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New York: 5 cose bizzarre da fare almeno 1 volta nella vita

New York è una vertigine. In qualsiasi direzione la si osservi, questa città sfugge al controllo dello sguardo: che gli occhi corrano attraverso il canyon di Fifth Avenue o si alzi il naso fino alla cima argentata del Chrysler Building, che ci si volti verso gli infiniti quartieri residenziali del Queens o si giri la testa verso la ragnatela di cemento del New Jersey, che ci si avventuri con una torcia nei suoi tormentati sotterranei o si passeggi teneramente mano nella mano a Central Park, New York è più simile a un’allucinazione che a una città.

Anche se non ci siete ancora stati, New York l’avete già vista. Fantasia e realtà qui si confondono: non esiste angolo di questa città che non sia stato fotografato, filmato, descritto nei versi di una canzone o nelle pagine di un romanzo. E, per uno strano gioco di specchi, sembra che la New York dei film di Woody Allen si rifletta in quella dei fumetti di Spiderman e in ogni altra New York possibile: una sovrapposta all’altra, e tutte invariabilmente vere.

Se andate a New York, evitate di dire di essere stati in America: se gli Stati Uniti sono una regola, questa città è l’eccezione. New York non si sente americana, così come non ostenta le sue radici europee e non coltiva il suo futuro asiatico e latinoamericano. Per questo è odiata dal resto dell’America almeno quanto è amata dal resto del mondo. È l’unica città al mondo che è uguale solo a se stessa. L'America inizia a New Jersey. A New York il tempo non esiste e ci sono migliaia di cose fare.

Oggi vi proponiamo 5 cose da fare, se vi trovate in questa affascinante metropoli, diverse dalle solite cose proposte nei soliti giri turistici. E se volte scoprire tantissime altre proposte molto originali, vi consigliamo di leggere il libro "101 cose da fare a New York almeno una volta nella vita" di Gianfranco Cordara e F. Piacentini.

 

1. Comprare un pupazzo dei Muppets da FAO Schwarz

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Dove: 767 Fifth Avenue

Vi ricordate il film Big, in cui Tom Hanks suonava il piano gigante con i piedi? Desiderate fare la stessa cosa? A New York esiste un posto dove i sogni diventano realtà, al numero 767 della Fifth Avenue.

Si tratta del leggendario FAO Schwarz, il tempio dei giocattoli che da più di cent’anni anni incanta adulti e bambini con i suoi giganteschi peluche, giochi di ogni tipo e, soprattutto, con il suo pianoforte gigante.

Sopra i suoi tasti, un giovane ballerino o musicista esegue semplici coreografie, riproducendo musiche famose e invitando i passanti a salire. Quando l’ho visto scatenarsi per la prima volta, ho inserito il suo mestiere nella mia lista dei lavori più divertenti del mondo! Il pianoforte, naturalmente, è a disposizione di chiunque si voglia divertire.

Dopo aver fatto quattro salti sul piano, potrete cominciare a addentrarvi tra le fila di automobiline di lusso, morbidissimi pupazzi e ogni genere di giocattolo che la mente umana possa concepire. Solo un piccolo consiglio: se visitate FAO Schwarz nel periodo di Natale, mettete in conto di dover fare una lunga coda prima di entrare.

Mentre aspetterete ansiosi sulla Fifth Avenue, vi sembrerà di essere Charlie Bucket davanti ai cancelli della fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Anche in questo caso, vi garantisco che la vostra pazienza sarà premiata. Il vostro Natale sarà più dolce a New York, se tornerete a casa con un pupazzo di FAO Schwarz.

I più famosi sono quelli dedicati ai Muppets, i simpatici personaggi con gli occhi sporgenti e la bocca larga creati dal geniale burattinaio Jim Henson, protagonisti di due celebri trasmissioni televisive nate negli Stati Uniti, ma trasmesse in gran parte del mondo: il Muppet Show e Sesame Street (Sesamo apriti nella versione italiana). Chiedete ai gentilissimi commessi di FAO Schwarz di mostrarvi l’intera collezione. Tra le numerose informazioni che
saranno pronti a fornirvi, magari vi spiegheranno che la parola muppet deriva dalla combinazione delle parole marionette (“marionetta”) e puppet (“pupazzo”).

Infatti, noterete che i Muppets si distinguono dai pupazzi dei ventriloqui (che muovono solo la testa e la bocca o le braccia), sia perché sono fatti di materiali morbidi sia perché il loro intero corpo è mobile ed espressivo. Dall’orsetto Fozzie alla ranocchia Kermit, da Beaker a Gonzo, nel negozio di FAO Schwarz troverete tutti, ma proprio tutti i personaggi. E non saprete quale abbracciare per primo! Poi, una volta deciso qual è il Muppet del vostro cuore, correte a casa a metterlo sotto l’albero. Senza dubbio rallegrerà le vostre feste.

