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Piante grasse e cactacee: regole generali di coltivazione

È stato detto più volte che per i cactus non esistono i mezzi termini: o si adorano o si odiano, e l'asserzione potrebbe sembrare abbastanza esatta se si considera da un lato il fatto che moltissima gente li trova scarni e repulsivi a causa delle spine, e dall'altro che nel mondo esistono moltissime associazioni di amatori di soli cactus (nella Nuova Galles del Sud come a Vienna, a Praga, a Tokyo, a Mosca, a Zurigo e, naturalmente, a Città del Messico).

In realtà il fascino dei cactus è misterioso come le loro origini, multiforme come le piante stesse, e si intensifica man mano che si approfondisce la loro conoscenza. La più vasta famiglia di piante succulente, con oltre 2000 specie, è considerata, nella sistematica, notevolmente antica.

Infatti, per quanto delle piante grasse rimangano pochissimi fossili che ci parlino della loro storia, ne è stato ritrovato uno di una strana pianta, molto simile a una moderna Consolea, negli Stati Uniti, nell'Utah, nei terreni risalenti all'Eocene e datati approssimativamente tra i 50 e i 35 milioni di anni fa.

Questa pianta, che è stata denominata Eopuntia, è l'unica traccia che ci permette di risalire a un'epoca precedente le quattro grandi glaciazioni, che videro la comparsa e l'evoluzione dell'uomo, e ci pone il grande interrogativo di quali siano stati i rivolgimenti della crosta terrestre che hanno determinato adattamenti cosi diversi in piante che hanno mantenuto inalterati i caratteri botanici. 

La maggiore difficoltà che il coltivatore incontra con le sue piante, quali che siano, consiste nel fornire a ciascuna di esse condizioni di vita il più possibile simili a quelle originarie. Per quanto riguarda le piante grasse – e i cactus non fanno eccezione – una maggiore o minore luminosità, un'umidità mal dosata, un periodo di riposo troppo breve o troppo lungo, si risolvono, nel migliore dei casi, in una crescita esile, mancanza di colori, perdita dei sistemi di difesa propri a ogni specie, compresi tomento e pruina, assenza di fiori e, nel peggiore dei casi , nel danneggiamento del sistema radicale e nella marcescenza dei tessuti e quindi nella morte.

Per evitare tutto ciò, oggi cercheremo di esaminare meglio le regole generali di coltivazione di queste meravigliose piante, e cioè le regole riguardanti la temperatura, il clima, la luce, l'aria, il terriccio, le innaffiature, i rinvasi e la propagazione. Buona lettura.

1. Temperatura e clima

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Uno degli errori più comuni del dilettante che acquista dei cactus consiste nel credere che si tratti di piante da appartamento, ingannato spesso anche da graziose composizioni.

In realtà, quasi nessuna succulenta è adatta per la coltivazione in casa. Oggi sono pochissime le case che non posseggano il riscaldamento, troppo calde per i cactus, che durante l'inverno necessitano di un completo riposo e di una buona aerazione. All'eccessivo calore diurno corrispondono altri inconvenienti: durante la notte la temperatura diminuisce, ma non abbastanza perché vi sia l'escursione termica cui sono abituati e, soprattutto, l'aria rimane sempre asciutta, senza umidità notturna che sopperisca alla mancanza di innaffiature.

Queste dovranno essere perciò effettuate, sia pure saltuariamente, ma si tenga presente che, in mancanza di luce e aria adeguate, spingeranno la pianta a un ciclo vegetativo innaturale, con tessuti morbidi e indifesi. Nei climi temperati l'ottimale per la coltivazione dei cactus sarebbe infatti una serra, fredda o leggermente riscaldata, con una temperatura minima di 2-10°C e una massima di 8-12°C a seconda delle varie specie; tuttavia, con alcuni accorgimenti anche la coltivazione in casa è possibile.

