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I 20 mesi di Salò: italiani contro italiani

Negli ultimi due anni di guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, gli italiani si trovarono a vivere su due fronti diversi e nemici, spesso senza averlo scelto e non in nome di un’ideologia politica.

Due Italie accumunate dalle sciagure della guerra, ma in situazioni completamente diverse: in nessuna delle due la vita era facile, ma i cittadini della Repubblica di Salò ebbero una vita più dura rispetto a quelli dell’Italia invasa dalle truppe alleate.

Per questi ultimi la guerra era finita con l’arrivo delle truppe d’occupazione, mentre sul suolo della Repubblica di Salò continuava più aspra che mai, perché alla guerra contro gli Alleati si aggiungeva quella interna, una vera e propria guerra civile che ha toccato punte di violenza feroce, episodi orrendi. Una vera onta per la storia nazionale.

Fu il periodo più drammatico, quando il nostro Paese si trovò spaccato in due, tra fascisti e antifascisti, appoggiati da eserciti stranieri che seminavano terrore e distruzione. Alla guerra si aggiungeva la Guerra civile, feroce e spietata.

Vediamo come si viveva in quegli anni nell’una e nell’altra Italia.

 

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1. Il Fascismo diventa repubblicano

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Le vicende che portarono alla nascita della Repubblica Sociale Italiana sono note, ma per comprendere come si svolgeva la vita nell’Italia governata da Mussolini (a sua volta controllato dall’alleato germanico) può essere utile riassumerle brevemente.

Le radici della nascita di un nuovo stato fascista, e repubblicano, nelle aree controllate dai tedeschi si possono ritrovare nella sconfitta definitiva in Africa.

Poco dopo, l’11 giugno 1943, gli Alleati iniziarono l’occupazione del territorio italiano a Pantelleria a cui dopo un mese seguì lo sbarco in Sicilia, che impresse una forte accelerazione alla crisi del Regime.

Dopo un mese e mezzo, nella riunione notturna del Gran Consiglio del Fascismo del 24-25 luglio, Mussolini fu sfiduciato, e dopo poche ore arrestato per iniziativa del re (con il pretesto di proteggerlo).

Le manovre sotterranee già in atto per arrivare a un armistizio separato con gli Alleati ebbero nuovo impulso e il 3 settembre, nel massimo segreto, a Cassibile ci fu la firma, resa nota solo alle 19.42 dell’8 settembre. Appena quattro giorni dopo un commando di paracadutisti tedeschi liberò Mussolini e lo trasferì in Germania.

Nella foto sotto, 12 settembre 1943 - Mussolini liberato sul Gran Sasso da un commando di aviatori e paracadutisti tedeschi.
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Già il 15 settembre il duce riprese l’attività politica e il 23 settembre presso l’ambasciata tedesca a Roma fu costituito lo Stato Fascista Repubblicano d’Italia.

Il 28 settembre, nel castello della Rocca delle Caminate, poco lontano da Predappio, città natale di Mussolini, fu formalizzata la fondazione dello Stato Nazionale Repubblicano che il 24 novembre assunse la definitiva denominazione di Repubblica Sociale Italiana.

La RSI, o Repubblica di Salò, fu così chiamata perché nella cittadina sul lago di Garda vi furono insediati importanti organi come il Ministero della Cultura Popolare, il famigerato MinCulPop. In realtà la Repubblica di Salò aveva il consiglio dei ministri, insieme al comando tedesco, a Gargnano, ad una ventina di chilometri.

Altri ministeri, comandi militari ed enti furono distribuiti tra Brescia e altre località, sotto la “tutela” delle truppe tedesche, padrone del territorio, che difendevano strenuamente dall’avanzata alleata da Sud.

Alla Germania restava il saldo controllo di Cadore, Friuli, Venezia Giulia e Venezia Tridentina. L’Italia quindi era divisa in due, una “antifascista”, sotto il controllo alleato, e una “fascista” occupata dai tedeschi.

