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Ignazio di Loyola: il soldato che diventò santo

Iñigo, o Ignazio, López de Loyola, uno dei più grandi santi della Chiesa cattolica e uno dei più importanti riformatori del Cinquecento, era il settimo figlio di Beltran Ibanez de Loyola e Marina Sanchez, una nobile e ricca famiglia dei Paesi Baschi, allora un piccolo regno indipendente nel Nord della Spagna, proprio al confine con la Francia, affacciato sull’Oceano Atlantico.

Era un giovane brillante e raffinato, che amava vestirsi bene, s’incapricciava delle ragazze che incontrava, giocava ai dadi, si ubriacava e spesso si lasciava immischiare in risse e duelli.

Nel 1517, per esempio, fu coinvolto in una serie di disordini durante il carnevale di Azpeitia e finì davanti al giudice, salvandosi solo per l’intervento del suo signore e protettore.

Oggi scopriremo la storia del fondatore dell’ordine dei Gesuiti, che, destinato da bambino alla Chiesa, preferì prendere le armi per difendere il suo Paese. Ma fu ferito e, costretto a letto, lesse un libro che gli cambiò la vita. Leggiamola insieme.

1. Prima della conversione

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"Fino a 26 anni fu uomo di mondo, assorbito dalle vanità": con questo incipit bruciante inizia l’autobiografia, scritta in terza persona, di Iñigo, o Ignazio, López de Loyola, uno dei più grandi santi della Chiesa cattolica e uno dei più importanti riformatori del Cinquecento.

Era il settimo figlio di Beltran Ibanez de Loyola e Marina Sanchez, una nobile e ricca famiglia dei Paesi Baschi, allora un piccolo regno indipendente nel Nord della Spagna, proprio al confine con la Francia, affacciato sull’Oceano Atlantico.

Nato nella piccola città di Azpeitia nel 1491, un anno appena prima della scoperta dell’America, aveva perso subito la madre.

Secondo le regole del tempo, essendo l’ultimogenito non aveva nessuna possibilità di ereditare alcuna delle ricchezze paterne: così, come la monaca di Monza raccontata da Manzoni nei Promessi Sposi, sin da bambino fu destinato alla carriera religiosa.

Ma Ignazio non aveva nessuna voglia di rinchiudersi in un convento: voleva diventare un soldato. Il padre si dimostrò indulgente verso quel suo figlio maschio e gli lasciò prendere la strada delle armi.

Alla sua morte, avvenuta nel 1506, Ignazio passò in Castiglia, al servizio di un ministro del re, dove completò la sua formazione seguendo il suo nuovo signore di città in città.

Era un giovane brillante e raffinato, che amava vestirsi bene, s’incapricciava delle ragazze che incontrava, giocava ai dadi, si ubriacava e spesso si lasciava immischiare in risse e duelli.

Nel 1517, per esempio, fu coinvolto in una serie di disordini durante il carnevale di Azpeitia e finì davanti al giudice, salvandosi solo per l’intervento del suo signore e protettore.

2. A capo della resistenza e la conversione

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Erano tempi di grandi cambiamenti in Europa.

Nel 1519 venne eletto imperatore un ragazzo di appena 19 anni, Carlo di Gand, che assunse il nome di Carlo V e dominò su un territorio amplissimo che comprendeva la Germania, le Fiandre, parte dell’Italia e la Spagna.

La Catalogna si ribellò e il re di Francia cercò di approfittare della situazione penetrando in Spagna e ponendo l’assedio il 16 maggio 1521 alla città di Pamplona, oggi famosa per la corsa dei tori.

I 12mila fanti francesi, accompagnati da 800 cavalieri e 29 cannoni, surclassavano gli appena mille spagnoli che dovevano difendere la città. Due giorni dopo Ignazio entrava in città con i pochi rinforzi disponibili.

La città si arrese subito dopo, ma i soldati spagnoli si rinchiusero nella cittadella. Fu proprio Ignazio, col suo coraggio e la sua passione, a tener viva la resistenza per qualche giorno fin quando una palla di cannone non gli ruppe una gamba.

