Quante ore bisogna dormire per notte?

Ognuno di noi ha un rapporto diverso con Morfeo e ogni persona fa storia a sé. I ritmi di sonno e veglia derivano infatti da patrimonio genetico, fisiologia, abitudini e ambiente e non sono definitivi.

Questi ritmi vengono modificati da come interagiamo con il mondo esterno e da come progrediamo dalla nascita alla vecchiaia.

In questo cammino, il nostro orologio interno e le nostre modalità di riposo cambiano profondamente. Come spiega il neuroscienziato inglese Russell Foster, devono essere messi in discussione alcuni falsi miti sul sonno.

In realtà non c’è una regola fissa perché ogni persona riposa in modo diverso e ha ritmi tutti suoi.

Senza generalizzare, si possono però rispettare alcune regole e mettere in atto accorgimenti utili a farci cadere prima e meglio nelle braccia di Morfeo: come abbassare le luci, non bere caffè di sera, fare un bagno o una doccia calda prima di coricarsi.

1. Quante ore per notte

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Il primo falso mito riguarda le ore che bisogna dormire per notte. Per esempio, secondo la National Sleep Foundation USA dai 18 ai 64 anni si dovrebbe dormire 7-9 ore a notte, non meno di 6 e non più di 10.

Dai 65 anni in poi, invece, occorre dormire 7-8 ore a notte e mai meno di 5. Foster obietta che non siamo tutti uguali e basarsi su un valore medio può essere fuorviante.

«L’orologio interno e la biologia del sonno possono essere paragonati alla misura delle scarpe», sostiene Foster.

«Una taglia non può essere universale e far indossare a tutti lo stesso numero sarebbe non solo sciocco, ma potenzialmente dannoso. La difficoltà nel riconoscere e cogliere questa differenza è il motivo per il quale alcuni consigli generici possono risultare eccessivamente semplicistici o completamente inutili.
Dovremmo accettare che “diverso” non necessariamente significa peggiore. Tanti pensano, per esempio, di recuperare le ore di sonno perse nella settimana svegliandosi in tarda mattinata durante il weekend. Niente di più sbagliato: in generale, non si cancelleranno così gli effetti accumulati a danno della salute quando si è riposato meno».

Altro falso mito: il tempo che trascorriamo dormendo si accorcia con l’avanzare degli anni. I ritmi circadiani diventano meno affidabili, forniscono una spinta più debole alla biologia e il sonno può diventare più frammentato.

«Comunemente si ritiene che le persone anziane abbiano bisogno di dormire meno o che non siano in grado di dormire bene, ma nessuna di queste supposizioni può essere vera», aggiunge Foster.

«Le persone anziane in genere impiegano più tempo per addormentarsi, sperimentano un riposo con interruzioni e un sonno notturno più breve. Fattori, questi, che possono tradursi in una maggiore probabilità di sonnellini diurni».

2. Gufi e allodole

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È interessante notare che specifiche sequenze genetiche possono favorire una preferenza per comportamenti serali o mattutini.

Secondo uno studio condotto dalla società biotech californiana 23andMe, su quasi 90.000 persone, molte di queste sequenze si trovano posizionate vicino a geni coinvolti nel ritmo circadiano, mentre altre riguardano quelli che controllano la percezione della luce.

Si è così visto che i tipi mattutini, o “allodole”, amano andare a dormire presto e alzarsi presto per via di un cronotipo più veloce.

Per costoro risultano anticipati alla sera il picco di melatonina e quello del cortisolo, l’ormone dello stress che rende attivi. 

Al contrario, i tipi serali, o “gufi”, hanno un cronotipo più lento e picchi dei due ormoni ritardati.

Preferiscono quindi andare a letto più tardi e dormire fino a tardi. La ricerca ha messo in luce anche che i mattinieri soffrono meno di depressione, insonnia o problemi legati al sonno/veglia.

Curiosità: Ad Einstein l’ispirazione veniva dormendo
Il sonno permette di consolidare la conoscenza e promuove il comportamento intuitivo. Sono molti gli esempi famosi di quello che viene chiamato insight, cioè la risoluzione di un problema dopo una notte di sonno.
Albert Einstein (foto sotto) è stato un esempio di intelletto alimentato da un sonno regolare e prolungato: le sue teorie della relatività furono il prodotto di regolari sonni notturni di almeno 10 ore, seguiti da giornate molto organizzate intervallate da svariati pisolini.
Dmitrij Mendeleev, che redasse la tavola periodica degli elementi, spiegava che la sua intuizione per giungere al risultato era arrivata dopo una notte di sonno, mentre il premio Nobel per la medicina Otto Loewi raccontava di aver concepito in sogno che la trasmissione dell’informazione tra cellule nervose avviene mediante sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori.
In altro contesto, Sir Paul McCartney, componente dei Beatles, si svegliò dopo una notte di riposo, nel 1964, con la melodia di Yesterday già ben definita nella sua testa.

3. Meno farmaci, più psicologia

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Un altro mito spesso ripetuto è che la melatonina sia l’ormone del sonno. Si tratta più precisamente di un modulatore lieve, prodotto soprattutto nella ghiandola pineale, una struttura situata al centro del cervello.

La ghiandola pineale segue uno schema di rilascio che la induce a produrre livelli di melatonina che aumentano al crepuscolo, raggiungono il picco nel sangue intorno alle 2-4 del mattino e poi diminuiscono verso l’alba.

Poiché anche la luce intensa rilevata dagli occhi agisce per bloccare la produzione di melatonina, si può considerare che essa agisca come un “indicatore biologico del buio”.