Naturalmente le case moderne, con superfici vetrate ampie e spesso con balconi rientranti che per mezzo di vetri possono essere trasformati in verande, sono quelle che offrono maggiori possibilità per la coltivazione di ogni tipo di piante, e quindi anche per i cactus. Bisogna tener presente che è proprio presso i vetri che l'umidità notturna si condensa per la differenza di temperatura fra l'esterno e l'interno; ponendo quindi i cactus presso i vetri sul davanzale interno, essi non soltanto godranno del sole nelle buone giornate, ma anche di una relativa frescura durante la notte e di una umidità che sarà sufficiente a mantenere turgidi i tessuti senza dover procedere a innaffiature.

Anche il fatto che sollo le finestre spesso vi siano i radiatori del riscaldamento non porterà alcun danno: basta che sopra di essi si ponga una mensola in modo che vi sia sotto un'intercapedine d'aria e le piante siano poste su dei vassoi su di uno strato di ghiaia o di argilla espansa (rigorosamente asciutta, al contrario di quanto avviene per le piante tropicali). Tale strato sarà solo leggermente inumidito di tanto in tanto se si noterà un raggrinzi mento dovuto all'eccessivo calore. Una mensola dello stesso genere, che rimanga alla stessa altezza del davanzale, può risolvere il problema anche nelle vecchie case con finestre di tipo tradizionale: appoggiata su montanti laterali nello sguincio, che di solito è più largo che nelle case moderne, può anche essere rimovibile.

Certo, se la finestra si apre in dentro, per spalancarla bisognerà spostare i vassoi, ma nel caso di piccole piante il fastidio sarà minimo: questa sistemazione è particolarmente indicata per le giovani piante, che sono maggiormente delicate e gradiscono qualche grado di più, dosando l'acqua per dare comunque un periodo di riposo. L'unico inconveniente è che quasi nessun cactus fiorirà in tali condizioni, ma dato che essi fioriscono soltanto quando sono adulti, per quelli allo stadio giovanile non farà alcuna differenza.

Nel caso si abbia un giardino o un terrazzo, l'ideale sarà predisporre un riparo, il cui tipo varierà a seconda delle condizioni climatiche della località. Nelle regioni più favorite, come il Meridione o la Riviera, è spesso sufficiente un semplice riparo superiore, in vetro o plastica rigida, che isoli le piante dalle brinate e le protegga dalla pioggia o, peggio, dalla grandine. Dove la temperatura scenda abitualmente, e per periodi piuttosto lunghi, sotto O°C oppure quando si abbiano piante adulte che non sia possibile o conveniente riparare in casa, sarebbe meglio mettere in opera una serra, sia pure smontabile, di grandezza adeguata alle proprie esigenze.

Essa potrà avere montanti in legno nei luoghi meno piovosi o ventosi; in tal caso potrà essere anche artigianale, rivestita in pesante plastica, e senza dubbio gli amatori del "fai-da-te" non avranno bisogno di alcuna indicazione in merito tranne due puramente tecniche: occorre che la plastica sia sollevabile a sud in modo da poter arieggiare nei giorni di buon tempo, e bisogna predisporre degli agganci per coprire la parte superiore con stuoie nelle notti più fredde in modo da non far troppo disperdere il calore diurno.

Esistono poi oggi serre commerciali facilmente montabi­li. Se sono in vetro si potrà, nei climi più freddi, riscaldarle un po', quando occorra, con una stufetta elettrica, cosa non molto consigliabile, al contrario, con la plastica, che potrebbe dilatarsi o rovinarsi in corrispondenza di calore diretto e non equilibrato. La necessità di un'aerazione periodica e razionale sarà però anche più imperativa, perché le piante sotto vetro sono soggette ad attacchi parassitari, e inoltre la condensazione costante dell'umidità provocherebbe a lungo andare la comparsa di alghe verdi sui vetri, non diversamente da quanto accade ai vetri di un acquario.

Durante l'estate i cactus dovrebbero essere messi comunque all'aper­to, al sole, a mezz'ombra o all'ombra a seconda della specie. È certo difficile dire quando ciò può avvenire, poiché anche per la medesima località si hanno variazioni stagionali. In genere si aspetta che la temperatura raggiunga per un certo periodo i 12-18 °C, dato che è sperabile che in tal caso non si presentino più abbassamenti repentini. A questa temperatura la maggior parte dei cactus incomincia a mostrare i primi segni di crescita, che però, a volte, rallenterà o cesserà durante l'estate.

