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Il gatto e le regole di comportamento: come educarlo a stare bene con noi

Il gatto è una creatura abitudinaria, ma meno del cane. A volte cambia comportamento per motivi che ci sono misteriosi.

Capita, per esempio, che per il suo pisolino scelga un posto completamente diverso da quello usato fino a poco prima.

Ma, come ogni animale, è contento di sapere a quale ora del giorno avrà la sua pappa. E su basi più o meno regolari gli piacerà essere accudito, coccolato, massaggiato, e vorrà giocare.

Non diciamo con questo che gli orari debbano essere rigidi, ma solo che se il nostro amico è abituato a mangiare alle sei, non sarà contento di vedere la ciotola piena alle dieci, senza contare che per allora avrà una gran fame!

Se siamo lontano da casa durante il giorno, giochiamo con lui alla sera e diamogli la nostra attenzione. Se rimaniamo in casa, invece, accudiamolo e facciamolo divertire dopo colazione o dopo pranzo.

Non importa quando decidiamo di interagire con lui, l’importante è che lo facciamo con una certa regolarità, approssimativamente alla stessa ora, sicché sappia che cosa aspettarsi e quando.

Insegnare qualche regola di comportamento ai nostri gatti li aiuterà a vivere più serenamente. Non solo, può essere un vero divertimento…

 

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1. Solitudine e ore notturne. Due fattori da tenere in considerazione

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Quando si parla di addestramento di animali il pensiero corre subito al cane: si tende infatti a pensare che i mici siano troppo indipendenti per poter ricevere indicazioni o eseguire comandi.

Invece l’addestramento di un gatto è possibile, anche se sicuramente più difficile.

I gatti sono diversi dai cani per molti motivi. Non sono animali da branco, abituati a essere circondati dai membri della famiglia. Sono, invece, piuttosto solitari, quindi non soffrono particolarmente la nostra assenza.

Certo, la mancanza degli stimoli e dell’affetto che gli diamo la sentono e ci accolgono festosamente al rientro, ma di solito non si rattristano e non si abbandonano ad azioni distruttive quando siamo lontani. Ci sono, però, delle eccezioni.

Un gatto molto “appiccicoso” e socievole può avere reazioni inaspettate, se rimane solo per lunghi periodi di tempo: può anche dimostrarsi aggressivo con chi viene ad accudirlo o nutrirlo una o due volte al giorno, ma diciamo che non è la “normalità”.

Un’importante abitudine che ci conviene definire fin da subito è l’ora di andare a letto. I gatti sono normalmente animali notturni, che dormono di giorno e preferiscono giocare e interagire di notte... esattamente il contrario di noi.

Non è divertente essere svegliati nel mezzo del sonno da un gatto che ci corre all’impazzata sul corpo o da un invito sonoro a giocare! Un trastullo notturno cui si dedicano molti gatti è buttare giù dal comodino tutto quello che trovano.

Garantito che ci sveglieremo di colpo, non appena sentiremo cadere per terra le chiavi, il portafogli, il cellulare e chissà che altro. Soprattutto con i gattini, dobbiamo lanciare subito il messaggio che questo non è un comportamento accettabile.

Diamo al nostro amico un po’ di attenzione extra subito prima di coricarci e assicuriamoci che abbia qualcosa da mangiare, magari un po’ di cibo secco da rosicchiare di notte, e ignoriamo totalmente le sue trovate nottambule: coglierà presto il messaggio che, per noi, la notte significa dormire e non giocare.

Se le sue stravaganze nelle ore normalmente dedicate al sonno diventassero però un’abitudine persistente e incontrollabile, occorrerà rivolgerci a un esperto per affrontare la situazione in modo efficace.