2. Cercare i propri antenati a Ellis Island

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Dove: Ellis Island Immigration Museum (vaporetto da Battery Park)

Immaginate di aver passato due settimane nella cabina di terza classe di un transatlantico: e dimenticatevi che ci fosse DiCaprio a farvi compagnia. Improvvisamente, una mattina, la nebbia si dirada e dall’oblò delle latrine intravedete la Statua della Libertà. La porta dell’America si spalanca di fronte a voi: tutti i vostri sogni, chiusi in una valigia di cartone, improvvisamente stanno per aprirsi… quando la nave svolta leggermente a destra e attracca in un’isoletta vicina a Lady Liberty. Benvenuti a Ellis Island. Il vostro incubo è appena cominciato.

Per più di cinquant’anni, dal 1892 al 1954, questo palazzo marroncino e bianco, insieme alle catapecchie che lo circondavano, è stato la soglia d’ingresso negli Stati Uniti. Quindici milioni di immigrati sono passati attraverso “l’Isola delle lacrime” e, oggi, almeno un terzo degli americani possono rintracciare le loro origini nei poderosi archivi digitali che sono a disposizione dei visitatori.

Ellis Island, nei ricordi di chi ci è passato, è simile a un girone infernale, nel quale solo i più forti sono riusciti a sopravvivere: come se la nascita di una nazione avesse bisogno di una mitologia di sangue da cui fare emergere il futuro. Ma la realtà, per una volta, è diversa dalla leggenda: il tempo di passaggio medio variava da due a cinque ore (più o meno gli stessi tempi che ci vogliono all’Immigration del JFK nelle ore di punta…), e solo il 2 per cento degli immigranti furono rimandati indietro, quasi sempre per motivi di salute molto gravi.

Ellis Island era una porta aperta per tutte quelle anime stanche che sognavano di ricostruire una vita nella terra delle opportunità: ogni oggetto che vedrete nella Baggage Room è un pezzo di memoria, in cui la Storia si incrocia con le tante piccole storie degli immigranti, che avrebbero fatto grande questa nazione.

Scorrete i nomi della Registry Room, per cercare i vostri antenati, o solo qualcuno che porta il vostro stesso cognome: oppure leggete semplicemente i nomi delle persone, delle navi, le date d’arrivo, e liberate la fantasia, aprite la mente e ascoltate le voci che arrivano dai duecentomila nomi scritti sull’American Immigrant Wall. Perché quello che sentirete, girando per i corridoi e i grandi stanzoni dell’Immigration Museum, non è la disperazione: è una grande tristezza per il mondo che ci si lasciava alle spalle, unita al gusto unico della speranza per quello che si sarebbe trovato poco più in là, a Manhattan, l’isola in cui tutto era possibile.

3. Ruotare il gigantesco cubo di Astor Place

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Dove: Astor Place

Chi non si è mai sentito dire «Meet me at the Cube!» durante il proprio soggiorno newyorkese? Questa frase è un must per chiunque abbia vissuto almeno qualche settimana a New York. Ma se siete tra coloro che mettono piede per la prima volta nella Grande Mela, forse è il caso di precisare che non stiamo parlando né del cubo di Rubik né del film The Cube.

Alamo – questo è il suo nome “vero” – è un grande cubo nero di acciaio, appoggiato su un angolo nella mini isola pedonale, al centro di Astor Place. Siamo a ridosso dell’East Village, uno dei quartieri più trendy di New York, che negli anni Sessanta ha accolto i figli della Beat Generation. A loro sono seguiti gli hippy e i punk, e ancora oggi, nei numerosi locali di musica sperimentale, si respira lo spirito di ribellione. Astor Place brulica di studenti, turisti e street artists.

Non è un caso che il Cubo sia stato costruito in una piazza che ogni giorno funge da crocevia tra i quartieri di Noho, Greenwich Village e East Village. Riconoscibile a colpo d’occhio, il Cubo si presta infatti come punto di riferimento ideale non solo per i turisti inesperti, ma anche per gli stessi newyorkesi. Sebbene sia forse uno dei simboli meno appariscenti della Grande Mela, è senz’altro uno dei più amati e dei più vissuti.

Punto di incontro indiscusso dei ragazzi che frequentano il Village, il cubo è un testimone silenzioso che osserva l’evoluzione delle mode e delle subculture giovanili. Ma se queste cambiano con il passare del tempo, le abitudini rimangono invece le stesse: davanti al Cubo si conosce gente, si dà appuntamento alla fidanzata, ci si ferma per una sosta dopo aver preso un frappuccino da Starbucks, si pianifica la serata mentre si aspettano gli amici.

Probabilmente Tony Rosenthal, l’artista che ha costruito il cubo, non avrebbe mai immaginato che la sua opera sarebbe diventata una sorta di “tela” a disposizione della creatività collettiva di turisti e artisti. Qualche esempio concreto? Alamo è stato ricoperto di disegni fatti con il gessetto e decorato da decine di LED colorati, attaccati con dei magneti. Certo, si direbbe impossibile che una scultura alta quattro metri e mezzo, che pesa ottocentoventi chilogrammi, possa girare su se stessa. E invece, leggenda vuole che sia possibile far ruotare il Cubo sulla sua piattaforma.

