10 grandissimi scalatori del ciclismo moderno

Pantani, Scarponi, Nibali, Chiappucci: sono alcuni dei “giganti” italiani del ciclismo.

Hanno dato il meglio di sé stessi nelle tappe in alta quota di competizioni celebri come il Giro d’Italia, tradizionale appuntamento di maggio, mostrando una tempra atletica e una resistenza fisica e psicologica che ha pochi eguali in altri sport.

L’appuntamento è per sabato 6 maggio sulla Costa dei Trabocchi (Chieti) quando prenderà il via la CVI edizione del Giro d’Italia, annuale imperdibile appuntamento per gli appassionati di questo sport fatto di fatica, sudore, forza e potenza oltre che di lucidità e strategia.

Come sempre, le tappe più attese saranno quelle di montagna. La salita è l’essenza del ciclismo.  Le salite che costellano da sempre i Giri a tappe hanno spesso regalato le emozioni più intense e memorabili.

Nella salita, e nell’impresa di uno scalatore, c’è (quasi) tutto. Coraggio. Fantasia. Spregiudicatezza. Sofferenza. Voglia di primeggiare. Forza. Ma anche fragilità. Leggerezza. Estasi mistica. Delirio. Bellezza estrema.

E allora andiamo a scoprire alcuni dei più noti scalatori su ruota moderni, coloro che hanno ereditato dai vecchi campioni quella capacità di regalare emozioni uniche fra i tornanti delle grandi montagne.

1. Marco Pantani e Lucien Van Impe

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- Marco Pantani: l’indimenticato “Pirata” riuscì a vincere il Giro d’Italia e il Tour de France nello stesso anno
Il romagnolo Marco Pantani (1970-2004) era unico “per il modo tutto suo di scattare, di alzarsi sui pedali, di fare il vuoto. E di emozionare le folle...
Non solo l’ultimo a vincere Giro e Tour nello stesso anno, ma con addosso i crismi e i tratti dello scalatore puro”.
Professionista nel 1992, con quella doppietta al Giro d’Italia e al Tour de France del 1998, il Pirata (come venne soprannominato per la bandana che portava sempre) entrò nella leggenda del ciclismo così come le sue vittorie di tappa su alcune delle montagne più iconiche di questo sport: Plan di Montecampione e Les Deux Alpes (1998), Oropa (1999) e Courchevel (2000).

Una vittoria, quest’ultima, che giunse dopo il discusso stop al Giro d’Italia del 1999: con la vittoria finale in pugno, i controlli del sangue riscontrarono un tasso di ematocrito superiore al 50 per cento, segno di un possibile uso di doping.
Alcuni parlarono di un complotto, ma Pantani fu escluso dalla corsa: entrò in depressione e iniziò a far uso di cocaina. Dopo il ritorno in attività del 2000, faticò a ritrovare la forma e la forza di prima.
Il 14 febbraio 2004 venne trovato senza vita in un albergo di Rimini: apparente causa della morte, un’overdose di cocaina e psicofarmaci, ma la circostanza è tuttora oggetto di inchiesta.
Nonostante gli strascichi giudiziari e le polemiche, Pantani è rimasto nel cuore di tutti: non solo degli appassionati delle due ruote, ma anche di chi non sa nulla di bici.
Marco amava il ciclismo in modo viscerale. Il mondo del ciclismo, per questo, lo ha amato.

 

- Lucien Van Impe per 6 volte è il migliore scalatore del Tour de France
Ha iniziato a macinare chilometri in bicicletta consegnando i giornali per conto del bar-ricevitoria del padre.
Lucien Van Impe, nato a Mere (Belgio) nel 1946, è una leggenda delle salite: dopo l’esordio come professionista nel 1969, si innamora del Tour de France ed è proprio sulle strade di questa corsa che dà il meglio di sé.
Partecipa a 15 Tour e colleziona 1 vittoria (nel 1976), un secondo posto (1981) e tre terzi posti (1971, 1975 e 1977), oltre a 9 vittorie di tappa e alla sua consacrazione come “uomo di montagna”: per 6 volte, infatti, indossa la ambita maglia a pois come miglior scalatore della corsa. Ancora oggi è nella lista degli intoccabili.