Infatti, non solo il fortissimo caldo dei luoghi d'origine è temperato dalle notti fresche, ma per lo più essi sono nativi di latitudini inferiori a quella dett'ltalia centrale, e quindi con un minor numero di ore di sole. Nelle nostre estati - e anche in quette di climi continentali freddi in inverno - la temperatura può superare i 30 °C all'ombra, con minimi notturni sopra i 20 °C, per di più con 13-15 ore di sole. In tal caso i cactus cadono in un semiriposo pur avendo bisogno di innaffiature regolari. Sarebbe certo meglio, quando il caldo assume tali proporzioni, riparare dal sole pomeridiano anche le specie che desiderano posizioni assolate. 

2. Luce, aria e il terriccio

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Quasi tutte le specie della famiglia desiderano più aria possibile, e la maggior parte posizioni assolate.

Bisogna però considerare che durante i mesi invernali, per quanto accuratamente le piante siano state tenute, i tessuti si sono indeboliti e hanno perduto le loro difese, così che il trasferimento all'aperto, se non viene graduato, provoca all'epidermide scottature che cicatrizzeranno, ma lasceranno la pianta deturpata per sempre. Del resto anche le piante mantenute dietro i vetri dovranno essere riparate dal sole con una leggera tendina quando i raggi siano brillanti e incidano con molto calore, dato che attraverso il vetro la luce solare può essere veramente micidiale.

Le giovani piante sono molto più sensibili di quelle adulte, dato che in natura è ben difficile che un seme riesca a germinare e crescere in pieno sole: in natura vi sono, per lo più, altre piante xerofite o annuali, oppure rocce, che mantengono la plantula sotto la loro ala protettiva durante la fase vegetativa. Per quanto riguarda i cactus epifiti o semiepifiti dette foreste, essi richiedono ombra o semiombra per tutta la loro vita, com'è logico date le loro stazioni d'origine.

Alcuni ibridi di Epiphyllum tollerano un po' di sole a causa degli incroci con Heliocereus, ma sono eccezioni, e in generale una posizione luminosissima ma a mezz'ombra permette la produzione di fiori più abbondanti e più belli.Condizione assolutamente indispensabile per tutte le appartenenti alla famiglia, di qualsiasi specie si tratti, è che il terreno sia poroso e perfettamente drenato in modo da non consentire ristagni d'acqua che, saturandolo, porterebbero al marciume delle radici e alla morte detta pianta.

Molte persone credono che i cactus possano essere mantenuti sempre asciutti o quasi, e di risolvere così il problema. Questo non è affatto vero perché, se un terriccio saturo d'acqua porta alla marcescenza, un terriccio asciutto ma compatto che non permetta all'ossigeno di penetrarci conduce all'asfissia delle radici, ed è cosi che si riesce a far seccare anche una pianta succulenta. È vero che molte specie vivono in natura in terreni rocciosi e duri, ma bisognereb­be andare a vedere dove le loro radici si spingono, aggirando gli ostacoli e approfondendosi nel terreno sinché non trovano la possibili­tà di espandersi, ciò che in vaso non può accadere.

Questo substrato, oltre che porosissimo, dovrà sempre essere esente da qualsiasi materiale organico in decomposizione e ricchissimo di sali minerali per i cactus del deserto e della montagna; più umifero, con terra di foglie del tutto decomposte e un po' di stallatico completamente maturo o altro fertilizzante equivalente per le epifite e le semiepifite che vengono coltivate soprattutto per i fiori, come Epiphylum, Hylocereus, Selenicereus; le Rhipsalis e i generi affini coltivati in vaso debbono avere per la maggior parte terra di foglie e torba.