A quel punto i sentimenti degli italiani erano prevalentemente antifascisti in entrambe le regioni e residualmente fascisti sia nell’una che nell’altra parte della penisola. Ed era ugualmente pericoloso essere antifascista nella Repubblica di Salò e fascista nel sopravvissuto Regno d’Italia sotto il control- lo alleato e partigiano.

Sotto, un militare tedesco controlla i documenti di un civile italiano. Tutta l’Italia settentrionale era soggetta all’occupazione tedesca. Nella foto in alto a sinistra, Villa Simonini sede Ministero degli Esteri della RSI.

 

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2. Due invasori, ma alquanto differenti

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Ma come se la passavano gli italiani che in quei due drammatici anni, dal ’43 al ’45, vivevano nelle due patrie “nemiche”?

Tra la condizione del Regno del Sud e quella della Repubblica di Salò vi erano delle differenze sostanziali.

Al Sud già dal 26 settembre ’43 le forze alleate avevano smesso di comportarsi come nemiche, e ciò facilitava i rapporti della popolazione con gli eserciti invasori, che non a sproposito erano chiamati “liberatori”: soldati stranieri di varie provenienze e razze che portavano sigarette, calze di seta, crema di arachidi e altre delizie per una popolazione affamata e delusa del regime fascista.

L’invasione al Sud e poi al Centro era quindi benevola e persino gradita (a parte i non pochi esecrabili episodi di soprusi e violenze), mentre al Nord le cose non stavano esattamente così. Gli ex alleati tedeschi erano diventati degli invasori, molto arrabbiati per il voltafaccia del governo Badoglio, che consideravano gli italiani dei traditori.

I soldati tedeschi inoltre sapevano che, per volontà di Hitler, per loro non ci sarebbe stata la scappatoia della resa (senza onore) e sarebbero morti fino all’ultimo uomo. Questo non contribuiva a renderli particolarmente amichevoli nei rapporti con la popolazione italiana, considerata ostile.

Sotto, Mussolini passa in rassegna i ranghi degli Alpini della RSI, nel 1944.
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Alla differenza tra gli invasori del Nord e del Sud se ne aggiungeva un’altra. Nella RSI c’era quasi tutta l’industria italiana, così come c’erano comandi e reparti militari tedeschi, tutti obiettivi per gli attacchi aerei degli Alleati: un vero incubo per la popolazione, le cui giornate, e notti, erano scandite dal frequente suono delle sirene dell’allarme aereo, con la corsa nei rifugi.

Inoltre, gli Alleati praticavano dal cielo, a suon di bombe, una martellante azione di disturbo contro ogni forma di trasporto e i cacciabombardieri americani, inglesi, francesi e brasiliani (di questi ultimi vi era un contingente con base in Toscana, la FEB, Força Expedicionária Brasileira) attaccavano ogni tipo di mezzo di trasporto, dai treni alle auto ancora in circolazione.

Non vi sono statistiche ufficiali delle vittime civili dei bombardamenti sulla RSI, ma si possono ricordare le incursioni più devastanti, come quella del 7 aprile 1944 a Treviso: ben 1.600 morti. O quella del 20 ottobre 1944 a Milano: 650 morti, di cui 184 bambini in una scuola del quartiere Gorla.

Per gli Italiani del Nord, a questo nemico esterno, rappresentato dai “liberatori” che bombardavano le nostre città, si aggiungeva quello già sul territorio: quando si sentiva suonare il campanello di casa non era sempre il postino, ma poteva essere una delle svariate forze di polizia della RSI o gli omologhi tedeschi a caccia di partigiani o di ricercati nascosti.

Per non parlare del destino di chi ospitava, magari inconsapevolmente, degli ebrei. Nessuno era al sicuro, in città come in provincia (dove le attività partigiane esponevano anche la popolazione civile a rischi angoscianti).

