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Le meduse: gli animali più antichi del mondo

Sono pochi gli animali marini che possiamo avvicinare senza che fuggano via.

La nostra presenza spaventa e siamo percepiti come una minaccia. Certo, quelli che se ne stanno attaccati al fondo, come coralli, spugne e cozze, non scappano.

Ma se parliamo di animali che vivono in sospensione nell’acqua, le cose cambiano. Lo sanno bene i pescatori subacquei, che devono prestare la massima attenzione per avvicinare le loro prede.

Le uniche creature di dimensioni ragguardevoli che si lasciano avvicinare senza fuggire sono le meduse. Non gliene importa nulla di noi. Non si spaventano, non scappano, ma neppure ci attaccano. Sono maestosamente indifferenti e vanno per la loro strada.

L’ interesse dell’uomo nei confronti delle meduse inizia nel momento in cui si trovano lungo le spiagge nel periodo della balneazione ed anche in altri periodi dell’anno, perché:

– lasciano un velo di mistero e di curiosità;
– la loro raccolta può offrire una probabile utilizzazione per motivi alimentari;
– arrivano ciclicamente, motivo che non sembra sia legato all’ inquinamento;
-sono un biorilevatore in quanto le meduse in presenza di agenti patogeni si illuminano;
-offrono un indimenticabile spettacolo mentre “viaggiano” nel mare.

Eteree e impalpabili, a volte pericolose per l’uomo, le meduse sono gli animali più antichi del mondo. Hanno colonizzato tutti i mari e oggi sono sempre più numerose. Scopriamole insieme.

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1. Ombrelli a propulsione

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Le meduse potrebbero persino non sembrarci veri animali: non hanno né capo né coda, non hanno un davanti e un didietro, né un lato destro e uno sinistro.

Sono invece spesso emisferiche e hanno un sopra e un sotto.

Il loro corpo principale si chiama ombrello (ma può avere anche la forma di una campana) e delimita una cavità interna che è piena di acqua marina.

Quando i suoi muscoli si contraggono, la cavità si restringe e spinge fuori l’acqua, formando un getto che proietta la medusa nella direzione opposta: le meduse, insomma, si muovono generando getti d’acqua, pulsando.

Una volta che l’ombrello si è contratto, la “gelatina” di cui è fatto lo fa tornare in posizione rilassata, e la cavità si riempie di nuovo d’acqua, che sarà espulsa alla contrazione seguente.

A dare il ritmo alle pulsazioni sono le informazioni che arrivano dagli “occhi” e dagli organi dell’equilibrio, che sono disposti in cerchio, sul margine dell’ombrello, e collegati da un anello nervoso.

Gli occhi individuano la luce e indicano la direzione della superficie e quella del fondo, mentre gli organi dell’equilibrio comunicano in che posizione si trova il corpo.

La gelatina delle meduse è qualcosa di speciale. Si chiama in realtà matrice extracellulare e l’abbiamo anche noi.

Tutti i viventi, infatti, sono costituiti da cellule e da questa sostanza – composta principalmente da collagene – che funge da cemento e tiene assieme il tutto.

La differenza fra noi e le meduse è che noi abbiamo tanti “mattoni” (le cellule) e poco “cemento”; le meduse, invece, hanno poche cellule e gran parte del loro corpo è fatta di matrice extracellulare, molto elastica.

 

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2. Attacco mortale

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Al centro della cavità dell’ombrello c’è un “manico”, il manubrio, alla cui estremità è posta la bocca.

Dal margine dell’ombrello, e a volte anche dalla bocca, pendono tentacoli, a volte brevi a volte lunghissimi, che pulsano distesi nell'acqua.

Quando i tentacoli toccano qualcosa di vivo, entrano in funzione le cnidocisti di cui sono armati.

Si tratta di piccole capsule piene di veleno, contenenti un filamento che viene sparato fuori e si aggancia alla preda, iniettando la sostanza tossica.

Ciascun tentacolo può avere centinaia e persino migliaia di questi minuscoli arpioni. L’animale trafitto da una o due cnidocisti sente dolore e si dimena, ma è trattenuto dai filamenti.

Così facendo, si avvolge ulteriormente nei tentacoli, altre cnidocisti lo colpiscono e lo avvelenano, senza lasciare scampo. I materiali non digeriti vengono espulsi dalla bocca.

La digestione degli animali avviene in parte a livello extracellulare nella cavità del celenteron in parte a livello intracellulare da parte delle singole cellule de l gastroderma.

Persino durante l’attacco la medusa resta indifferente e continua per la sua strada. Per nutrirsi, protende la bocca verso i tentacoli che hanno preso qualcosa e ingerisce il suo pasto, mentre gli altri prolungamenti continuano a pescare.

Le meduse, infatti, non inseguono le prede, ma aspettano che siano queste a sbattergli contro.

 

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3. Prede e predatori

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Per centinaia di milioni di anni le meduse hanno dominato gli oceani.

Poi sono arrivati i pesci, veloci ed efficienti, ma loro hanno resistito.

A cambiare le carte in tavola siamo stati noi e la pesca, che nel corso degli ultimi cinquant’anni è passata da una dimensione artigianale a una più industriale, e ha impoverito i mari.