Oltre alla sabbia, obbligatoria per tutte, le piante delicate o molto giovani si avvantaggeranno di tritume di carbone di legna che neutralizzi le eventuali fermentazioni di residui organici; sia il normale carbone frantumato sia il cosiddetto carbone attivo venduto per i filtri d'acquario dovranno essere prima lavati in un colino o in una garza. Per le piante in vaso possiamo considerare quattro tipi di composto di base, che con l'esperienza potrà essere variato a seconda delle proprie esigenze (ogni coltivatore appassionato ha delle sue ricette particolari e segrete).

Per esempio, il brecciolino è sostituito spesso da piccolissime palline di argilla espansa o polistirolo; tuttavia, se si cercherà la sabbia da costruzione usata per fare la malta, si vedrà che vi è già mescolata ghiaia di varia grandezza: basterà scuoterla, poco per volta, e togliere la più grossa per avere in pratica già due degli elementi mescolati. Il cosiddetto terriccio universale è da evitare perché è torboso, mantiene l'umidità e si ammassa facilmente. Si potrà eventualmente sostituirlo alla terra di foglie se questa risultasse di difficile reperimento, ma in tal caso la proporzione dovrà essere minore.

Per quanto riguarda il concime, oltre allo stallatico maturo, difficile da rintracciare oggi, si può usarne altri, ma i cactus, data la mancanza di foglie, non hanno bisogno di azoto. Sulle confezioni di fertilizzanti sono indicati (o dovrebbero) 3 numeri: il primo rappresenta la percen­tuale di azoto, il secondo di fosforo, il terzo di potassio. Ogni concime per i cactus dovrebbe avere il primo numero assai più basso degli altri due, che incrementano la fioritura e la vegetazione. La concima­zione deve però essere evitata il più possibile; eventualmente è meglio usare nel substrato un concime granulare che si scioglie lentamente e la cui azione è molto lunga.

Una cosa contro cui bisogna mettere in guardia sono i consigli contrastanti che si potranno trovare riguardo l'acidità o l'alcalinità del terreno. Molte specie vivono in terreno calcareo, e quindi si consiglia di aggiungere un po' di calcinacci o di gusci di molluschi triturati sino a renderli quasi polvere per irrobustire le spine forti o colorate. Non bisogna esagerare perché si può arrivare a un'ipercalcificazione delle spine e a un ispessimento dei tessuti, ma è pur sempre vero che, tranne per le Rhipsalis, un terreno acido è dannoso.

Nel migliore dei casi le piante appaiono in perfetta salute, ma con un aspetto troppo florido e, in qualche modo, innaturale: se questo è commercialmente conveniente, può provocare problemi al dilettante, al quale occorrono piante resistenti il più possibile.

3. Le innaffiature

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Vi sono molte persone che sono convinte che ai cactus si debba dispensare l'acqua con un "ditale". Si tratta in genere delle stesse persone che dicono: "In casa mia nessuna pianta resiste».

Se agiscono come parlano, la cosa è spiegabile. Non si ripeterà mai abbastanza che la maggioranza dei cactus deve avere un periodo di riposo, che per noi coincide con l'inverno, quando potranno essere mantenuti anche un mese senza innaffiature, soprattutto a temperature piuttosto basse, ma durante il periodo vegetativo è veramente una vigliaccheria degli umani approfittare del fatto che, non possedendo foglie che appassiscono, non sanno come dimostra­re tempestivamente il loro bisogno di acqua e la loro sofferenza per la sua mancanza.

Come al solito, per quanto riguarda le innaffiature non vi sono regole precise e generali in merito, perché le varianti sono troppe. Si potrà, al massimo, fare un esempio che andrà poi rapportato ai vari fattori. Prendendo come pianta tipo un cactus del deserto in un vaso di terracotta di grandezza equilibrata alla pianta, mantenuto in inverno dietro i vetri di una finestra a una temperatura di 18-20 °C e in estate all'aperto al sole, si potrà dire che: a gennaio potrà essere innaffiato una volta, due al massimo, e nebulizzato sul fusto tre o quattro volte. In febbraio le innaffiature potranno essere due-tre, e in marzo-aprile quattro, sempre integrando con qualche nebulizzazione.

