Il latte fa bene o fa male?

Negli ultimi anni pochi alimenti come il latte sono stati al centro di dubbi e pregiudizi, amplificati anche dai media e dai passaparola.

Del resto, il latte, specie di mucca, è da millenni uno dei cibi alla base della nutrizione umana, mentre quello materno è la nostra prima fonte di nutrimento dalla nascita.

Un recente studio internazionale sulle abitudini alimentari di quasi 190mila persone di tutti i continenti, pubblicato sul British Medical Journal, per esempio, lo ha rivalutato.

È infatti emerso che il consumo giornaliero di almeno due porzioni di latte e formaggi è associato a un rischio minore di diabete, ipertensione e sindrome metabolica (grasso addominale in eccesso, glicemia alterata a digiuno, pressione alta).

 

Una ricerca precedente, condotta negli USA, aveva rilevato un minore incremento della pressione arteriosa tra chi consumava almeno 3 porzioni a settimana di latte e latticini, soprattutto magri, rispetto a chi si fermava a meno di 1 porzione a settimana: merito dell’effetto protettivo di sostanze bioattive che si sviluppano durante la digestione delle proteine del latte.

Il latte fa bene o fa male? Dipende. In generale possiamo tranquillamente consumarne senza esagerare in quantità per non eccedere con i grassi.

Se siamo intolleranti, invece, scegliamo quello senza lattosio. Solo se siamo allergici dobbiamo rinunciarci, sostituendolo con alimenti che ci forniscano proteine e vitamine.

 

1. Protegge le ossa?

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“Bevi latte perché contiene tanto calcio per le ossa”, si è sempre detto.

Ma numerose ricerche, tra cui un grande studio dell’Università di Harvard condotto su 78mila donne, hanno concluso che la causa principale dell’osteoporosi (la perdita di massa ossea dello scheletro) non è la carenza di calcio, bensì quella di vitamina D che si produce esponendosi alla luce solare.

Per prevenire l’osteoporosi sono ugualmente importanti diversi fattori che agiscono in sinergia: l’assunzione di calcio e vitamina K, fosforo, manganese, zinco, i livelli di vitamina D e l’esercizio fisico.

A oggi le meta-analisi (cioè gli studi che raccolgono e analizzano statisticamente i dati provenienti da diverse ricerche) non hanno supportato un effetto protettivo dell’assunzione di latte e latticini in età adulta sul rischio di osteoporosi e fratture ossee, forse a causa della complessa interazione tra i nutrienti e la natura multifattoriale delle fratture ossee.

 

Si è anche affermato che il latte e i latticini, poiché forniscono proteine animali, sono alimenti acidificanti per l’organismo che, per riportare il proprio pH a valori fisiologici, è costretto a usare proprio il calcio di riserva delle ossa, impoverendole di questo minerale.

Ma molti nutrizionisti considerano infondata l’affermazione e spiegano: «L’aumento dell’acidità dell’organismo – la cosiddetta acidosi metabolica – è una patologia che si può verificare in condizioni metaboliche alterate come nel diabete di tipo 1 e non per le abitudini alimentari.
Un consumo eccessivo di proteine animali in generale può alterare lievemente il pH del sangue, che viene immediatamente ripristinato dai sistemi tampone dell’organismo, tra cui l’utilizzo di calcio prelevato dai depositi ossei.
Il latte e i derivati, nelle porzioni consigliate, all’interno di un’alimentazione varia e bilanciata che preveda molti vegetali, non innescano questo meccanismo».

 

2. Latte e tumori

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Il latte è un alimento completo perché contiene macronutrienti (proteine facilmente assimilabili, grassi e zuccheri) e micronutrienti (vitamine e sali minerali).

Queste caratteristiche lo rendono un alimento adatto a tutti (salvo che agli intolleranti e agli allergici) dall’anno di età in su.

Lo schema della dieta mediterranea ne prevede, per gli adulti, un consumo quotidiano (in alternativa allo yogurt) di 2-3 porzioni da 125 millilitri (circa mezzo bicchiere l’una).

È meglio quello scremato o quello intero? Anche se vi sono studi contrastanti sugli effetti dei grassi del latte sulla salute umana, probabilmente perché questi possono variare molto per composizione a seconda del tipo di allevamento e di nutrizione dell’animale, le linee guida raccomandano il consumo di latticini a minor contenuto di grassi, identificando come fonti migliori di questi nutrienti il pesce azzurro, l’olio extra-vergine di oliva e la frutta oleosa (noci, olive, avocado).

 

Latte e tumori. È un binomio controverso quello tra consumo di latte e aumentato rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro.

Un’ampia revisione di studi condotti sul rapporto tra latte e tumori pubblicata sulla rivista Annals of Oncology sembra indicare un ruolo protettivo del latte e dei suoi derivati sul tumore del colon-retto.

Altre ricerche, invece, indicano che tra i consumatori di alte dosi di latte e latticini aumenterebbe il rischio di tumore alla prostata. Mentre, da alcuni studi, per le donne già colpite da tumore al seno sembra che vi sia un rischio più alto di ricaduta della malattia tra le consumatrici più assidue di latticini.