Con il passare del tempo e l’inasprirsi del clima da guerra civile, lo scontro delle due fazioni, fascisti e antifascisti, specie negli ultimi mesi, toccò vertici di ferocia inimmaginabili: violenze, saccheggi e uccisioni, rimasti in gran parte impuniti. Alla rivalità politica non di rado si aggiungevano vili ragioni personali: in quel clima la legge latitava, c’era spazio per abusi di ogni tipo.

Sotto, in verde scuro la Repubblica Sociale Italiana, in verde chiaro le due Zone d'operazioni (OZAK e OZAV) formalmente parte della RSI, ma de facto sotto il controllo diretto della Germania nazista.

 

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3. Nasce il mercato nero

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Anche dal punto di vista dell’economia quotidiana le cose non erano facili per gli abitanti della penisola di entrambi gli schieramenti.

I generi alimentari, che per un certo tempo furono accessibili in quantità limitata e regolata dalle tessere annonarie, si fecero sempre più rari fino a sparire quasi del tutto.

Nelle campagne si soffriva meno la fame perché i contadini potevano accedere al frutto del loro lavoro, ormai ridotto al minimo: ma con qualche uovo e l’insalata dell’orto si riusciva ad alleviare i morsi della fame.

In quei mesi di confusione e senza regole accadeva anche che gli agricoltori più fortunati producessero abbastanza da arricchirsi, sia pure a rischio di pene severe, vendendo i loro prodotti al cosiddetto “mercato nero” a prezzi che solo le categorie più fortunate potevano permettersi: una bottiglia d’olio dal prezzo normale di 30 lire (ma introvabile) alla borsa nera la si poteva acquistare a 300 lire.

Contrariamente a quanto si possa pensare, questa situazione non finì del tutto con la fine della guerra il 25 aprile del 1945 e per alcuni generi il “tesseramento” si trascinò fino al 1949.

Nonostante tutto ciò, la vita aveva una sua apparente normalità: la gente si sposava, si occupava della famiglia e bambini e ragazzi, tra un bombardamento e l’altro, andavano a scuola. Si coltivavano amicizie, amori (e rancori), si nasceva e si moriva anche (con un po’ di fortuna) di morte naturale.

Nella foto sotto, al Nord, come al Sud, tutti i generi di prima necessità scarseggiavano e la popolazione civile doveva mettersi in coda per acquistare quanto era previsto dalle tessere annonarie, di cui sotto si riporta un esemplare.
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E gli svaghi degli italiani in guerra? Il cinema era il più popolare e lo stesso Mussolini aveva una vera passione per la settima arte (allora si chiamava così) e la mantenne nella Repubblica Sociale.

In uno stabilimento di Venezia, tra la Giudecca e gli spazi della Biennale, furono prodotti dall’autunno 1943 alla primavera del 1945 ben 17 film, sotto l’egida del MinCulPop di Ferdinando Mezzasoma, e in particolare del suo incaricato per la cinematografia, Giorgio Venturini, che chiamò il nuovo sito di produzione “Cinevillaggio”, perché richiamava in una dimensione più modesta Cinecittà a Roma, anch’essa a suo tempo creata dal Duce.

Altre pellicole furono girate altrove: a Torino erano ancora attivi gli stabilimenti Fert, fondati già nel ’19, dove furono realizzati altri 7 film; ancora 4 furono prodotti in altre località, tra cui il Kursaal di Montecatini Terme e Budrio. Tutto questo nonostante l’impiego di strutture precarie, i bombardamenti continui e la mancata adesione delle dive più affermate del momento.

Quelli che aderirono alla Repubblica di Salò furono i registi Giorgio Ferroni, Francesco De Robertis, Piero Ballerini e Mario Baffico e gli attori Mino Doro, Salvo Randone, Emma Gramatica (foto in alto a sinistra), Doris Duranti, Roberto Villa, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida (foto sotto); questi ultimi due, membri effettivi della polizia speciale fascista, accusati di omicidi e torture, finiranno fucilati il 30 aprile del 1945.
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La produzione cinematografica non fu memorabile. Tra i temi trattati, l’attualità fu prevalente, e quando si raccontava la guerra, i registi preferirono condannarla che esaltarla, come avviene in “Ogni giorno è domenica” di Mario Baffico, o in “Aeroporto” di Piero Costa, ricordato anche perché, iniziato a Montecatini, fu completato a Venezia dopo un fortunoso trasferimento della troupe a seguito di bombardamenti.