In maggio si potrà cominciare a metterlo fuori a mezz'ombra o con poche ore di sole e 4-5 innaffiature saranno sufficienti se il caldo non comincia a essere forte. Dal momento in cui sarà posto al sole, le innaffiature dovranno essere ravvicinate; dalla fine di giugno a settembre anche giornaliere. Con l'abbassarsi della temperatura (dato quanto mai variabile), si effettuerà l'inverso fino ad arrivare a dare l'acqua un paio di volte in dicembre, con qualche nebulizzazione. Per innaffiature non si intende certo il ditale, ma una quantità di acqua che, pur scolando liberamente se in eccesso, imbeva bene tutto il terriccio. Sarebbe anzi meglio effettuare l'innaffiatura in due tempi, cessando appena l'acqua incomincia a uscire e ripetendo l'operazione, più parsimoniosamente, dieci minuti dopo.

È infatti possibile che la terra sia troppo asciutta e non assorba l'acqua al centro della zolla, ma la lasci scorrere lungo le pareti del vaso. Per tale motivo le innaffiature invernali, distanziate, saranno fatte per immersione, mettendo il vaso in un recipiente pieno d'acqua, che raggiunga quasi il bordo, e tenendovelo per mezz'ora, e poi lasciando che scoli bene prima di rimetterlo al suo posto. Le piogge estive non debbono preoccupare se sono distanziate; anzi, costituiranno una vera cura di bellezza per i cactus abituati anche ai cicloni. Certo, un periodo troppo lungo di piogge, come può accadere in certi climi, sarà troppo per le piante, che dovranno essere riparate in qualche modo.

A volte, in estate, rovesci quasi improvvisi sono seguiti da sole smagliante; è ovvio che nulla si può fare per impedirlo, né sembra che le piante ne risentano affatto. Tuttavia non è bene seguire l'esempio di tali eventi naturali; le innaffiature saranno eseguite sem pre quando il vaso non è riscaldato dall'incidenza dei raggi solari. È dubbio che qualcuno sia disposto a innaffiare prima dell'alba (che in estate è assai presto), e comunque la pianta ne trarrebbe beneficio per poche ore.

Innaffiando dopo il tramonto, o comunque quando il vaso sia raffreddato dal calore solare, si ha il vantaggio di mantenere la temperatura più fresca nella terra per tutta la notte. L'acqua non presenta problemi, anche se, teoricamente, dovrebbe essere libera dal cloro e dai sali alcalini. Quella confacente all'organismo umano sembra andare benissimo anche per i cactus. Ciò invece che è assolutamente necessario è che l'acqua usata per le nebulizzazioni sia il più possibile simile all'acqua distillata.

A questo scopo può andar bene quella ricavata dalla brina di un congelatore (ma riportata a temperatura ambiente prima dell'uso) oppure basta far bollire quella di rubinetto per mezz'ora e quindi versarla piano in modo da decantarla dai sali depositati. L'acqua normale lascerebbe delle brutte macchie biancastre sui fusti, ostruirebbe gli stomi e a lungo andare renderebbe inservibile il nebulizzatore. Del resto, una pentola d'acqua versata in bottiglie basterà per tutto l'inverno.

Le specie epifite e semiepifite delle Epiphylanae e delle Rhipsalidanae debbono avere solo un breve riposo dopo la fioritura, durante il quale saranno innaffiate assai poco, ma con frequenti spruzzature in modo che i fusti non raggrinziscano. Gli Epiphyllum mantenuti a basse temperature durante l'inverno avranno il riposo molto più accentuato. 

4. I rinvasi

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In natura i cactus possono avere radici che si estendono per metri o che penetrano profondamente nel terreno, ma si tratta di piante molto docili che in coltivazione raggiungono anche proporzioni rispettabili mantenendo un sistema radicale ridotto, rallentando, di conseguenza, solo la crescita.

