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Platone: il suo pensiero in 10 punti

Nato ad Atene nel 428 a.C. da una famiglia aristocratica, Platone (che fu chiamato così per via delle “ampie spalle”, anche se il suo vero nome era Aristocle) è, insieme ad Aristotele, uno dei padri del pensiero occidentale.

Discepolo di Socrate, ne seguì le orme, finché costui non venne processato e costretto al suicidio nei torbidi che caratterizzarono la crisi della democrazia ateniese.

La morte di Socrate spinse Platone a elaborare l’idea secondo cui solo un governo di filosofi avrebbe potuto realizzare uno Stato giusto. Il filosofo si recò più volte anche in Sicilia per cercare (invano) di dare forma a uno Stato ideale, finendo per un breve periodo prigioniero e schiavo.

Nel 387 a.C. fondò ad Atene l’Accademia, scuola filosofica destinata a richiamare discepoli da tutta la Grecia, e iniziò la stesura dei suoi numerosi Dialoghi, indagando molti ambiti: etica, psicologia (intesa come studio dell’anima), fisica e metafisica, politica e, in generale, tutto lo scibile umano. Morì ad Atene nel 347 a.C.

La sua influenza nei secoli è stata immensa: il filosofo novecentesco Alfred North Whitehead scrisse addirittura che «tutta la storia della filosofia occidentale non è altro che una serie di note a margine su Platone».

Ecco il suo pensiero in 10 punti!

 

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1. L’ACCADEMIA, LE OPERE E I DIALOGHI

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- L’ACCADEMIA E LE OPERE

Per diffondere il suo pensiero, Platone creò, ad Atene, l’Accademia.
L’impostazione della scuola, sorta su un terreno dedicato all’eroe Academo (da cui il nome), era rivoluzionaria: anziché basarsi sull’insegnamento della retorica, i maestri dibattevano con gli allievi per giungere alla conoscenza.
Presto l’Accademia iniziò ad attrarre intellettuali da tutta la Grecia. Il contributo essenziale giunse dallo stesso Platone, che in vent’anni scrisse numerosi Dialoghi, nei quali esponeva e discuteva le teorie elaborate.
Delle 36 opere a lui attribuite (di cui solo poche sono ritenute incerte), ben 34 sono dialoghi; vi è poi una raccolta di epistole e l’Apologia di Socrate, scritto giovanile che riporta l’autodifesa pronunciata dal filosofo ateniese davanti ai giudici che lo accusavano di corrompere i giovani, di non riconoscere le divinità delle città greche e di introdurne di nuovi.
Poiché Socrate non scrisse nulla di proprio, l’Apologia è la fonte più preziosa per conoscere il suo pensiero.
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- I DIALOGHI

Secondo Platone, che in questo prende a modello Socrate, il dialogo è il modo migliore per andare alla ricerca della conoscenza.
Egli è inoltre convinto che il discorso orale abbia un valore superiore allo scritto, in quanto permette uno scambio di opinioni immediato: alla domanda segue subito e necessariamente una risposta.
Gli studiosi sono soliti raccogliere i Dialoghi platonici in gruppi cronologici, che corrisponderebbero all’evoluzione del suo pensiero; va però detto che il corpus di scritti a lui attribuiti possiede una coerenza di fondo unica e trasversale.
Ogni dialogo prende il nome da un interlocutore che, nella quasi totalità dei casi, si trova a discorrere con Socrate a proposito di singoli temi.
Tra i più importanti e celebri ricordiamo il Fedone, incentrato sull’immortalità dell’anima; il Simposio, sull’amore; la Repubblica, che discute quale sia la forma di governo ideale; il Fedro, in cui si parla della tripartizione dell’anima.
Nella foto sotto, La Morte di Socrate è un dipinto a olio su tela del pittore francese Jacques-Louis David, realizzato nel 1787 e conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.
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2. LE IDEE E LA CONOSCENZA, O GNOSI

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- LE IDEE

Uno dei concetti cardine del pensiero di Platone è quello delle “Idee” (da èidos, “forma”), intese come entità stabili, perfette, autonome e vere, collocate in un luogo al di là della realtà fisica: l’iperuranio.
Esse sono oggetto di indagine della scienza. Il mondo sensibile, invece, è costituito da cose mutevoli e imperfette che generano l’“opinione” (dòxa), un sapere soggettivo e instabile, che delle idee è solo un riflesso.
Per chiarire il suo pensiero, nel libro VII della Repubblica Platone elabora il “mito della caverna” (nella foto sotto). L’oscura grotta rappresenta il mondo sensibile, limitato e pervaso dall’ignoranza.
Al suo interno, gli uomini sono prigionieri in catene e non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada: ne percepiscono solo l’ombra e l’eco delle voci, che scambiano per realtà.
Il prigioniero che si liberasse verrebbe abbagliato dalla luce e avrebbe il dovere di mettere al corrente i compagni, che riderebbero di lui.
L’unico modo che gli uomini hanno per liberarsi è quello di applicarsi allo studio delle arti: matematica, geometria e dialettica.
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- LA CONOSCENZA, O GNOSI

