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Marc Chagall: uno dei massimi artisti del Novecento

Marc Chagall è stato uno dei massimi artisti del Novecento.

Nei suoi 97 anni di vita (1887 -1985) assistette agli eventi e alle tragedie che scossero il XX secolo: i pogrom (ricorrenti massacri e saccheggi a danno degli ebrei da parte dei cosacchi), la I Guerra mondiale, la Rivoluzione Russa, l’esilio, la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti e dei fascisti, la II Guerra mondiale, la Shoah e lo sterminio di milioni di ebrei, la guerra tra Israele e i territori arabi…

Non ebbe affatto una vita facile e tranquilla Chagall, eppure non fu un artista tormentato o un intellettuale inquieto. Fu un uomo solare, profondamente innamorato dell’amore, delle donne, della vita e della pace.

Il suo segreto? La fede. La gioia infantile e pura, la poesia e l’energia vitale che le sue opere esprimono nascevano da una profonda ricchezza spirituale. Sotto questo profilo, non c’è stato in tutto il Novecento un artista simile: Chagall resta unico.

Ma chi era veramente Marc Chagall, uno dei massimi artisti del Novecento? Scopriamolo insieme.

 

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1. Nato in un villaggio ebraico

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Marc Chagall nacque in un mondo che oggi non esiste più: lo shetl.

Gli shtetlekh (plurale di shetl in lingua yiddish) erano gli insediamenti ebraici disseminati nell’Europa Orientale – Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia, Repubbliche Baltiche ecc. – che vennero spazzati via con la Shoah.

Nel corso della II Guerra mondiale, i nazisti massacrarono e deportarono nei lager milioni di ebrei ashkenaziti, bruciandone i villaggi. Fu la fine degli shtetlekh.

Marc Chagall – che in realtà si chiamava Moishé Segal, in russo Shagal – nacque nel 1887 a Liosno, lo shtetl di Vitebsk, una città della Russia Bianca, oggi in Bielorussia, all’epoca sotto l’impero degli zar.

La sua era una tipica famiglia di ebrei ashkenaziti: poveri e gran lavoratori. Il papà Sachar era un mercante di aringhe, la mamma Feige-Ita una bottegaia e la loro vita era difficile e precaria: gli ebrei russi erano esposti ai pogrom ed erano soggetti a limitazioni e discriminazioni di ogni genere.

Eppure Moishé (Mosè) ebbe un’infanzia felice, insieme a otto tra fratelli e sorelle.

Il suo talento e la sua vocazione artistica si manifestarono precocemente e dopo qualche reiterata insistenza, il giovane ottenne di studiare pittura dapprima a Vitebsk e poi all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo.

Non furono anni facili: Moishé si mantenne dipingendo le insegne dei negozi e fu obbligato a risiedere nel ghetto ebraico (una volta venne arrestato per non esservi rientrato in tempo la sera).

 

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2. L’incontro con Bella

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Furono però anni intensi, in cui il giovane si formò come artista e come uomo; furono gli anni in cui s’innamorò perdutamente della donna della sua vita.

Marc conobbe Bella Rosenfeld a San Pietroburgo: lui era un pittore 23enne in cerca di fortuna, lei una studentessa 15enne.

Provenivano entrambi da famiglie di ebrei osservanti di Vitebsk, ma a parte questo, tutto li divideva: lui era povero, lei era la rampolla di una ricca dinastia di orafi. Eppure si innamorarono al primo incontro.

Anni dopo lui rievocherà la fascinazione improvvisa per quella ragazza dalla pelle di porcellana e i grandi occhi neri, lei parlerà di un colpo di fulmine per quel ragazzo anticonformista dai riccioli spettinati e gli occhi azzurro-cielo.

Il 1910 fu un anno importantissimo per Moishé anche perché fece finalmente le valigie per Parigi, dove entrò in contatto con l’ambiente artistico più vivace del momento.

Lui stesso scrisse nella sua autobiografia: «Nessuna Accademia avrebbe potuto darmi tutto quello che ho scoperto divorando le esposizioni di Parigi, le sue vetrine, i suoi musei... Come una pianta ha bisogno di acqua, così la mia arte aveva bisogno di Parigi».

Qui conobbe gli esponenti di molte avanguardie e i primi cubisti, un movimento che lo lasciò freddo: già a quel tempo Moishé non sembrava interessato al lato fisico e geometrico delle cose, ma al loro lato nascosto, intessuto di poesia e spiritualità.

Nel 1914, l’anno in cui scoppiò la I Guerra mondiale, fu costretto a tornare a Vitebsk, dopo una sosta a Berlino; nel 1915 sposò Bella, nel 1916 ebbe la prima figlia, e nel 1917 assistette alla Rivoluzione e al crollo dell’impero degli zar.

 

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3. Deluso dalla Rivoluzione

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Sulle prime Moishé condivise la carica ideale che animava la Rivoluzione e il suo leader, Lenin.

Collaborò com’era capace: divenne Commissario dell’arte per la regione di Vitebsk, dove fondò una Libera Accademia d’Arte e il Museo di Arte Moderna.

Il suo anticonformismo artistico e la sua creatività, però, finirono col cozzare contro la mediocrità culturale dei politici e non gli restò che subire i soprusi d’un potere incline a tappare la bocca ai dissidenti.