La fortezza capitolò subito e lui fu riportato a casa in gravissime condizioni. Per due settimane lottò tra la vita e la morte, poi, quando si riprese, si accorse che l’osso della gamba gli si era saldato in modo sbagliato.

Per evitare di restare zoppo per tutta la vita, chiese e ottenne che l’osso venisse rotto di nuovo e “sistemato” nel modo giusto. «Non gli sfuggì mai un lamento», dice l’autobiografia, «e non diede altro segno di dolore che stringere forte i pugni».

In convalescenza Ignazio si annoiava e voleva leggere: in casa però c’erano solo due libri di devozione, tra cui la famosa Legenda Aurea, cioè la vita dei Santi scritta da Jacopo da Varagine alla fine del Duecento.

Fu proprio meditando su questi testi che prese corpo l’idea di convertirsi a Cristo e di abbandonare la vecchia vita per una nuova, fatta di penitenza e preghiera. Suo fratello intuì qualcosa e cercò di dissuaderlo. Nulla da fare: Ignazio partì di notte per non essere fermato.

Nel febbraio 1522 raggiunse l’abbazia benedettina di Montserrat, vicino a Barcellona: qui compì il passo decisivo. Dopo un lungo periodo di penitenza, il 24 marzo fece una confessione generale di tutta la sua vita precedente.

Poi, dopo una veglia in armi, volutamente simile a quella dei cavalieri prima d’essere ordinati, depose lancia e spada ai piedi dell’altare della Vergine, si spogliò di tutti i beni, vestì un saio e si mise in cammino.

3. Il pellegrinaggio e la Compagnia di Gesù

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La sua idea era di fare un pellegrinaggio fino a Gerusalemme per vedere tutti i luoghi in cui era vissuto il Cristo.

Fu un viaggio difficile: Ignazio viveva di elemosina, si ammalava spesso e fu più volte fermato e arrestato perché sospettato di essere una spia.

Riuscì comunque ad arrivare alla meta e a tornare in Italia nel 1524. Pur avendo già cominciato a pensare di fondare una comunità di confratelli, si dedicò allo studio, iniziando dai rudimenti della grammatica.

Nel 1528, sentendosi osteggiato, dalla Spagna si trasferì a Parigi (cambiamento non da poco, se si considera che i due Paesi erano stati in guerra quasi ininterrottamente per oltre vent’anni) e si mise a studiare teologia e filosofia.

La sua idea fissa, tuttavia, era quella di fondare una comunità di religiosi che si ispirassero alla sua esperienza militare. Così, nel 1534, Ignazio e i compagni si riunirono a Montmartre, pronunciarono i voti di povertà e castità e fondarono la Compagnia di Gesù.

Solo sei anni dopo, però, essa fu ufficialmente approvata da Papa Paolo III che emise la Bolla Regimi militantis ecclesiae.

Ignazio, nominato “preposito generale”, preparò le Costituzioni dell’ordine, regolate con criteri fortemente gerarchici: il gesuita doveva fare voto di obbedienza assoluta al Papa, che si impegnava a seguire perinde ac cadaver, come un cadavere, ossia come un essere privo di volontà propria.

Nel 1548 fu fondato a Messina il primo collegio gesuita: le prime due missioni dell’ordine erano infatti lo studio e l’insegnamento. La terza era la vocazione missionaria: già mentre Ignazio era in vita, molti suoi confratelli vennero inviati in missione in tutto il mondo conosciuto.

Il fondatore della Compagnia di Gesù morì a Roma nel 1556. Venne riconosciuto santo dalla Chiesa cattolica nel 1622.