È difficile asserire che rinvasare un cactus sia una di quelle operazioni di giardinaggio cui ci si accinge con gioia: di fronte a un globo irto di spine o, peggio ancora, a una Opuntia il compito appare quanto mai sgradevole. Vi sono però dei sistemi per semplificare l'operazione. Sarebbe certamente assurdo procedere come per le altre piante, battendo l'orlo del vaso su di un angolo duro e facendo cadere la zolla nella mano: prima della zolla, arriverebbero sul palmo le spine e i glochidi.

I vasi dei cactus vanno adagiati su una superficie dura e battuti leggermente ma con decisione lateralmente, ruotandoli, in modo che la zolla, se possibile, si distacchi dalle pareti del vaso. Questo è più facile che accada con i vasi di plastica, cui le radici non si attaccano, al contrario di quanto accade con quelli di terracotta. Se le radici aderiscono troppo fermamente, si raddrizza il vaso, si infila la lama di un coltello aderente alla parete e la si fa scorrere tutt'intorno tagliando le radicole in modo da isolare la zolla di terra.

Nei vecchi cactus globulari tipo Echinopsis e altri a volte la parte rigonfia del fusto eccede il bordo del vaso e non è possibile effettuare nessuna delle due operazioni senza straziare tessuti e spine. In tal caso occorrerà rompere il vaso. Una volta staccata la zolla, si batterà più forte, sempre lateralmente, l'orlo: in moltissimi casi ciò basterà perché, scuotendo leggermente il vaso, l'intero sistema radicale che rinchiude la terra scivoli fuori. Altrimenti si spingerà con un bastoncino attraverso il foro di scolo finché questo avvenga.

Prendendo quindi con le dita il fascio di radici, con il bastoncino si farà cadere via un po' della vecchia terra; se le radici hanno formato un fitto strato feltroso tutt'intorno, si tratta di radici disseccate che vanno tagliate via con un coltellino o con le forbici perché, per quanta nuova terra si metta, esse impediranno a quelle nuove di estendersi. Il nuovo vaso, proporzionale alla grandezza della pianta, ma in ogni modo non molto più grande, dovrà avere, oltre al coccio sul foro di scolo, un drenaggio fatto di ghiaia, di argilla espansa o di pezzetti di terracotta per un'altezza rapportata alla sua grandezza: i vasi piccoli dovranno averlo bassissimo, altrimenti non vi sarebbe più posto per la terra; quelli di plastica, muniti di parecchi fori, avranno soltanto il drenaggio di ghiaia, meno occlusivo, dato che mantengono di più l'umidità.

Sul drenaggio si mette uno strato di terra fresca e, reggendo con le dita le radici, si farà scivolare la pianta nell'interno, aiutandosi col bastoncino per porla in centro e mantenerla verticale mentre si riempirà il vaso con altra terra fresca scuotendolo di tanto in tanto. Raggiunta una certa altezza, si presserà la terra leggermente, con un dito se vi è spazio sufficiente per non ferirsi con le spine, altrimenti con il bastoncino. È importante che il colletto del cactus non risulti mai interrato; se si è sbagliata la profondità, occorre ripetere l'operazione o, se si tratta di pochi millimetri, aggiungere un sottile strato di ghiaietta, che lascerà passare l'aria e non provocherà marciumi.

In verità, tutta l'operazione è molto più lunga a descriversi che a farsi, e tuttavia è una fortuna che i cactus non richiedano il rinvaso se non ogni due o tre anni, dato che in genere sono di crescita piuttosto lenta. Vi è però un caso in cui il rinvaso è assolutamente necessario. Molte volte si acquistano delle giovani pianti ne in vasetti piccolissimi, quelli che gli anglosassoni chiamano "Tom Thumb" (Pollicino). Un rapido sguardo al procedimento dei vivaisti per farli spiegherà molte cose. Le piantine da semina, germogliate in terrina un po' alla rinfusa, vengono ripicchettate in altre, dove hanno più spazio, in terriccio porosissimo e grossolano, crescendo a grandezza accettabile; oppure giovani polloni o pezzetti di ramificazioni sono usati per farne talee, sempre in terrine. 