Per il tumore alla prostata sembra che le evidenze di correlazione tra consumo di latticini e aumento di rischio siano maggiori, probabilmente per fattori legati al contenuto di grassi e calcio nei latticini, anche se ci sono diverse ipotesi su possibili meccanismi, non ancora chiarite.

Per chi ha avuto il tumore alla mammella il rischio è relativo all’aumento dei fattori di crescita IGF1 (proteine che stimolano la proliferazione cellulare) con il consumo di latte e derivati, anche se è molto variabile e poco rilevabile con consumi moderati di questi alimenti.

A oggi il divieto di consumare latticini da parte di molti specialisti, pur non essendoci evidenze di rischio conclamate, si basa sul principio di precauzione. Ogni caso va valutato.

 

3. Tre false credenze sul latte

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Ecco 3 false credenze sul latte:

- VI SI ACCUMULANO ORMONI E ANTIBIOTICI
FALSO: gli ormoni che promuovono la crescita non si possono usare negli allevamenti europei (mentre sono permessi in USA).
Gli antibiotici sono ammessi ma solo per curare gli animali ammalati (mai per la prevenzione delle malattie) e dalla fine del trattamento antibiotico alla mungitura deve trascorrere il tempo necessario a evitare che residui di antibiotico finiscano nel latte.

- FA INGRASSARE PER COLPA DELL’INTOLLERANZA AL LATTOSIO
FALSO: L’intolleranza al lattosio non è in alcun modo legata all’aumento di peso. È il gonfiore che può dare, temporaneamente, l’impressione di essere più grassi.

- LA CASEINA È TOSSICA
FALSO: Rispetto ad altre proteine è un po’ più difficile da digerire, soprattutto per i bambini al di sotto dell’anno di vita, perché nell’ambiente acido dello stomaco tende a cagliare. Ma non è assolutamente tossica né cancerogena.

 

4. Intollerante o allergico? Non è la stessa cosa

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Ogni volta che beve latte l’intollerante al lattosio, principale zucchero del latte, può sviluppare crampi addominali, gonfiore, flatulenza.

Colpa della carenza di un enzima, la lattasi, normalmente presente nell’intestino (soprattutto in quello dei bambini, meno negli adulti), in grado di spezzare il lattosio nei suoi componenti, glucosio e galattosio, facilmente assimilabili dalle cellule intestinali.

Se l’enzima non c’è o scarseggia, il lattosio permane nell’intestino e diventa nutrimento per i batteri che, metabolizzandolo, producono vari gas responsabili del gonfiore, tra cui l’idrogeno.

Quest’ultimo entra nel sangue e poi nei polmoni, da dove viene espulso con la respirazione. L’intolleranza al lattosio infatti si diagnostica con il test del respiro (in inglese breath test), non invasivo, che misura il contenuto di idrogeno nel fiato.

C’è anche il latte senza lattosio! Il latte delattosato ad alta digeribilità (HD, dall’inglese High Digestible) è stato privato del lattosio con trattamenti tecnologici. In alternativa, yogurt e formaggi stagionati, in cui i microrganismi della fermentazione hanno già in parte o del tutto digerito il lattosio, sono ben tollerati dagli intolleranti al lattosio.

Chi soffre di allergia al latte è allergico alle proteine in esso contenute, soprattutto alle lattoglobuline. I sintomi più frequenti sono orticaria, problemi respiratori, vomito, disturbi intestinali e, nei casi più gravi, shock anafilattico.

L’allergia alle proteine del latte colpisce circa l’1-2 per cento dei bambini fra 3 e 18 mesi di vita, tende a diminuire con il tempo e negli adulti è molto rara.

 





5. Lo digeriamo grazie a una mutazione genetica

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L’uomo iniziò a nutrirsi in modo regolare di latte animale circa 10mila anni fa, praticando agricoltura e allevamento.

Gli studi di genetica e di antropologia hanno dimostrato che, poco dopo la rivoluzione agricola, nel DNA di alcune popolazioni si verificò una mutazione genetica casuale che permise loro di produrre l’enzima lattasi (per digerire il lattosio del latte) non solo nella prima infanzia ma anche in età adulta, diversamente dalle altre specie animali, in cui la secrezione della lattasi si blocca (o si riduce molto) dopo che il cucciolo è cresciuto.

Pertanto, chi era portatore della mutazione riusciva a bere latte senza problemi e poteva disporre tutto l’anno di un alimento completo e nutriente, soprattutto nel Nord Europa e nelle zone montane con inverni lunghi e freddi.

Oggi nel mondo circa il 35 per cento delle persone adulte digerisce il lattosio, ma la percentuale è più alta nelle popolazioni del Nord (Scandinavia, Regno Unito) e delle aree montane.

Sono invece lattosio-intolleranti molti asiatici, africani e discendenti dei nativi americani.

 

 

FRESCO O UHT?
Dal punto di vista nutritivo sono simili, ma differiscono nel gusto: quello fresco (pastorizzato a 75°C per 15 secondi) ha un sapore più buono, ma chi non può acquistarlo con regolarità e preferisce avere scorte in casa può scegliere quello a lunga conservazione (UHT, dall’inglese Ultra High Temperature) che ha subìto un trattamento termico più aggressivo (135-140 °C per 2-5 secondi).








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