Questo ha avuto conseguenze anche per le meduse, che si nutrono di piccoli crostacei e plancton, proprio come fanno i pesci nelle prime fasi del loro sviluppo: in carenza di competitori per il cibo, infatti, queste creature possono ora proliferare quasi indisturbate e formare grandi popolazioni.

Neppure i predatori naturali sembrano poter contrastare la loro diffusione, anche perché gli animali capaci di fare scorpacciate di gelatina senza essere danneggiati dal veleno delle cnidocisti, non sono molti.

Fra questi, nel Mediterraneo ci sono le tartarughe, alcuni pesci – per esempio, il pesce luna – e persino un’altra medusa: la Drymonema dalmatinum, il cui ombrello può misurare anche un metro, e che è parente della Cyanea capillata, la specie più grande del mondo, che vive nell'Artico e può superare i due metri.

Stiamo insomma passando da un oceano pieno di pesci a uno pieno di meduse. Per correre ai ripari, dovremmo allentare la pressione sulle popolazioni ittiche e magari diventare noi stessi predatori di meduse, facendole entrare nei nostri menù. In Cina e in Giappone lo fanno da sempre.

Ma c’è anche chi sta studiando le caratteristiche nutrizionali delle meduse del Mediterraneo per arrivare a farle diventare parte integrante della nostra dieta, coinvolgendo anche famosi chef per escogitare piatti deliziosi.

 

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4. Il ciclo della vita

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Alcune meduse sono troppo piccole per essere visibili a occhio nudo, altre sono grandi come un lenzuolo.

Sotto certi aspetti possono essere considerate fra gli animali di struttura più semplice, non avendo né un sistema nervoso centrale né molti degli altri organi che sono comuni alle forme animali più sviluppate.

Le meduse sono gli animali più antichi fra quelli attualmente viventi. Per riprodursi, di solito liberano i gameti nell’acqua, e lì avviene la fecondazione. 

Ma in alcune specie i maschi avvicinano le femmine e le fecondano, inserendo gli spermatozoi nel loro corpo.  Dalla fecondazione nasce una piccola larva, la planula: un vermicello che nuota e striscia fino a fissarsi sul fondo del mare.

Qui la planula si trasforma in un polipo, un essere simile a un anemone di mare, ma più piccolo: un tubo attaccato al fondo, con una bocca circondata da tentacoli, che mangia quel che i suoi tentacoli riescono a fulminare con le cnidocisti, proprio come le meduse. In molte specie, i polipi si riproducono asessualmente e possono formare colonie.

Al ritorno della stagione favorevole, quando il mare si riempie di vita dopo la stasi invernale, i polipi generano piccole meduse, che cresceranno fino a raggiungere l’età riproduttiva, quando produrranno nuovi polipi, prima di morire. Il ciclo così ricomincia.

Può succedere che qualche anno una specie non sia avvistata, ma poiché i polipi vivono molto a lungo (anche decenni), potrà ricomparire in seguito.

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Curiosità: Impropriamente si parla spesso della puntura di medusa, in realtà le meduse non pungono né tanto meno mordono ma provocano un’irritazione della pelle mediante i tentacoli urticanti. Cosa bisogna fare se si viene a contatto con una medusa?
Prima di tutto bisogna evidenziare che le meduse presenti nei nostri mari non uccidono. In caso di un incontro con meduse i “rimedi della nonna” sono del tutto sbagliati, quindi niente ammoniaca o succo di limone.
Il consiglio è quello di applicare delle pomate cortisoniche e non antistaminiche, che con il sole possono provocare problemi di fotosensibilizzazione.
Il rimedio migliore in caso di contatto con i tentacoli delle meduse è l’applicazione di Gel Astringente al cloruro d’alluminio. Questo ha un’immediata azione antiprurito e blocca la diffusione delle tossine.

 

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5. A caccia di meduse

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La difficoltà è che censire le meduse con i metodi tradizionali non è semplice, perché i satelliti non permettono di rilevarle e non sempre ci sono ricercatori a registrarne la presenza, quando si presentano numerosissime.

Perché, allora, non chiedere alla gente? Grazie alla campagna di citizen science “Occhio alla medusa”, la gente ha risposto e non solo si è potuto ricostruire la presenza di meduse lungo le coste italiane, ma si è potuto anche trovare delle specie che mai si erano viste nelle nostre acque.

Come la Phyllorhiza punctata o la Rhopilema nomadica, entrambe entrate dal canale di Suez. E ancora, la Pelagia benovici, una specie prima sconosciuta probabilmente arrivata in Adriatico come clandestina nei serbatoi delle acque di zavorra delle navi.

Abbiamo ancora moltissimo da imparare dalle meduse, ma la lezione più grande che ci stanno dando, con la loro pungente presenza, è che stiamo esagerando nello sfruttamento delle risorse marine.

Loro, indifferenti e implacabili, erano le signore incontrastate degli oceani quando gli altri animali non esistevano e probabilmente sopravvivranno a molte specie, inclusa la nostra, che ora si crede la dominatrice del pianeta.

Le meduse sono passate indenni attraverso centinaia di milioni di anni di selezione naturale, e in tutto questo tempo non hanno avuto nessun bisogno di modificarsi. Il motivo è semplice: sono gli animali più perfetti che ci siano!

 

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