Quando le une o le altre avranno sviluppato un certo apparato radicale, vengono prelevate dal terriccio e infilate con un po' di terra nei coloratissimi vasetti. L'operazione è rapida e senza rischio, ma nessuna pianta potrà poi vivere a lungo in tali condizioni; più presto sarà rinvasata in un altro vaso grande il doppio, più ne trarrà vantaggio. Se la terra è completamente asciutta, si potrà fare, dopo il rinvaso, una leggera innaffiatura. Se è già umida (e mai bagnata!), basterà spruzzare pianta e terriccio una volta al giorno per i primi due o tre giorni, procedendo poi a seconda della stagione. Inoltre, specialmente in estate, il vaso dovrà essere mantenuto all'ombra per una settimana, e messo poi gradualmente al sole.



5. La propagazione

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Il modo più comune, più rapido e più conveniente per la propagazione della maggior parte dei cactus è quello per talea. Nel caso di ibridi particolarmente fioriferi e attraenti, inoltre, la riproduzione per talea è l'unica che dia la garanzia di ottenere una pianta del tutto simile, garanzia che il seme non può mai dare.

La semina è necessaria soltanto per le specie che non emettono né ramificazioni né polloni ­ e ciò accade purtroppo per le specie più rare - e spesso è molto difficile ottenere il seme, dato che solo le piante adulte fruttificano, e non molto frequentemente nei nostri climi. Per alcune specie restie a ramificare si può tagliare la parte apicale usandola come talea: dal taglio cicatrizzato spesso la pianta emette nuovi getti. Del resto la natura, preoccupata unicamente della conservazione della specie, ha fornito le piante succulente, dato che nei loro ambienti la germinazione può essere aleatoria, dei mezzi più disparati per potersi propagare.

Nei climi mediterranei è facile vedere una pala di fico d'India, distaccatasi, giacere in terra e porre radice nel suolo più ingrato, e tale facilità può essere sfruttata in coltivazione, con alcuni accorgimenti. Tutti i cactus che presentano articoli ben distinti, infatti, possono averne uno o più adatto per talee purché sia tagliato a un nodo e si lasci che la ferita asciughi all'ombra finché i tessuti lesi non siano rimarginati in modo che non marciscano. Parlando di articoli si intende naturalmente parlare anche delle ramificazioni laterali dei Cereus e affini, e anche dei polloni basali, che non sono altro che ramificazioni emesse dal fusto principale al colletto o talvolta dalla parte sotterranea anziché dalle areole superiori.

In questo caso può essere che abbiano già posto una parte di radici individuali, e allora potranno essere invasat! subito, trattando la nuova pianta come fosse stata rinvasata. Per gli Epiphyllum, invece, una volta staccato l'articolo, sarà bene procedere a un taglio diagonale in forma di "V", togliendo la parte basale delle espansioni carnose laterali in modo che il nodo rimanga integro. Infatti, esse sono cosi succulente che potrebbero marcire, mentre cosi, una volta che la pianta sia radicata, dal nodo interrato potranno anche sorgere nuovi getti che la renderanno più accestita.

Gli articoli debbono essere prelevati con cura, in modo da non danneggiare il fusto da cui sono distaccati: è meglio usare un coltellino affilato anziché le cesoie, che possono schiacciare i tessuti. Vecchi esemplari di particolare grossezza, per esempio gli Echinocactus, possono talvolta emettere articoli laterali : è assolutamente sconsigliabile cercare di tagliarli perché la pianta madre rimarrebbe sfigurata e potrebbe anche morire. Il momento migliore per prelevare le talee è la tarda primavera e l'estate, ma l'operazione può essere estesa a tutto l'anno purché la talea sia fatta asciugare abbastanza in un posto caldo ma ben arieggiato e sia mantenuta quasi asciutta a non meno di 18°C dopo essere stata invasata.

Il tipo di terriccio adatto alle talee è quello stesso che si usa per le  piante della stessa specie, e dovrà essere quasi asciutto. Non si conficcherà mai la talea profondamente nel terreno; se è alta, si sorreggerà con un bastoncino.  I polloni globulari saranno soltanto appoggiati in un leggero incavo in modo da non interrare le areole e le spine inferiori. Per le specie più delicate è meglio usare sabbia pura: una succulenta può prosperare nella sola sabbia, purché sia grossa e non salina, per un tempo incredibile.