2. Claudio Chiappucci e Giovanni Battaglin

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- Claudio Chiappucci arrivava sempre secondo, ma emozionava più di chiunque altro
Claudio Chiappucci, soprannominato El Diablo, nato a Uboldo (Varese) nel 1963 affrontava le salite in bici dando tutto sé stesso, anche a costo di rimetterci in termini di classifica.
Professionista dal 1985, è la vittoria della XIII tappa del Tour de France del 1992, da Saint-Gervais-les-Bains e Sestriere, a farlo entrare nella leggenda: una fuga di 193 km conclusa al primo posto in lacrime tra due ali di folla impazzita.
Con tre podi al Giro e tre al Tour fra 1990 e 1993 Chiappucci era passato alle cronache come l’eterno secondo: incapace di vincere, ma capace di conquistare i cuori dei tifosi con le sue azioni fatte di fantasia, azzardo e poca logica.
Ancora oggi viene ricordato come uno degli scalatori più elettrizzanti di sempre.

 

- Giovanni Battaglin iniziò a scalare montagne per tornare a casa a mangiare
Forse la carriera di scalatore di Giovanni Battaglin era scritta nel destino: «Sono nato su una collina vicino a Marostica (Vicenza) e ogni volta che dovevo tornare a casa mi toccavano 6 km di salita. Se volevo mangiare dovevo farli. Evidentemente era già scritto lì che dovessi fare lo scalatore».
Classe 1951, professionista dal 1973, era un corridore completo: a suo agio sui tornanti delle montagne, riusciva a dare il meglio anche nelle tappe a cronometro e in quelle più pianeggianti.
Nel 1981 toccò l’apice della sua carriera con la doppia vittoria al Giro d’Italia e alla Vuelta di Spagna, coronando anni di imprese, come ricorda lui stesso: «Il 1979 è stato l’anno in cui andavo più in forte. In salita facevo quello che volevo».
Non rinunciava all’eleganza: per lui un corridore doveva indossare calze bianche, avere il nastro bianco del manubrio sempre pulito e calzare scarpe lucide.

3. Vincenzo Nibali e Michele Scarponi

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- Vincenzo Nibali: quando correva attaccava come uno squalo
Vincenzo Nibali, classe 1984, nato a Messina e noto come lo Squalo per la sua attitudine aggressiva nella corsa, ha vinto due Giri d’Italia, un Tour de France, una Vuelta di Spagna, due Giri di Lombardia e una Milano-Sanremo: risultati che hanno suggellato una carriera partita da lontano, quando a 15 anni lasciò la sua Sicilia per trasferirsi in Toscana e inseguire il sogno di diventare professionista.
Il sogno si realizzò nel 2005 dando il via a una splendida carriera sportiva, apprezzata dagli appassionati e dagli esperti del settore, come Francesco Moser, asso del ciclismo degli anni ’50.
Nibali ha annunciato l’addio alle due ruote l’11 maggio 2022 dopo la quinta tappa del Giro d’Italia da Catania a Messina abbracciato dalla gente: “una cornice perfetta per una decisione così importante”, si legge nel saggio di Gregorio e Magrini.

 

- Michele Scarponi, la carismatica “Aquila di Filottrano”
Michele Scarponi (1979- 2017), soprannominato l’Aquila di Filottrano (paese in provincia di Ancona di cui era originario) per le sue capacità di scalatore su ruota di montagna, ha lasciato di sé un ricordo indelebile.
Era un corridore completo, dicono di lui gli esperti, capitano e gregario nello stesso tempo, attaccante e fantasioso, leader carismatico grazie all’ironia, l’intelligenza, la sensibilità e capacità di stemperare anche le situazioni più delicate di cui era dotato.
Professionista nel 2002, ha raggiunto i risultati migliori nel triennio 2011-2013, con le vittorie al Giro d’Italia (primo dopo la squalifica di Alberto Contador per doping), alla Tirreno-Adriatico e al Giro del Trentino.
Sempre pronto alla battuta, è stato un grande ciclista, ma soprattutto “una figura che ha fatto bene al ciclismo”, scrivono Gregorio e Magrini. È morto in un incidente mentre si allenava a pochi giorni dall’inizio del Giro d’Italia 2017.