Mentre negli animali attivi di giorno come noi la produzione di melatonina avviene di notte durante il sonno, negli animali notturni, come i ratti e i tassi, la melatonina è prodotta anche di notte, quando sono attivi.

Quindi la melatonina non può essere un “ormone del sonno” universale. Certo, negli esseri umani si è notata una correlazione tra la tendenza a dormire e l’andamento della melatonina, ma non è ancora chiaro il rapporto causale tra questi due fattori.

Se è vero inoltre che l’assunzione di melatonina sintetica sembra ridurre il tempo dell’addormentamento, i suoi effetti risultano nel complesso modesti. In generale, molte persone pensano di non poter fare nulla per il loro sonno insufficiente.

Fino a qualche tempo fa, l’unica risposta a una dichiarazione del tipo “non dormo bene” era la prescrizione di sonniferi. Il ricorso a farmaci ansiolitici e a sedativi può però essere utile a breve termine, al fine di adattare il ciclo del riposo, ma il loro uso cronico, oltre a produrre potenziale assuefazione, compromette le capacità mnemoniche e induce una riduzione dell’attenzione e del livello di allerta durante il giorno.

Oggi esistono alternative di provata efficacia alle quali è stato dato il nome di terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia, o CBTi.

Si tratta di una serie di sedute psicoterapiche sia cognitive, volte cioè a cambiare le convinzioni e l’approccio mentale che riguardano l’insonnia, sia comportamentali, mirando ai comportamenti e alle abitudini pratiche legate a tutto ciò che significa e simboleggia il dormire.

Da un punto di vista più personale, un primo approccio potrebbe consistere nel tenere un diario del sonno, in modo da poter valutare se un cambiamento nel comportamento porti effettivamente a un riposo migliore.

4. Trucchi per dormire meglio

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«Per alleviare alcuni disturbi del ritmo circadiano si può ricorrere ad alcuni semplici accorgimenti», suggerisce Foster.

«Sarebbe, per esempio, utile ricevere quanta più luce naturale possibile al mattino. È stato infatti dimostrato che questo sposta all’indietro l’orologio circadiano, rendendo le persone assonnate più presto. Andare a letto un’ora prima aiuterà a dormire più a lungo».

Ricercatori dell’Università del Texas ad Austin hanno scoperto che anche immergersi nell’acqua calda prima di andare a letto può migliorare la qualità del sonno.

Il ciclo della temperatura è infatti alla base delle fasi del sonno e il suo funzionamento è un fattore essenziale di comfort per addormentarsi rapidamente e fruire di un sonno ristoratore.

Bagni caldi e docce stimolano il sistema termoregolatore del corpo: questo migliora il flusso sanguigno dagli organi interni verso le aree periferiche, come gli arti, dove il calore si disperde.

Analizzando migliaia di studi sull’argomento, i ricercatori hanno concluso che il momento migliore per fare il bagno è 90 minuti prima di andare a letto e che la temperatura ottimale dell’acqua è compresa tra i 40° C e i 43° C.  «A volte basta seguire qualche semplice accorgimento», conclude Foster.

«Rendiamo la nostra camera da letto un paradiso per il sonno. Rendiamola più buia possibile e leggermente fresca. Riduciamo la quantità di esposizione alla luce almeno mezz’ora prima di andare a letto. La luce aumenta il livello di attenzione e ritarda il sonno. Non beviamo caffeina a un’ora avanzata.
Evitiamo di fare l’ultima cosa che molti fanno prima di andare a letto: indugiare in una sala da bagno brillantemente illuminata e guardarsi allo specchio mentre ci si lava i denti. È la cosa peggiore che possiamo fare. Spegniamo i cellulari, i computer e tutte quelle cose che possono eccitare il cervello. Rallentiamo il ritmo: ci aiuterà a scivolare nella melliflua e pesante rugiada del torpore».





5. Il sesso concilia il sonno?

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Un recente studio condotto da Michele Lastella, ricercatore dell’Appleton Institute for Behavioural Science dell’Università di Adelaide (Australia) ha provato a valutare fino a che punto il sesso abbia un effetto positivo sul ciclo del sonno.

L’indagine ha riguardato 778 persone, 442 femmine e 336 maschi, di circa 35 anni di età, che hanno partecipato a un sondaggio sulle loro esperienze sessuali.

È emerso che per il 64 per cento degli intervistati il sonno è migliorato rispetto al solito dopo un orgasmo con il partner, per il 33 per cento è rimasto invariato e solo per il 3 per cento è peggiorato.

Per molti, inoltre, l’orgasmo raggiunto attraverso la masturbazione è stato associato a un sonno persino migliore.

Gli elementi alla base di tali sensazioni sembrano essere legati al rilascio di una serie specifica di ormoni: un cocktail bio-chimico che agisce in modo simile sia negli uomini sia nelle donne. Durante il rapporto sessuale, infatti, aumenta il rilascio di ossitocina dal lobo posteriore dell’ipofisi.

Questo ormone, che ha l’effetto di favorire i legami affettivi e l’attaccamento al partner, abbassa anche il livello di cortisolo, riducendo lo stress. L’orgasmo rilascia anche un altro ormone, la prolattina, che può rimanere elevato nell’organismo per almeno un’ora, inducendo una sensazione di sonnolenza e rilassamento.

Gli effetti combinati dell’ossitocina e della prolattina fanno sì che si sia più propensi ad accoccolarsi al partner e infine ad addormentarsi.








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