoli era possibile vedere grandi massi molto simili a quelli delle strutture megalitiche in altre parti del mondo.
    Oggi sono perlopiù coperti di terra. Anche all’interno del piccolo borgo che sorge intorno al monastero son rintracciabili fondamenta in pietra di edifici crollati coperti per metri da fango e terra.
    Perché i monaci avrebbero dovuto costruire strutture che poi non utilizzavano? Perché avrebbero dovuto sobbarcarsi la fatica di trasportare enormi massi tenendo conto della poca forza lavoro di cui disponevano?
    Non è più facile credere che avrebbero trovato strutture preesistenti creati dalla cultura del mar bianco e si siano limitati a restaurarli? Soprattutto, perché avrebbero dovuto creare un sistema difensivo per il monastero cosi imponente?
    La porta a saracinesca che difende il monastero è spropositata se pensiamo a una comunità di monaci che vivevano e tuttora vivono in un’isola semi-deserta.
    L’elemento più importante per l’indagine condotta da Bulloni è che questa porta a saracinesca sarebbe un sistema difensivo molto simile a quello scoperto nei resti archeologici di Micene.
    E le altre porte del monastero, molto grandi e in legno, avrebbero una foggia che richiamerebbe quelle realizzate a Babilonia dopo l’invasione dei Cassiti, un popolo indoeuropeo.
    Tutti indizi che rafforzerebbero l’idea di partenza di Bulloni che millenni fa esistesse un collegamento molto stretto tra il nord e il sud dell’Europa grazie ai grandi fiumi dell’Eurasia.
    Sono stati questi fiumi la via percorsa dagli atlantidei dopo che la loro isola sacra era stata distrutta dall’ira della natura e degli Dei? Ed è lungo questi percorsi che sono giunti nell’area del Mediterraneo, invadendola?
    Una tale ipotesi storica troverebbe conferma nelle cronache egizie che narrano delle invasioni dei popoli del mare e della conseguente devastazione del bacino del Mediterraneo.
    Da una parte avremmo una grande cultura, quella del mar Bianco scomparsa di colpo, dall’altra la comparsa di misteriosi popoli del mare molto più a sud.

 

  • La ricerca continua...
    Un viaggio affascinante quello sulla rotta di Atlantide che continueremo a seguire. Il racconto di un antico popolo che probabilmente nel corso di una precipitosa fuga ha lasciato traccia di sé nella storia di altre civiltà.
    Qualunque sia stata la fine di questo popolo, che si trovi o no la prova definitiva circa l’esistenza di Atlantide, dovremmo in ogni caso arrivare a una conclusione comune: quella che tutti facciamo parte di un unico destino.
    Alla distruzione di Atlantide sarebbero seguiti secoli bui in cui questa civiltà sarebbe regredita, e le vie di comunicazione che univano il nord e il sud del mondo sarebbero state avvolte nell’oblio.
    Fino a quando un greco, Platone, non ha raccolto la storia e l’ha innalzata a monito per l’umanità.
    Nella foto sotto, il monastero di Solovetsky. Nelle fondamenta della cinta muraria ci sarebbero megaliti.

 

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