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L’olfatto: ci fa amare, mangiare, comunicare e ricordare

L’apparato olfattivo umano è come quello tattile e gustativo ma, a differenza di quello visivo e acustico, incorporato in un organo che principalmente serve ad un altro scopo.

Il fine principale del naso è infatti quello di filtrare, riscaldare, umidificare l’aria che respiriamo.

Comunque nel naso sono presenti delle piccole creste chiamate turbine che creano turbolenza nell’aria che respiriamo che fanno in modo che ogni volta che respiriamo una piccola folata di aria passi attraverso una struttura posta sopra le turbine: la fessura olfattiva.

Le sensazioni olfattive sono dette odori. Il senso dell’olfatto dipende da chemocettori, le cellule olfattive, localizzati nell’epitelio olfattivo, un sottile strato di cellule collocato in un’area ristretta della cavità nasale, dove si trovano da 10 a 100 milioni di tali recettori.

L’olfatto è importante quanto la vista e l’udito, ma fino a tempi recenti non se ne è occupata molto nemmeno la scienza.

Il suo funzionamento, infatti, è ancora in parte misterioso.

Si sa che lo ereditiamo dalle nostre madri fin dalla vita embrionale e che incide sui comportamenti sociali, sessuali, emozionali e alimentari.

 

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1. L’imprinting degli odori

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L’80 per cento delle persone che contrae COVID-19 sviluppa disturbi all’olfatto: anosmia (cioè la perdita dell’olfatto) e parosmia (la percezione errata degli odori).

Di solito si risolvono entro un paio di settimane.

A oggi non è ancora chiaro il legame tra infezione da SARS-CoV-2 e questi sintomi, ma un gruppo di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Harvard (USA) ha osservato su cavie di laboratorio il possibile coinvolgimento di uno specifico enzima, l’ACE2, che potrebbe portare a comprendere meglio questo fastidioso sintomo.

Sicuramente l’anosmia da Coronavirus ha reso evidente come l’olfatto sia un senso molto importante nella nostra vita, nonostante sia considerato meno rilevante e nobile rispetto a vista e udito.

La variabilità, la fugacità e la privatezza delle sensazioni che l’olfatto fornisce, ci hanno indotti a ignorare il modo in cui gli odori influenzano i nostri comportamenti sociali, sessuali, emozionali, alimentari.

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Non stupisce quindi come questo senso sia stato a lungo trascurato anche dalla ricerca scientifica, tanto che ancora oggi il suo funzionamento rimane in parte un mistero. Eppure l’importanza evolutiva dell’olfatto è chiara sin dall’infanzia.

Il neonato riconosce la madre dall’odore e l’attaccamento avviene soprattutto attraverso il rinforzo prodotto dall’allattamento. Non solo.

Anche le preferenze per alcuni tipi di odori sono presenti sin alla nascita e, successivamente, diventano più discriminanti e complesse con l’età.

Queste sembrano avere una forte matrice uterina. Il senso è sollecitato infatti anche dai comportamenti della madre in gestazione.

Alcune sostanze alimentari, veicolate attraverso la placenta, producono le cosiddette “memorie olfattive” che, allo svezzamento, possono facilitare l’accettazione o il rifiuto dei cibi da parte del bambino.

 

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2. Legato alla memoria e gli strani effetti del pesce

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Questo legame tra olfatto e memoria perdura per tutta la vita: è quello che succede quando il profumo associato a un certo luogo ci ricorda sensazioni vissute in quel posto da bambini.

Un fenomeno descritto dallo scrittore francese Marcel Proust in Alla ricerca del tempo perduto, in cui l’autore fa emergere come grazie alla loro persistenza, odori e sapori del passato risvegliano ricordi apparentemente rimossi: è il fenomeno che definisce come “memoria involontaria”.

Oggi sappiamo che ciò è possibile grazie a una stretta connessione anatomica tra bulbo olfattivo e corteccia olfattiva, le aree del cervello connesse all’odorato, e due strutture chiave coinvolte nell’emozione e nella memoria: amigdala e ippocampo.