Non mancarono trasposizioni letterarie in costume come “La locandiera” di Luigi Chiarini tratta dal classico di Goldoni, “Enrico IV” di Giorgio Pàstina da Pirandello e il film in due parti – “Senza famiglia” e “Ritorno al nido” – di Giorgio Ferroni, tratto dal romanzo di Meliot.

Ma in quegli anni tormentati il cinema covava la grande stagione del Neorealismo italiano dell’immediato Dopoguerra: si facevano le ossa nomi oscuri ma futuri giganti del cinema, come Rossellini, De Sica e Visconti.

Sotto, su imitazione di Cinecittà, il Ministero della Cultura Popolare volle creare un Cinevillaggio a Venezia, nel quartiere della Giudecca.

 

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4. Radio Londra, svago pericoloso

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Lo svago più popolare, anche perché il più facilmente accessibile, era la radio, utilizzata con successo come strumento di propaganda: l’EIAR, concessionario esclusivo di tutte le trasmissioni radiofoniche, aveva una sede a Torino e rimase leale al regime fascista, che lo aveva creato.

Da Busto Arsizio l’EIAR organizzò le sue stazioni nel territorio dell’RSI dando via a varie emittenti, come Radio Baita, Radio Fante, Radio Soldato e Radio Patria. Radio Fante trasmetteva il "Giornale Radio", accusata di scarsa obiettività nel dare notizie di guerra.

Radio Soldato divenne il principale centro radiofonico della RSI, dotato di tecnologia ricetrasmittente in grado di operare in onde medie e in onde corte. Con una redazione composta da vari giornalisti e da due auditori, disponeva anche di una sala di registrazione dove si avvicendavano orchestre e cantanti.

Tra i programmi, le rubriche "Radio sociale" e "Radio famiglia". L’EIAR pubblicò persino il suo settimanale, “Segnale Radio”, a imitazione del più celebre “Radiocorriere”. A Nord c’erano anche altre radio, rigorosamente proibite perché gestite da partigiani e antifascisti che improvvisavano qualche trasmissione clandestina.

A queste si aggiungeva la famosa Radio Londra, che oltre a notizie di fonte alleata trasmetteva messaggi criptati destinati alle attività della Resistenza. Ascoltare Radio Londra era molto pericoloso, perché la polizia fascista aveva spie ovunque e poteva fare irruzioni dalle pesanti conseguenze.
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A Sud c’era maggiore libertà di ascolto e le radio, man mano che gli Alleati risalivano la penisola e se ne impadronivano, trasmettevano un po’ di tutto: messaggi di propaganda, ad uso soprattutto degli italiani del Nord per convincerli alla resistenza, ma anche musiche americane, come jazz e boogie woogie.

Un altro svago popolare molto diffuso era la lettura dei fumetti per ragazzi, che leggevano anche i grandi. Nel 1942 il governo Mussolini aveva vietato i fumetti americani, che arrivavano per vie clandestine, oltre a quelli vecchi gelosamente conservati e oggetto di commercio clandestino.

Le riviste “L’Avventuroso”, “L’Audace” e “Topolino” pubblicavano sia materiale tradotto sia originale: i titoli di punta erano le strisce americane come Flash Gordon (italianizzato in Gordon Flasce) o Mandrake (Mandrache).

“Topolino” fu quello che ottenne di continuare la pubblicazione più a lungo, ma dal febbraio 1942 dovette cambiare la testata in “Tuffolino” e presentò da allora e per tutto l’anno a venire solo quattro storie di questo nuovo personaggio: un ragazzino che risultava somigliante al topo più famoso del mondo. La sua ultima avventura, “Tuffolino e il Pepe Esplosivo”, andò in stampa durante la Repubblica Sociale.