Platone sostiene che la realizzazione dell’uomo possa avvenire solo attraverso la conoscenza, concetto da lui elaborato in vari Dialoghi.
Punto di partenza è l’assunto socratico secondo cui il sapiente “sa di non sapere”: grazie alla ricerca, il filosofo riesce a conoscere che cosa sia il Bene, affrancandosi dall’ignoranza, che porta a compiere il Male.
La conoscenza è il fine ultimo cui deve aspirare l’uomo per diventare un cittadino migliore.
Sul fronte opposto stanno i sofisti, i quali sostengono che la verità sia relativa, non assoluta, e dipenda dal rapporto che ha con l’esperienza; per questa ragione possono coesistere più verità antitetiche, ciascuna dimostrabile come valida attraverso il sapiente uso della retorica e della dialettica.
Platone, invece, sostiene che il filosofo debba ricercare la Verità senza la presunzione di possederla. La Verità esiste e l’uomo la contempla prima della nascita, per poi “dimenticarla” : per recuperarla deve dedicarsi alla filosofia, che agisce tramite la reminiscenza (“anamnesi”).
Apprendere, quindi, non è altro che ricordare. In questo è importante lo stimolo dei sensi, che però non conducono alla vera conoscenza, offrendone una versione parziale e fallace: soltanto l’anima può conoscere l’aspetto “vero” della realtà.
Gli stadi della conoscenza sono quattro: due della conoscenza sensitiva, l’immaginazione (eikasìa) e la credenza (pìstis), che riguardano il mondo dei sensi; e due della conoscenza intellettiva, la ragione discorsiva (diànoia) e l’intuizione intellettiva (nòesis), che permettono di comprendere, rispettivamente, le verità geometrico-matematiche e le idee.
Ma un recupero integrale della conoscenza è impossibile anche per il filosofo: essa è prerogativa soltanto degli dei. Il massimo a cui l’uomo possa aspirare è l’approccio filosofico, improntato all’amore per il sapere (questo il significato letterale di “filosofia”) e all’incessante ricerca della Verità.
Nella foto sotto, busti di Platone, Aristotele e Socrate.
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3. L’ANIMA E IL MITO DI ATLANTIDE

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- L’ANIMA

Dopo la morte del corpo, l’anima immortale trasmigra in un altro corpo.
Platone parte da questo concetto e lo collega a quello delle Idee, sostenendo che esse sono parzialmente visibili alle anime, slegate dai loro corpi.
Il ragionamento è elaborato nel Fedro, in cui si legge che, dopo la morte, le anime diventano simili a cocchi alati che procedono in schiere dietro ai carri degli dei: durante la processione alcune riescono, più distintamente di altre, a scorgere le Idee, le quali appaiono attraverso uno squarcio tra le nuvole che separano il mondo sensibile da quello soprasensibile.
Quando le anime precipitano nei corpi, reincarnandosi, dimenticano la visione delle Idee e, prigioniere dei sensi, sono portate a identificare la realtà con il mondo sensibile.
Compito del filosofo è quello di restituire all’anima, tramite il dialogo, la memoria del mondo delle Idee, persuadendola della Verità.
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- IL MITO DI ATLANTIDE

In Platone, il mito ha una funzione importante: fornisce esempi chiaramente inteleggibili, che favoriscono la comprensione pervia allegorica e la conoscenza di principi e teorie complesse.
Uno dei miti più noti utilizzati dal filosofo è quello di Atlantide, isola leggendaria menzionata nel Timeo e nel Crizia.
Secondo il racconto, Atlantide sarebbe stata una potenza navale situata oltre le Colonne d’Ercole, artefice della conquista di gran parte dell’Europa e dell’Africa novemila anni prima di
Solone (ovvero nel 9600 a.C. ca.). Infine, sarebbe stata sprofondata nell’Atlantico dal dio Poseidone.
Tale mito, quasi ignorato nel Medioevo, ispirò le opere utopiche di numerosi pensatori rinascimentali, a cominciare da Francesco Bacone nella Nuova Atlantide.
È probabile che quello di Platone sia solo un racconto immaginario, ispirato a leggende ancestrali; ma molti, in epoca moderna, si sono chiesti se Atlantide sia mai esistita e si sono dedicati alla sua (per ora infruttuosa) ricerca.
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4. L’AMORE PLATONICO E LA MATEMATICA