Amareggiato e deluso, nel 1923 abbandonò la Russia. Soprattutto lasciò Vitebsk, la sua amata città natale: non vi tornò più, ma non la dimenticò mai. Molti anni dopo, scriverà: «Non ho più vissuto a Vitebsk, ma non esiste un solo mio dipinto in cui io non respiri lo spirito di quella città».

Fino alla morte, in effetti, lo shtetl in cui nacque rimase l’irrinunciabile protagonista della sua arte. Insieme all’amore per Bella.

Ritornò a Parigi dove gli anni del primo dopoguerra furono d’intenso lavoro. Moshé ottenne molte commesse per illustrare libri, tra cui l’amata Bibbia, e per comprenderne meglio lo spirito fece un viaggio in Palestina all’inizio degli anni Trenta.

Nel 1937 ottenne la nazionalità francese: Moishé Segal divenne per sempre Marc Chagall. Non fu però un momento di felicità: la proclamazione delle leggi razziali in Germania e in Italia anticipò infatti l’inferno che si scatenò poco dopo.

Nel 1938, in Germania, durante la Notte dei Cristalli, esponenti del partito nazista e della gioventù hitleriana saccheggiarono e diedero alle fiamme molte proprietà ebraiche, massacrando chi vi abitava.

Chagall, profondamente scosso dagli eventi, dipinse uno dei suoi riconosciuti capolavori: la Crocifissione bianca (foto sotto), un grande olio su tela (155x140 cm) oggi conservato a Chicago e considerato dall’attuale pontefice, Papa Francesco, una delle più importanti opere d’arte.

Nel 1940, con l’invasione e l’occupazione nazista della Francia, la situazione si fece insostenibile: la famiglia Chagall fu costretta a fuggire dalla Ville Lumière.

 

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4. Gli anni terribili della guerra

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I Chagall si nascosero dapprima a Marsiglia, poi con l’aiuto di un giornalista americano riuscirono a imbarcarsi per la Spagna, e infine per il Portogallo.

Nell’estate del 1941, proprio mentre iniziava l’invasione nazista della Russia (“Operazione Barbarossa”), i Chagall con un carico di 1.600 chili tra dipinti, tele, cavalletti e colori, partirono per gli Stati Uniti, l’unico Paese che poteva offrire loro protezione duratura.

Si stabilirono a New York, dove l’artista era ben conosciuto, e dove frequentarono l’ambiente degli esuli europei.

Furono anni difficilissimi per via di due devastanti tragedie: quella che si abbatté sugli ebrei alla fine della II Guerra mondiale e quella che si abbatté sulla famiglia Chagall.

Sulla prima l’artista non dipinse mai nulla: la deportazione degli Ebrei nei ghetti e nei lager e la soluzione finale, ovvero il loro annientamento totale, erano l’esemplificazione del Male assoluto, indicibile e non rappresentabile.

Anche la tragedia personale portò l’artista alla paralisi: nel settembre del 1944, Bella, moglie amatissima e musa inseparabile, morì per un’infezione. Marc smise di dipingere per un anno intero: il dolore lo aveva annientato.

Fu solo grazie all’intervento della figlia Ida e all’aiuto del gallerista Pierre Matisse, figlio del grande Henri, che riprese a poco a poco a vivere.

Nel 1945, l’artista conobbe una giovane canadese di 30 anni, Virginia Haggard McNeil, con cui iniziò una relazione.

Nel 1946 nacque il loro figlio David e nel 1947, a guerra terminata, l’artista, la nuova moglie e i figli fecero le valigie per tornare in Europa.

 

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5. Ritorno alla vita

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Gli anni del secondo dopoguerra furono per tutti gli europei anni ricchi di speranza e ottimismo e Chagall non fece eccezione.

La sua pittura cambiò: i colori si fecero più vivi, più intensi e brillanti; le scene dipinte si fecero più poetiche e incantate, le mani dell’artista più libere.

Chagall iniziò a sperimentare anche la ceramica, la scultura, l’arte dell’arazzo. Dopo la fine della relazione con Virginia, ebbe un secondo improvviso colpo di fulmine per Valentina “Vavà” Brodsky, ebrea di origine russa come lui, che sposò nel 1952.

Il ricordo di Bella, tuttavia, non scomparve affatto: la prima moglie continuò ad abitare i suoi dipinti come rappresentazione dell’amore tra l’uomo e la donna, e come allusione a Vavà, la nuova musa, il nuovo amore.

Verso la fine degli anni 50, Chagall, ormai stabilitosi a Saint-Paul-de-Vence in Provenza, scoprì anche un altro amore: quello per la lavorazione artistica del vetro e le vetrate.

Ne realizzerà di celebri e bellissime: per la sinagoga dell’ospedale Hadassah Ein Kerem a Gerusalemme, per la cattedrale di Reims, per il Palazzo delle Nazioni Unite.

Nel 1973, su invito del governo dell’Unione Sovietica, tornò in Russia; a San Pietroburgo, all’epoca ribattezzata Leningrado, rivide dopo 50 anni una delle sue sorelle e ricevette riconoscimenti e onori ufficiali.

Ciò nonostante non volle assolutamente far ritorno a Vitebsk: probabilmente gli effetti della distruzione nazista e della successiva dittatura sovietica erano per lui un carico doloroso e insopportabile. Morì a 97 anni, a Saint-Paul-de-Vence, nel 1985.

 

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