4. Alberto Contador e Chris Froome

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- Alberto Contador, il ciclista fenomeno della Spagna
Nato a Madrid (Spagna) nel 1982, è detto El Pistolero e ha un palmarès di tutto rispetto: 3 Vuelta di Spagna, 2 Tour de France e 2 Giri d’Italia. Dopo calcio e atletica, a 14 anni ha optato per il ciclismo dimostrando subito di essere un vincente.
Professionista dal 2003, ha raggiunto la consacrazione nel 2008 con la doppietta Giro d’Italia – Vuelta di Spagna. Da quel momento è stato il vero mattatore del ciclismo internazionale. Con le debite proporzioni, è stato un po’ il Pantani di Spagna.
Ha chiuso la carriera nel 2017 con un’incredibile vittoria sull’Alto de l’Angliru (Spagna), una delle salite più dure del ciclismo: “Attacca e vince. Mandando in visibilio il suo popolo. E commuovendo tutti i veri appassionati di questo sport”.

 

- Chris Froome faceva 100 pedalate al minuto
Se si pensa al prototipo dello scalatore moderno, il nome che viene in mente è quello di Chris Froome, precocemente costretto al ritiro da un grave infortunio.
Nato a Nairobi (Kenya) nel 1985 da genitori britannici, diventa professionista nel 2008 ed esplode nel 2013, quando dimostra a tutti la sua superiorità sulla salita del Mont Ventoux al Tour de France.
La sua pedalata fu chiamata la “frullata” un po’ per l’assonanza col cognome e poi per il ritmo impressionante. “Andare a 100-110 pedalate al minuto dava davvero l’impressione di un frullatore”.
Dopo sette grandi corse vinte (quattro Tour de France, due Vuelta di Spagna e un Giro d’Italia), nel 2019 cade e si rompe il femore.
La riabilitazione è lunga, il corpo non reagisce come sperato. Quando torna in sella il divario con gli altri campioni è incolmabile. È la fine di un’era.





5. Tadej Pogacar e Mikel Landa

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- Tadej Pogacar, il futuro del ciclismo viene dalle montagne slovene
È il campione del presente e, molto probabilmente, del futuro: Tadej Pogacar, ha 24 anni ed è nato a Komenda, paesino di poco più di 5mila abitanti nel cuore della piccola Slovenia, all’ombra delle Alpi di Kamnik.
Dopo un primo amore per il calcio, inforca la bicicletta e da lì inizia la sua carriera strepitosa: professionista dal 2019, impressiona tutti con le sue prestazioni alla Vuelta di Spagna di quell’anno, quando si classica terzo.
È forte a cronometro. È forte in volate ristrette. È un talento cristallino in salita.
Lo conferma anche Vincenzo Nibali che dice di non aver mai incontrato uno forte come lui in tutta la sua carriera: “Ciò che colpisce di più in Pogacar è la semplicità con cui corre in bicicletta. Diverte e si diverte. Non accusa la pressione, almeno sembra. Ha sempre un sorriso per tutti, disponibile e generoso. Uomo-squadra, leader pacifico e ragazzo della porta accanto”.

 

- Mikel Landa, il corridore basco che ha dato il meglio da Campiglio all’Aprica
Forse avrebbe potuto ottenere di più, se la sfortuna non si fosse messa di mezzo. Mikel Landa, nato a Mungia, Paesi Baschi (Spagna) nel 1989, “fra cadute, sfortune, compiti da gregario e crisi sul più bello non è mai riuscito a imporsi in un grande giro a tappe”.
Ma basta ricordare l’incredibile doppietta segnata al Giro d’Italia del 2015 per capire di che pasta è fatto.
Landa conquista la XV tappa, da Marostica (Vicenza) a Madonna di Campiglio (Trento) e la XVI tappa, da Pinzolo (Trento) ad Aprica (Sondrio): 5.000 metri di dislivello condensati in 177 chilometri.
Mikel smuoveva i cuori. Infiammava le salite col suo incedere quasi compassato, ma tremendamente coinvolgente.








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