Se cerchiamo di visualizzare un gatto, immediatamente ci viene in mente la sua immagine. Se invece cerchiamo di immaginare il profumo di una rosa, riusciremo a farlo con estrema difficoltà.

Ciò avviene perché gli odori sono processati in una parte del cervello che non è prettamente cognitiva, come accade con la vista, ma è molto vicina alle aree sottocorticali che elaborano emozioni e memoria. 

Così l’odore può evocare emozioni del passato, ma anche del presente e in modo sorprendente.

 

Uno studio pubblicato del 2012 sul Journal of Personality and Social Psychology da studiosi dell’Università di Toronto (Canada) arrivò a dimostrare ad esempio come in presenza di puzza di pesce le persone tendano a mostrare meno fiducia per il prossimo.

Nel corso di alcuni test, a volontari fu chiesto di dedicarsi a giochi di società durante i quali gli sperimentatori fecero penetrare nella stanza adibita all’esperimento alcuni odori sgradevoli, tra cui quello di pesce.

Incredibilmente, solo quest’ultimo era in grado di modificare significativamente il comportamento dei giocatori, rendendoli più sospettosi verso gli altri.

Il legame tra fiducia e odore non fu spiegato, tuttavia la curiosa correlazione sembra giustificare l’espressione italiana (ma comune ad altre lingue) “mi puzza” per indicare un atteggiamento di sospetto.

 

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3. Odori, amori e culture diverse

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Anche le relazioni con le persone sono influenzate dagli odori, come quelli del nostro corpo.

Questi permettono alle persone di innamorarsi ma anche di allontanarsi: sono ingredienti fondamentali del desiderio e dell’attrazione sessuale.

Del resto, ci accorgiamo di amare una persona quando di lei gradiamo gli odori indiscreti e intimi.

Quando invece il profumo del partner non ci piace più, è l’indizio di un’intesa ormai logora. Gli odori umani costituiscono un sistema di comunicazione che si sviluppa attraverso il rilascio di sostanze chimiche chiamate feromoni.

Quelli adibiti alla funzione riproduttiva possono innescare il processo di corteggiamento e accoppiamento. Tra i luoghi più odorosi del corpo, e quindi più coinvolti nella diffusione dei ferormoni, ci sono ovviamente le ascelle, ricche di ghiandole sudoripare apocrine.

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Queste, presenti negli esseri umani solo qui e all’inguine, hanno a che fare con l’attrazione sessuale grazie anche ad alcune sostanze che emettono: in particolare l’acido caprilico e quello caproico.

I nomi di tali acidi grassi derivano dalla forte vicinanza del loro odore a quello delle capre», scrive il naturalista Alfredo Carannante in I profumi nelle società antiche (Pandemos).

Il riferimento a questi animali non è casuale: in molte culture antiche, infatti, le capre sono simbolo dell’amore libidinoso, proprio a causa della somiglianza tra l’odore di questi animali e quello del sesso.

«Una chiara attestazione di tale parallelismo olfattivo si ritrova nel greco antico, in cui il termine che designa il caprone significa anche “odore di ascella”, “pubertà” e “libidine”», aggiunge Carannante.

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È proprio questo aspetto intimo e “animale” ad aver portato molti filosofi a detestare l’olfatto. Già Platone accostava il naso alla lussuria e ai piaceri frivoli, mentre Kant lo definiva il senso “più ingrato e apparentemente meno necessario”.

Ma se l’uomo occidentale ha declassato l’olfatto a favore della più razionale vista, per alcune culture resta un senso fondamentale.

I Desana (foto sotto), un popolo di cacciatori della foresta amazzonica colombiana, sono costretti a sfruttare i segnali odorosi in un ambiente in cui il campo visivo è limitato e l’udito è sopraffatto da una grande quantità e varietà di rumori naturali.

Al naso si affidano per identificare le prede, ma anche orientarsi nello spazio e persino nelle pratiche religiose.