Insieme ad Arnoldo Mondadori, anche l’editore più determinante per la storia del fumetto italiano si trovava (e si trova) a Milano: Gianluigi Bonelli, che aveva preso le redini dell’“Audace”; grazie a una schiera di talenti nostrani riuscì a continuare le pubblicazioni della rivista quasi per tutta la guerra.

Composta da albi monografici, negli anni della RSI la collana aveva come personaggio di punta il pugile Furio Almirante, scritto da Bonelli stesso, e disegnato prima da Carlo e poi da Vittorio Cossio. Quest’ultimo fu il creatore anche del popolare personaggio Dick Fulmine, nato nel 1938 e rimasto in vita dopo la fine della guerra, fino al 1955.

 

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5. «Canta che ti passa»

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Ma la vera amica degli italiani, consolatrice dei loro disagi, era la canzone (era diffuso il detto popolare «canta che ti passa»).

Durante la RSI ci fu una produzione di canzoni dal testo politico, di guerra o goliardico che entrarono a far parte del patrimonio culturale e divennero inni dei vari corpi militari.

Tra le più celebri “Le donne non ci vogliono più bene”, scritta dal giornalista e sceneggiatore Mario Castellacci e composta forse dal maestro Gino Fogliata; “L’8 settembre”, scritta da Attilio Giantomassi, un canto politico che parlava di un’Italia lacerata e tradita.

Molte di queste canzoni erano scritte sulla melodia di inni tedeschi o composte nei reparti dell’esercito della Repubblica Sociale. Insieme a questi canti continuavano a essere trasmessi alla radio i successi di grandi voci del canto melodico o dello swing come Luciano Tajoli, Renzo Mori, Ernesto Bonino.

 

Il Jazz, che solo qualche anno dopo avrebbe avuto uno dei suoi maggiori esponenti italiani nel quarto figlio del Duce, Romano Mussolini, alle autorità di Salò risultava sgradito, perché troppo legato alla cultura afroamericana e per questo giudicato “immorale”.

Vietato alla radio, continuava a essere suonato nelle balere di provincia meno sorvegliate o nel chiuso delle cantine degli appassionati. Nella foto sotto, da sinistra a destra, Luciano Tajoli, Renzo Mori ed Ernesto Bonino.
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Naturalmente tra i passatempi degli italiani c’era anche lo sport, che il regime fascista aveva fortemente promosso come attività e come spettacolo (per due volte, nel 1934 e nel 1938, la nazionale italiana aveva vinto la coppa del mondo con grande beneficio dell’orgoglio nazionale) al lodevole scopo di costruire un sentimento di identità nazionale.

Nella Repubblica Sociale questo entusiasmo non si arrestò e fu disputato anche un torneo di calcio, chiamato “Campionato Alta Italia 1944”. La finale si disputò all'Arena di Milano tra Venezia, Torino-FIAT e i VV.FF. Spezia.

Il “Grande Torino”, campione d'Italia in carica, destinato a conquistare altri quattro scudetti dopo la fine della guerra (fino alla tragedia di Superga), era il favorito d’obbligo, ma a sorpresa lo scudetto lo conquistò la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia (in seguito la FIGC fascista sancì che lo Scudetto restava appannaggio del Torino campione d'Italia nella Serie A 1942-1943, mentre alla squadra spezzina fu assegnato il titolo di vincitrice della Coppa Federale).

Molte cose nella vita civile degli italiani, di entrambi gli schieramenti, potevano dare una certa parvenza di normalità. Ma lo scontro tra “le due Italie” ha lasciato una scia di sangue e di dolore a cui la fine della guerra ha posto termine, senza peraltro cancellarla dai ricordi di chi aveva vissuto quei due anni, da una parte o dall’altra.

Qua sotto, la squadra di calcio Torino-FIAT che partecipò al campionato che si tenne nella RSI. Fu sconfitta dai Vigili del Fuoco di La Spezia, ma le fu assegnato ugualmente lo scudetto.

 

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