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Nel nome di Mao

Il 12 febbraio 1912 il piccolo Pu Yi (aveva 6 anni), l’ultimo imperatore cinese, fu costretto ad abdicare e a vivere da recluso all’interno della Città proibita.

Sembrò allora che – come nella Sicilia del Gattopardo – tutto fosse cambiato perché nulla cambiasse.

Era nata la repubblica, ma il Paese rimaneva drammaticamente arretrato e i “signori della guerra” gestivano il potere locale, spalleggiati dalle potenze occidentali che continuavano indisturbate a coltivare i loro affari.

Talmente poco era cambiato che il primo presidente della Repubblica cinese Yuan Shikai – ex uomo forte dell’ultima dinastia imperiale, i Qing, e avversario di Sun Yat-sen, leader nazionalista – tentò addirittura di autoproclamarsi imperatore.

Le forze di opposizione, però, si compattarono dopo che Yuan Shikai nel maggio 1915 accettò le cosiddette “21 domande” del Giappone, un documento con il quale la potenza nipponica tentò di formalizzare il suo protettorato economico e politico sull’ex “celeste impero”.

E quando il presidente morì, nel 1916, fu il caos.

Il lungo braccio di ferro che vide nascere nel 1949 la Repubblica popolare cinese fu una vera guerra civile, una rivoluzione con una grande eco mondiale. Vediamo le sue tappe più importanti e il ruolo determinante di Mao Tse-tung.

1. Studenti in movimento

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Nel periodo tra il 1915 e il 1920 si formarono i fattori sociali che avrebbero contraddistinto la rivoluzione cinese.

Questi furono, tra gli altri, la tensione sociale rurale, la repressione armata, lo sfruttamento dei contadini, la concentrazione fondiaria.

Fino a che non fosse stato fatto saltare l’appoggio reciproco tra i proprietari terrieri e i “signori della guerra” legati alle grandi potenze non si sarebbe sviluppata un’economia borghese.

Il cambiamento cominciò con il cosiddetto “movimento del 4 maggio”.

In quel giorno del 1919 scoppiarono agitazioni studentesche in molte università del Paese: sotto accusa era il trattamento subìto dalla Cina (a tutto vantaggio del Giappone) nella conferenza di pace di Versailles, che aveva posto il sigillo della diplomazia sul primo conflitto mondiale.

Le proteste furono così imponenti che la Cina ritirò i suoi delegati da Parigi, senza firmare il trattato. Dalla Russia, intanto, arrivava l’eco della “rivoluzione d’ottobre” e riviste cinesi come Gioventù nuova diffondevano tra le masse idee rivoluzionarie.

Il pensiero marxista fu sdoganato ufficialmente il 1° luglio 1921, quando a Shanghai nacque il Partito comunista cinese (Pcc).

I suoi fondatori – tra cui Mao Tse-tung (foto) – promossero fin da subito un’intensa attività sindacale nella classe operaia e, tra l’estate del 1921 e la primavera del 1923, ci furono scioperi in molte fabbriche.

Dopo che una di queste proteste fu repressa nel sangue dal locale “signore della guerra”, i vertici del Pcc si resero conto che per rovesciare la situazione era necessario coinvolgere altre forze rivoluzionarie.

Si guardò allora a Sun Yat-sen, tornato “in pista” dopo la morte di Yuan Shikai: i bolscevichi russi lo avevano aiutato a riorganizzare a Canton il Partito nazionalista cinese (Kuomintang) e a fondare un’accademia militare per la formazione di una forza armata rivoluzionaria e, appunto, nazionalista.

2. Ai ferri corti

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L’alleanza tra comunisti e nazionalisti durò poco.

Sun Yat-sen morì nel marzo del 1925, lasciando il Kuomintang in bilico tra due correnti.

L’ala di destra prevalse e il suo leader, Chiang Kai-shek (foto), riuscì a farsi eleggere comandante in capo dell’armata nazional-rivoluzionaria.

Forte di un esercito ben preparato, nel luglio del 1926 il “generalissimo” – come fu chiamato in seguito – lanciò una grande spedizione militare verso il Nord contro i “signori della guerra” e le occupazioni straniere.

Dopo alcuni facili successi, Chiang Kai-shek considerò che fosse il momento propizio per rompere con i comunisti. E lo fece in maniera brutale: nell’aprile del 1927 scatenò a Shanghai una vasta caccia all’uomo, che proseguì per tutta l’estate.

Alla fine si contarono alcune migliaia di morti tra militanti di base, sindacalisti, operai e militari. L’avanzata verso le regioni settentrionali si concluse nel giugno del 1928 con la conquista di Pechino e con la maggior parte del Paese unificata.

Solo alcune autonomie locali erano ancora sotto il controllo dei “signori della guerra”.

Chiang Kai-shek stabilì il nuovo governo a Nanchino e ottenne il riconoscimento delle potenze straniere, esclusa l’Unione Sovietica che ruppe le relazioni diplomatiche.

3. La lunga marcia

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Nel frattempo, dopo una disastrosa insurrezione finita in un bagno di sangue, Mao Tse-tung e poche migliaia di rivoluzionari comunisti si erano rifugiati sulle montagne dello Jing- gang, nel Sud-est del Paese, e avevano fondato il primo nucleo della cosiddetta Armata rossa (foto).