 

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2. Insegniamogli a... rispondere al suo nome e mettersi seduto

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- Insegniamogli a... rispondere al suo nome

Quando ci rivolgiamo al nostro micio, chiamiamolo sempre per nome. Per esempio: «Ecco la pappa, Tom», oppure «Ehi, Tom, ti va di essere spazzolato?».
Quando entra in una stanza, salutiamolo: «Ciao Tom», e così via. Il gatto risponderà al suono e al modo in cui lo pronunciamo.
Usiamo sempre toni affettuosi e non usiamo il suo nome quando lo rimproveriamo, per non correre il rischio che lo associ a un senti- mento negativo. Chiamandolo sempre per nome, a poco a poco imparerà a riconoscersi in esso.
All’inizio forse sarà necessario ricorrere a qualche suono incoraggiante per indurlo ad avvicinarsi, soprattutto se è ancora un cucciolo.
Scuotiamo una scatola del cibo che preferisce, oppure apriamo una scatoletta e chiamiamolo ma poi badiamo a non fargli associare soltanto la pappa al nome... rovineremmo tutto.
Ogni volta che “risponde”, accarezziamolo e vezzeggiamolo, in modo che il nostro amico associ la risposta al richiamo a un’esperienza positiva.
A mano a mano che comincia a rispondere, proviamo a chiamarlo da altre stanze della casa e, non appena si presenta, copriamolo di coccole, perché si abitui ad associare la chiamata a un’esperienza molto positiva.
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- Insegniamogli a... mettersi seduto

Siamo di fronte a un esame più complesso. Partiamo dall’idea che addestrare un gatto non è facile come siamo abituati a vedere con i cani.
Anzi, sarà una bella prova di pazienza. Mettiamo il gatto sul tavolo e, delicatamente, posiamo una mano sul suo corpo e accarezziamolo dalla testa alla coda lungo la spina dorsale.
Spingiamo piano sulle zampe posteriori e diciamo: «Seduto». Una volta in questa posizione, facciamogli capire che siamo contenti: «Bravo Tom!», vezzeggiamolo e lasciamolo andare.
Ripetiamo l’esercizio più volte nel corso dei giorni fino a quando non risponderà al comando di starsene seduto mentre ci allontaniamo dal tavolo.
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3. Le “regole d’oro”. I risultati arrivano se le rispettiamo

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La cosa importante da ricordare sempre è che educare vuol dire, specialmente con i gatti, creare una relazione di fiducia dove i nostri ruoli, abitudini e quelli del gatto si adattano alle diverse situazioni.

Creare un’ambiente sereno e confortevole è molto importante per il benessere del nostro gatto.

Pazienza, perseveranza, persuasione. Sono tre le “regole d’oro” per chi vuole dedicarsi al compito di educare il gatto.

Sono importanti perché il gatto ha una scarsa attitudine alla concentrazione e alla pazienza. Noi, invece, dovremo mostrarne molta.

Ma trarremo grande soddisfazione vedendo che il nostro amico esaudisce i nostri desideri e... magari arriva anche a “obbedire ai nostri ordini”.

Attenzione, però: non tutti i gatti rispondono nello stesso modo e nella stessa misura, e se impareremo a capire il loro linguaggio, potremo anche lavorare meglio. Non dimentichiamoci che l’addestramento deve essere un’esperienza rilassante e piacevole per entrambi.

Il gatto si divertirà durante “l’allenamento” e alla fine, se tutto andrà bene, ci troveremo con un micio simpatico e pronto a contraccambiare tutte le nostre attenzioni.

Alcuni comportamentisti consigliano, al termine di ogni allenamento, di mettere il micio nel trasportino, portarlo in un’altra stanza, coccolarlo e dargli un bocconcino in premio.

Ben presto il micio potrebbe arrivare a considerare la sua “valigetta” una specie di rifugio, un luogo piacevole e sicuro per muoversi e rilassarsi. C’è chi riesce a farli entrare solo con un cenno.

 

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4. Il tavolo dell’educatore. Come lavorano gli esperti

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Addestrare un gatto non significa educarlo.

Un gatto educato è un gatto che segue le normali regole casalinghe che l’addomesticamento richiede per una sana convivenza, come il non saltare sul tavolo mentre si mangia, non distruggere gli oggetti, non fare agguati pericolosi agli ospiti o non fare i bisogni fuori dalla lettiera.

Un gatto addestrato, invece, è un gatto che ripete determinati comportamenti dietro comando. Questi comportamenti non sono semplicemente guidati, sono a tutti gli effetti impartiti e richiedono un lungo periodo di pratica prima di essere eseguiti senza resistenze.