Per i primi giorni la piantina, mantenuta all'ombra, sarà soltanto leggermente nebulizzata, e poi si procederà con qualche parsimoniosissima innaffiatura anche nel periodo estivo finché non si sia sicuri che abbia messo radice. La semina non è molto praticata dai dilettanti. È un lavoro molto lungo che richiede spazio e pazienza. I semi delle piante rare non sono quasi mai disponibili, ed è molto difficile che un dilettante desideri avere molte piantine tutte uguali o quasi, ciò che è poi il vero scopo del settore commerciale. Inoltre, le piantine ben sviluppate dopo due o tre anni sono quelle facilissime da trovare in commercio; le altre richiedono tempi più lunghi.

Anche il tempo che occorre per la germinazione è variabile: i semi dei cactus, benché conservino la loro germinabilità per più di due anni, germogliano molto prima se sono freschi. Ma, mentre per certe specie dopo appena una settimana possono apparire i cotiledoni, altre impiegheranno un mese e alcune anche un anno, I semi di Opuntia hanno un rivestimento cosi duro che sarà bene tenerli a bagno in acqua calda per due o tre giorni prima della semina. Essi sono molto più grandi degli altri, che possono variare da piccoli a finissimi.

La semina viene generalmente fatta tra aprile e ottobre, ma in realtà ciò che occorre è una temperatura sui 21°C e una grande luminosità; appagate queste due condizioni, si potrà fare quasi a ogni stagione, ma a una temperatura minore la germinazione impiegherà più tempo e certe volte non awerrà affatto. I recipienti migliori per la semina saranno delle basse terrine di terracotta, drenate con ghiaia o frammenti di vaso sin quasi a metà della loro profondità e riempite con un miscuglio di sabbia molto grossa e terra di foglie molto matura in parti uguali.

Spesso gli esperti consigliano insieme alla sabbia perline di argilla espansa e un po' di terriccio, ed esperimenti sono fatti con pozzolana, polvere di tufo e altri materiali per i quali occorre una certa esperienza. Il substrato sarà bagnato e pressato leggermente, livellandolo con un pezzo di legno o una spatola, quindi vi si spargeranno i semi, il più regolarmente possibile, li si presserà a loro volta sul terreno e vi si spargerà sopra uno strato di sabbia sottile, leggerissimo se minuti, di circa 1/2 cm se grossi.

Per spargere con regolarità' i semi molto fini è consigliabile mescolarli con sabbia su di un foglio di carta e poi, piegando il foglio, far cadere il miscuglio uniformemente sulla superficie del terreno, che dovrà essere uno o due centimetri al di sotto dell'orlo della terrina. Le innaffiature saranno fatte per immersione, ponendo la. terrina in una bacinella con acqua e lasciando che il composto si imbeva, evitando cosi che i semi si spostino. Spesso si consiglia di ricoprire la terrina con vetro o plastica, pur arieggiando ogni tanto per evitare l'eccessiva condensazione d'umidi­tà.

Questo tipo di copertura è particolarmente indicato se la semina è fatta all'aperto, anche se all'ombra, perché soggetta al disseccamento dell'aria o del vento; al chiuso sarà meglio utilizzare carta pesante o cartone che aiutano a mantenere una leggera umidità necessaria alla germinazione pur assorbendo l'eccesso di evaporazione. Quando i cotiledoni incominciano a mostrarsi, sarà bene siringarli con un getto sottile usando una soluzione di un qualsiasi fungicida, dato che sono facilmente attaccati dalle muffe, ripetendo il trattamento anche più volte.

Non è bene prelevare le plantule troppo presto: esse dovrebbero avere almeno 1-2 cm di diametro (3-4 cm di altezza per quelle cilindriche). Se troppo fitte, potranno essere ripicchettate in altre terrine, con substrato simile, in file regolari distanziate a sufficienza, prima di invasarle singolarmente. 






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