 

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4. 900 geni presiedono al nostro olfatto

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Nel 1991 i biologi americani Linda Buck e Richard Axel pubblicarono uno studio, con cui vinsero il Nobel per la medicina nel 2004, che dimostrò l’enorme complessità dell’olfatto.

Gli autori chiarirono come la famiglia dei geni del recettore olfattivo è la più grande del nostro genoma.

Comprende 900 geni divisi in 18 famiglie, fondamentali nella fisiologia ed evoluzione dei mammiferi.

Inoltre, se la vista dipende da pochi recettori, l’olfatto ne utilizza e combina insieme quasi 400, capaci di farci percepire potenzialmente fino a 1.000 miliardi di odori.

Come si cura la perdita dell’olfatto? Molti tra quanti contraggono COVID-19 perdono l’olfatto e faticano a recuperarlo anche una volta guariti. Oggi anche in Italia è disponibile una tecnica sperimentale che pare promettere ottimi risultati a questi pazienti e a quelli che per vari motivi non percepiscono più gli odori.

Il protocollo fa uso di un composto a base di palmitoiletanolamide e luteolina che assunto per bocca consentirebbe di raddoppiare la capacità olfattiva residua. La terapia prevede la contemporanea esecuzione di esercizi guidati – una sorta di riabilitazione nasale – durante i quali i pazienti sono chiamati ad annusare e riconoscere odori comuni.

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La differenza tra puzza e profumo non è così netta! Il tempo della nostra esposizione a un odore influisce sul nostro modo di percepirlo. L’olfatto è infatti uno dei sensi che più subisce l’abitudine.

Così, ad esempio, l’odore di aglio può essere una puzza per chi non lo usa in cucina. Ma anche alcune condizioni possono modificare la nostra percezione di alcuni odori. Durante la gravidanza, inoltre, gli odori delle sostanze dannose per il feto, come alcol e fumo, scatenano nausea e disgusto.

Il disgusto verso l’odore degli escrementi è invece un espediente della natura per evitarci contaminazioni. Ma esistono delle eccezioni: le madri, che non trovano sgradevole l’odore delle feci del proprio neonato. Si tratta di un trucco escogitato dall’evoluzione per evitare che non se ne prendano cura.

 

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5. Note di testa, di cuore e di fondo formano la piramide del profumo

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Quando i profumieri descrivono le loro essenze impiegano spesso il concetto di “piramide olfattiva”, una classificazione delle “note” che si avvertono annusando un certo profumo: di testa, di cuore e di fondo.

«La definizione fu usata per la prima volta dal profumiere Aimé Guerlain nel 1889», scrive Paola Bottai in Profumi. Un viaggio attorno al mondo degli odori, della profumeria, della memoria (De Agostini).

Bottai è un “naso”, ovvero una professionista che grazie al suo olfatto ben sviluppato e a una spiccata creatività compone profumi.

«Non dobbiamo pensare il passaggio tra note di testa, cuore e fondo di un’essenza come uno scatto o un movimento netto. Il profumo, se è fatto bene, deve svilupparsi in un continuum», precisa Bottai.

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Le note di testa sono quelle che si sentono per prime – arrivano subito alle narici – ma hanno una persistenza minore: spariscono dopo circa 5 minuti. Tra queste ci sono le note agrumate.

Poi si percepiscono le note di cuore, come quelle fiorite o fruttate. Sono più calde rispetto alle precedenti e durano dalle 2 alle 8 ore: «Vivono con noi gran parte delle nostre giornate», spiega Bottai.

Infine arrivano le note di fondo. Sono le più resistenti nel tempo: sui vestiti durano da qualche giorno a qualche settimana. Fanno parte di questa categoria il sandalo, il patchouli, la vaniglia e i muschi.

Secondo gli esperti, perché un profumo ci piaccia deve essere gradevole al naso in tutte e tre le note. Una nuova essenza dovrebbe quindi essere testata prima di acquistarla.

 

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