Per addestrare un gatto bisogna armarsi di molta pazienza e ricordarsi che si tratta di un animale molto differente dal cane, in termini di atteggiamento, istinto e obbedienza.

Il luogo migliore per addestrare un gatto è un tavolo che ci arrivi all’altezza della vita, ricoperto da una tela cerata, da un tappetino, magari di gomma per non farlo scivolare, o da una moquette.

L’attrezzatura è importante per svolgere un lavoro serio a partire dal tavolo, meglio se messo in un angolo, perché le due pareti infondono sicurezza e impediscono la fuga del micio.

Durante l’addestramento mettiamoci a circa mezzo metro di distanza, muniti di una bacchettina per porgergli il bocconcino prelibato in premio. I giocattoli non possono mancare: topini o bacchettine piumate di quelle con cui abitualmente giocano i nostri piccoli amici.

Teniamo anche a portata di mano il trasportino di cui abbiamo parlato poco fa. Sono necessari inoltre un collarino di tessuto morbido e un guinzaglio. Il miglior stimolo, oltre al bocconcino goloso? La nostra voce, le lodi e l’incoraggiamento.

Possiamo ricorrere a suoni come quelli di un bacio o di uno schiocco con la lingua per aiutare il gatto a concentrarsi su di noi anche se dobbiamo aspettarci qualche distrazione visto che... si parla pur sempre di gatti.

 

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5. Camminare al guinzaglio? Un’idea da non scartare a priori

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Ecco qualcosa che non tutti i gattofili vogliono fare.

Alcuni sono contrari e la cosa è comprensibile ma non a tutti i mici il guinzaglio dà fastidio e resta un modo per far scoprire al gatto gli spazi aperti in sicurezza: potremo tenerlo d’occhio e impedirgli di correre gravi pericoli, come spesso accade.

Il guinzaglio è uno strumento che porta a un cambiamento positivo tramite un processo conosciuto con il nome di “ingegneria comportamentale”.

L’imbracatura è generalmente più funzionale del collarino e dà meno fastidio al gatto. Inoltre è più difficile per il micio sfilarsela.

Facciamo attenzione, però, a non stringerla troppo e neppure a lasciarla troppo larga per impedirgli di tirare fuori la testa. In ogni caso è la forma del corpo del nostro amico che ci indicherà se sia meglio l’imbracatura o il collare.

Per i gatti che hanno un collo lungo e sottile e un corpo snello, come gli Abissini per intenderci, l’imbracatura sarà più funzionale perché gli impedirà di sgusciare via.

D’altra parte, per i gatti con il collo corto e robusto, e per quelli con molto pelo intorno al collo e con corpo tozzo, come i Persiani, il collarino dovrebbe essere più efficace.

Iniziamo mettendo al gatto l’imbracatura o il collarino e lasciamolo girare per la casa per pochi minuti, poi togliamolo. Ripetiamo l’esercizio fino a quando non ci sembrerà che lo accetti.

A questo punto attacchiamo il guinzaglio e lasciamolo girare per qualche minuto. Allunghiamo i tempi di giorno in giorno, fino a quando non si sentirà a suo agio a trascinare il guinzaglio.

E in tali momenti non perdiamolo d’occhio, per evitare che si impigli e che si spaventi. Non appena ci accorgiamo che il micio sembra a suo agio, prendiamo in mano il guinzaglio, e seguiamolo per la casa.

Ripetiamo l’esercizio ogni giorno per cinque o dieci minuti, finché non si sarà abituato. Di tanto in tanto, prendiamo in braccio il gatto e facciamo qualche passo, poi rimettiamolo a terra.

Il nostro amico imparerà che, dopo tutto, è un rituale piacevole e si sentirà al sicuro quando cammineremo con lui tenendolo al guinzaglio.

Come accennato, a molti gattofili non piace l’idea ma c’è da dire, però, che un gatto che ha imparato a stare al guinzaglio può seguire il suo padrone dappertutto sentendosi sicuro e protetto.

E questo potrebbe anche favorire le vacanze insieme al micio, perché portarlo con noi diventerebbe sicuramente più facile, anche per lui.

 

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