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- L’AMORE PLATONICO

Il mito di Eros, dio dell’amore, è utilizzato da Platone per spiegare l’anelito di conoscenza che anima il filosofo, mosso alla Verità dalla stessa brama inestinguibile che attrae due esseri umani innamorati.
Eros, infatti, è figlio di Pòros (l’ingegno) e Penìa (il bisogno): per questo la sua natura è quella di una forza, un impulso irresistibile a cercare e ottenere sempre di più, ovvero a desiderare senza posa.
Platone lo considera un démone (dàimon), più che un dio: un’entità intermedia tra il divino e l’umano, che accompagna ogni uomo fin dalla nascita.
Ma qual è l’oggetto di tanto amore e desiderio? Per Platone, si tratta della Bellezza e della Bontà: secondo il principio della kalokagathìa, tutto ciò che è bello (kalòs) è anche vero e buono (agathòs), e viceversa.
La Bellezza delle Idee, che attira l’amore intellettuale del filosofo, è perciò anche il Bene dell’uomo: un bene imperfetto se resta nella dimensione del mondo terreno e sensibile, ma che diventa perfetto se viene sublimato.
L’Amore platonico si rivolge quindi verso una dimensione trascendente e sovrasensibile, l’unica a essere eterna e perfetta. L’amore terreno, ancorato al corpo, che è immanente e imperfetto, è invece destinato alla morte.
Questo spiega la ragione per cui i platonici disprezzavano il corpo: non a caso, Platone gioca spesso con l’assonanza sèma/sòma, ossia “tomba”/“corpo”, identificando quest’ultimo come la tomba dell’anima.
Nella foto sotto, Eros assieme a Peitho, dea della persuasione.
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- LA MATEMATICA

Tra i tanti interessi di Platone c’è la matematica. In alcuni passi delle sue opere egli attribuisce ai numeri e alle forme geometriche un valore reale.
Questo ha indotto alcuni studiosi e filosofi moderni, come Bertrand Russell, a considerare Platone, insieme a Pitagora, uno dei capostipiti dello sviluppo della matematica e del pensiero razionale.
Nella foto sotto, ritratto di Pitagora da Raffaello con un grosso volume tra le mani.
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5. L’EDUCAZIONE E LA POLITICA

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- L’EDUCAZIONE

I sofisti elaborarono per primi il concetto di cultura (paidèia), intesa come metodo di formazione dell’individuo: ciò li rende precursori della moderna figura dell’educatore e dell’insegnante di professione.
La paidèia di Platone, invece, si basa sulla selezione per tappe.
Nel suo sistema ideale, il giovane è sottoposto a una prima istruzione da parte dello Stato, che comprende sia l’esercizio del corpo, ottenuto attraverso la ginnastica e il combattimento, sia quello dello spirito, impartito con l’ausilio della musica, intesa come ricerca del Bello ideale e non della bellezza sensibile.
I più meritevoli e ricettivi passano anche allo studio della matematica e dell’astronomia. Ma solo i migliori accedono all’insegnamento della filosofia e della dialettica, ottenendo le competenze necessarie per governare.
Nella foto sotto, la scuola di Platone in un dipinto ottocentesco del pittore toscano Pietro Benvenuti.
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- LA POLITICA

Il pensiero di Platone trova compimento nelle opere politiche, la Repubblica e le Leggi, che teorizzano il modello dello Stato giusto.
L’assunto di base è che il mondo è sorretto da un continuo dualismo: fra anima e corpo, fra Bene e Male, fra sapienza e ignoranza. Quindi anche tra i filosofi e coloro che, al contrario, si fermano a una conoscenza puramente sensibile.
Perché lo Stato funzioni in modo ottimale, come avviene in un organismo vivente sano, è necessario che ciascun membro della comunità svolga un compito in base al proprio livello di conoscenza.
I filosofi, che rappresentano l’anima razionale, devono governare, per garantire l’armonia delle parti; i guerrieri, incarnazione dell’anima irascibile o volitiva, sono preposti a difendere la comunità dai pericoli; artigiani e commercianti, corrispondenti all’anima concupiscibile, devono produrre i beni necessari al sostentamento di tutti.
L’assegnazione corretta dei ruoli è cruciale per il benessere dello Stato. Se le funzioni dei cittadini sono incompatibili con il loro livello di sapienza, il risultato è la degenerazione, che può manifestarsi in varie forme di governo, fino alla peggiore: la tirannide.
Il bene comune deve prevalere sull’interesse dei singoli, perché l’egoismo è padre di tutti i mali: governanti e guerrieri devono quindi essere posti al riparo da interessi terreni e personali, mettendo in comune le loro proprietà.
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