Mao era convinto – in aperto contrasto con i vertici del Pcc, fedeli alla linea di Mosca – che fosse indispensabile per la causa rivoluzionaria coinvolgere le masse di contadini e intraprendere la lotta armata.

Allo scopo costituì le “basi rosse”, impostate su un’agile organizzazione militare e su radicali riforme agrarie, che diedero vita dal 1931 al 1937 alla Repubblica sovietica cinese, di cui lo stesso Mao fu il presidente.

La feroce repressione attuata da Chiang Kai-shek costrinse però il Pcc a cambiare strategia: nel gennaio 1935 a Tsunyi i vertici del partito affidarono la direzione a Mao e appoggiarono in toto la sua linea.

Il nuovo leader stava per scrivere una delle pagine più epiche nella storia della rivoluzione cinese.

Alla quinta offensiva sferrata dal Kuomintang contro le basi rosse, Mao trasformò una “semplice” ritirata strategica in una leggendaria spedizione verso il Nord per andare a combattere le truppe giapponesi penetrate dalla Corea.

La “Lunga marcia” vide un esercito di 90mila uomini percorrere in dodici mesi – sempre braccati dalle truppe di Chiang Kai-shek – quasi 10mila chilometri tra montagne, regioni impervie e grandi fiumi.

Nell’ottobre del 1935 furono solo in 7mila a raggiungere la regione settentrionale dello Shanxi, ma l’operazione fu comunque un importante successo militare e soprattutto politico.

L’impresa guidata da Mao mise infatti in evidenza come Chiang Kai-shek preferisse continuare la guerra interna piuttosto che combattere l’invasore straniero.

4. I due nemici

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La priorità, per la Cina, era invece proprio arginare l’avanzata nipponica.

Nazionalisti e comunisti furono comunque costretti a fare fronte comune nella Seconda guerra sino-giapponese.

Iniziata nel 1937, confluì nel secondo conflitto mondiale, di cui fu uno dei capitoli più cruenti. Alla fine, dopo la disfatta del Giappone nel 1945, la guerra civile riprese.

Nell’estate dell’anno dopo Chiang Kai-shek, forte dell’appoggio degli Stati Uniti (preoccupati per l’avvento di un regime comunista in Cina), sferrò una gigantesca offensiva contro i guerriglieri rossi.

Mao sembrava battuto. Ma il controllo del Kuomintang era costato tantissimo in termini economici e vite umane. La situazione stava per cambiare in maniera irreversibile.

Nel giugno del 1947 gli uomini di Mao – riorganizzati nell’Esercito popolare di liberazione – passarono al contrattacco mettendo a segno un successo dopo l’altro, fino a costringere Chiang Kai-shek alla fuga.

Il “generalissimo” dovette trasferirsi col suo governo nell’isola di Taiwan, mentre il 1° ottobre 1949, a Pechino, Mao proclamava la nascita della Repubblica popolare cinese (foto).

La Cina si avviava sulla tortuosa strada della modernizzazione.



5. Chiang Kai-shek il nazionalista e Mao Tse-tung il comunista

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  • Chiang Kai-shek il nazionalista
    Dopo aver combattuto per rovesciare la dinastia Qing, nel 1912 aderì al Kuomintang (il partito nazionalista), assumendone dopo pochi anni le rendini.
    Anche se il “generalissimo” fu l’artefice nel 1926 della riunificazione della Cina e contribuì a liberare il Paese nel secondo conflitto mondiale, non è mai stato popolare tra i cinesi.
    Forse per via dell’ossessione della sua vita: l’eliminazione dei comunisti. Ci provò in tutti i modi, anche quando le truppe giapponesi entrarono nel territorio cinese.
    Per questo fu arrestato da alcuni suoi stessi ufficiali nel cosiddetto “incidente di Xi’an” e liberato solo dopo essersi impegnato a intraprendere la resistenza armata contro le truppe nipponiche.
    Nemmeno il generoso aiuto degli Stati Uniti bastò a Chiang Kai-shek per portare a termine la sua missione.
    Anzi nel 1949, mentre Mao faceva nascere la repubblica popolare cinese, fu costretto a fuggire sull'isola di Taiwan dove fu il presidente di un regime autoritario fino alla fine dei suoi giorni (1975).
  • Mao Tse-tung il comunista
    Sono passati circa cinquant'anni da quando i giovani cinesi osannavano Mao Tse-tung, sventolando il “libretto rosso” con le sue citazioni.
    Oggi, in una Cina che ha scelto il capitalismo, l'eredità di una delle figure più controverse del XX secolo non trova più lo stesso entusiasmo.
    Si preferisce ricordare che le spoglie custodite nel mausoleo in piazza Tienanmen, a Pechino, appartengono al più importante padre della patria.
    A incidere sulla memoria, infatti, c’è la durissima politica attuata da Mao per far ripartire un Paese economicamente a terra: la collettivizzazione agraria, la statalizzazione delle imprese e la costruzione di un’industria moderna favorirono la ripresa, ma il prezzo fu pesantissimo in termini di vite umane.
    Ancora più drammatico fu il bilancio causato dal cosiddetto “Grande balzo in avanti” che Mao lanciò nel 1958 per accelerare la produttività con il motto “20 anni in un giorno”.
    Uno sforzo (fallimentare) che portò alla morte milioni di persone per carestia.








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