Non provate a spingerlo, però! Non riuscirete a muoverlo neanche di un millimetro. Il segreto è fare leva sugli angoli, ma è difficile che sia sufficiente la forza di una persona sola: meglio provare in compagnia. In fondo, a New York, sotto il Cubo, un amico si trova sempre.

4. Aggirarsi tra le misteriose lapidi del cimitero della Trinity Church

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Dove: 205 Hudson Street.

Vi diranno che l’America è senza storia: tutta grattacieli di metallo e gran canyon di pietra. Se poi pensate che la storia, quella ufficiale che qualcuno scrive, qui è iniziata solo alla fine del 1500, verrebbe da dire che le malelingue non hanno poi tutti i torti. In realtà, gli americani adorano la storia, soprattutto la loro, e la celebrano come noi europei non potremmo mai fare, avendone “troppa”, se troppa storia si può avere.

Qui ogni singolo sito storico è tracciato con cura, spiegato con passione, organizzato con intelligenza per permettere a tutti di goderne, come fosse uno spettacolo di Broadway. Prendete New York, per esempio: è una città ricca di storia, solo che qui la storia va cercata.

Se siete turisti distratti, non saprete certo che New York ha un’origine olandese, che risale al 1625, quando un gruppo di commercianti di pellicce fondò un avamposto sulla punta estrema di Manhattan e lo chiamò New Amsterdam. Solo nel 1674 New Amsterdam passò definitivamente agli inglesi e venne ribattezzata con il suo nome attuale, New York.

Ci sono pochi posti a Manhattan dove assaporare ancora quello spirito pionieristico: uno di questi è la Trinity Church e ancora di più il suo affascinante cimitero. L’edificio, per chi è abituato alle cattedrali europee, non è favoloso. È una piccola costruzione di mattoni in stile gothic revival e risale “solo” al 1846. La Trinity Church è in realtà molto più antica: fu fondata nel 1697, ma venne distrutta diverse volte, l’ultima durante il grande incendio di New York nel 1776.

Il cimitero, invece, è uno dei luoghi più magici della città. Un lembo di prato all’inglese stretto tra i grattacieli intorno a Wall Street: la lapide più antica risale al 1681, quando la città viveva ancora la paura degli attacchi indiani. La più famosa è quella di Robert Fulton, l’inventore della macchina a vapore. E poi Astor, Johnson, Hamilton, Mason, Woodham, Talbot, i cognomi delle famiglie che hanno costruito questa città, su lapidi di pietra dalla fattura antica e aristrocratica.

Non cercate di seguire la storia, cercate piuttosto di sentirla: passeggiate tra le lapidi, leggete i nomi e lasciate che sia la vostra fantasia a fare il resto… Senza esagerare, però, dal momento che è da questo cimitero che si apriva il passaggio segreto verso il tesoro dei templari nel finale dell'omonimo film con Nicolas Cage!



5. Gustare la bistecca più grande d'America da Peter Luger

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Dove: 178 Broadway, Brooklyn

Peter Luger è una delle steakhouse più antiche e rinomate di New York, dove non troverete che succulente T-bone alte 5 centimetri, servite con una salsa speciale. Be’, in realtà troverete anche altro: bistecca per due, bistecca per tre, fino a un massimo di quattro.

A onor del vero, il menu non è così just steak oriented e, sebbene le bistecche siano il fiore all’occhiello di questo ristorante, la scelta è varia e potrete trovare anche ottimi piatti a base di pollo, agnello e pesce. Fate molta attenzione quando arriva il piatto: è inclinato per permettere al grasso di colare in fondo, mentre i bordi sono bollenti in modo tale che il cliente possa cuocere ulteriormente la sua fetta di carne, rigorosamente servita al sangue.

Punto forte del ristornate è la selezione. Qui arriva solo la migliore carne selezionata dall’USDA (United States Department of Agricolture) e dal banco del macellaio passa direttamente alle cucine. Non lasciatevi ingannare dalla sede di Great Neck: anche se più comoda perché in piena Little Italy, la location originale è a Brooklyn.

Il locale fu aperto nel 1887, nella zona in cui vivevano molti tedeschi. Peter Luger conserva un’aria da birreria, con l’arredamento in legno, i caratteri del menu goticheggianti e le pinte di birra. Negli anni Cinquanta ci fu un momento di grossa difficoltà, a causa del mutamento di fisionomia del quartiere: non più a maggioranza tedesca, nella parte sotto il Williamsburg Bridge si erano stabiliti molti ebrei osservanti e le macellerie kosher erano una concorrenza dura per la carne di Luger.

Il locale fu messo in vendita, ma l’unico a fare un’offerta fu il proprietario di una piccola fabbrica di souvenir lì accanto, Sol Forman. A suo dire, il declino del quartiere aveva reso impossibile trovare un posto adeguato dove portare i suoi clienti a pranzo, così decise di tagliare la testa al toro. Dopo venticinque anni da Luger, passare al kosher gli dovette sembrare un sacrificio eccessivo e per una cifra irrisoria rilevò il locale, senza cambiare nulla. Inutile dire cha da allora nessuna variazione della geografia umana nel quartiere ha più messo a rischio le T-bone di Peter.






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