4. Tante scuole in tutto il mondo e Mission: il film sui Gesuiti in Paraguay

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  • Tante scuole in tutto il mondo
    Cento anni dopo la fondazione dell’Ordine, i Gesuiti gestivano già 444 scuole che nel 1739 erano diventate 669.
    Riservarono particolare attenzione alla Germania, dove combattevano aspramente la riforma protestante: nel 1616 qui esistevano 372 collegi con 13.112 studenti.
    Poi aprirono scuole anche in America. Accogliendo chiunque, compresi i ragazzi poveri, purché dotati di ingegno, i Gesuiti formarono per decenni la classe dirigente cattolica.
    Nei loro istituti vigeva la Ratio studiorum (piano di studi), che prevedeva le materie, le tecniche di lezione, le modalità di discussione, gli esami scritti e i premi.
    Facevano studiare una materia alla volta; non c’erano le lunghe vacanze estive di oggi, ma erano moltissime le feste religiose.
    Il latino era studiato a fondo (caratteristica poi copiata dalla scuola italiana con la riforma Casati nel 1859) e ogni classe aveva un solo docente.
  • Mission: il film sui Gesuiti in Paraguay
    La parola redduciones, derivante da un verbo latino che indica la conversione degli indigeni “ricondotti” a Cristo, è usata come sinonimo di “missione” in riferimento agli indios.
    Seguendo le orme dei francescani, nel Seicento e Settecento i Gesuiti avevano creato una specie di stato in Paraguay composto di redduciones, villaggi sparsi nella foresta dove gli indigeni guaranì venivano istruiti ed educati.
    Seguendo il Vangelo, non esisteva la proprietà privata e la vita era organizzata sfruttando in modo razionale i metodi di lavoro occidentali, senza sottoporre gli indios a violenze o sevizie.
    La giornata cominciava con la messa; dopo la colazione i lavoratori andavano a coltivare i campi. Al ritorno andavano al catechismo, dove apprendevano la dottrina e la lingua spagnola.
    Questa preziosa esperienza di collaborazione fu spazzata via nel Settecento per istigazione dei portoghesi, che occupavano il vicino Brasile e volevano utilizzare gli indigeni già civilizzati come schiavi.
    Questa vicenda storica è lo sfondo del film Mission, con Robert De Niro e Jeremy Irons, che vinse la Palma d’Oro a Cannes (1986).





5. Anche Papa Francesco fa parte della Compagnia, gli esami scritti e la riforma del calendario

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  • Anche Papa Francesco fa parte della Compagnia fondata da sant’Ignazio
    Jorge Mario Bergoglio è il primo Papa gesuita della storia.
    Padre Umberto Miguel Yañez, anch’egli gesuita e docente presso la Pontificia Università Gregoriana, definì “un po’ imbarazzante” il fatto che fosse diventato Papa chi aveva fatto giuramento di obbedienza al Papa.
    C’è stato anche chi ha ricordato una strana profezia secondo la quale l’avvento di un Papa nero avrebbe segnato la fine della Chiesa: ora, il Generale dei Gesuiti viene appunto chiamato “il Papa nero”.
  • Vietato parlare e copiare
    Nella Ratio studiorum i Gesuiti introdussero la pratica degli esami scritti, regolata in modo sorprendentemente moderno fin nei minimi dettagli. Per esempio, al punto due del capitolo sulle prove scritte si chiariva che “tutti devono arrivare presto in classe per poter trascrivere accuratamente il tema della composizione... Nessuno può parlare con un altro, nemmeno fosse il prefetto o il suo sostituto. Tutti devono venire dotati dei propri libri e del necessario per scrivere in modo che non ci  sia bisogno di chiedere nulla ai compagni... Gli studenti devono guardarsi dal copiare dai compagni, perché se due componimenti verranno trovati uguali o anche solo simili verranno entrambi sospettati... Ogni studente che per un buon motivo riceve il permesso di uscire dalla stanza dopo che la prova è iniziata, deve depositare dal prefetto o dal suo sostituto lo schema del suo componimento e tutto quello che ha scritto fino a quel momento”.
  • La riforma del calendario
    Alla fine del Cinquecento la necessità di riformare il calendario era improcrastinabile: nel 1580 l’equinozio di primavera era caduto l’11 marzo.
    Così Papa Gregorio XIII si fece promotore di una riforma (da cui prenderà vita il calendario “gregoriano” ancora oggi in vigore) nominando una commissione con a capo lo stimato astronomo Cristoforo Clavio della Compagnia di Gesù.
    A lui che aveva accettato le scoperte di Galilei verrà intitolato uno dei più grandi crateri sulla Luna.








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