Alle radici del disgusto

Normandia, estate 1944: una pattuglia di soldati americani è in perlustrazione nella boscaglia.

A un tratto, un tanfo insopportabile prende gli uomini alla gola. Proviene da una grotta.

I soldati imbracciano il lanciafiamme: si preparano a incenerire i cadaveri in putrefazione che di certo si trovano là dentro da giorni.

Ma una volta entrali nella grotta si accorgono di avere di fronte alcune decine di quintali di Roquefort, il gorgonzola francese, che il produttore aveva messo a maturare (e “odorare”) lontano dal villaggio.

Perché un cibo che fa schifo ad alcuni può essere na vera prelibatezza per altri? Dipende dalle esperienze personali (e dalle papille gustative).

1. SAPORI SGRADITI E DIFFERENZE ANATOMICHE

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Ogni popolo ha il suo disgusto, e questo episodio riportato dall'antropologo francese Claude Lévi-Strauss lo dimostra.

Sono pochi gli statunitensi e soprattutto gli asiatici che assaggerebbero volentieri il gorgonzola e del resto molti europei non riuscirebbero a bere nemmeno una goccia di una bevanda gradita in Polinesia: una sorta di brodo ottenuto lasciando marcire il pesce nell'acqua e che "profuma” di conseguenza.

Insomma, come tutti sanno, i (dis)gusti sono (dis)gusti. Ma perché ciò che piace ad alcuni può fare letteralmente accapponare la pelle ad altri?

Le ragioni sono sia biologiche sia psicologiche, visto che il disgusto è contemporaneamente una delle sei emozioni fondamentali umane (insieme a rabbia, gioia, tristezza, sorpresa e paura) ma è anche qualcosa di molto fisico e concreto: la nausea che ci assale quando ci capita di assaggiare qualcosa di repellente. Quello che chiamiamo "schifo".

Innanzitutto, il disgusto è individuale perché lo è il gusto. Si tratta delle due facce di una stessa medaglia, visto che il disgusto ha la funzione biologica di tenerci lontani da ciò che è velenoso per l’organismo e il gusto al contrario ha la funzione di farci apprezzare e ricordare i sapori dei cibi nutrienti (non a caso ci piace ciò che è dolce e ciò che contiene grassi).

Il gusto è infatti il risultato di una serie di informazioni sensoriali provenienti da migliaia di "bottoni” anatomici, le papille gustative, disseminati sulla lingua e in parte sul palato. La distribuzione e la sensibilità delle papille varia però da persona a persona e tutti abbiamo una soglia sensoriale diversa: la quantità minima di sostanza che ci porta a percepire un sapore.

Questa soglia è molto alta nei bambini, che infatti si disgustano facilmente, e si abbassa progressivamente con l’età. Ci sono poi differenze di sesso, dato che le donne hanno un numero più elevato di papille gustative, specialmente per il salato e l'amaro. E differenze genetiche: ci sono persone predisposte a sentire gli alimenti più salati.

Chi sente molto il sale sente anche di più il piccante e il dolce. Anche l’amore per il gusto grasso sembrerebbe legato alla variante di un gene (il CD36), che lo rende più marcato. Il disgusto dunque non è uguale per tutti proprio perché non esistono due lingue uguali, un po’ come accade per le impronte digitali.

Nella foto sotto, occhi di capra sottaceto a bagno nel succo di pomodoro (a sinistra) sono una specialità mongola. A destra, lecca lecca con verme.

2. ISTINTO PRIMORDIALE?

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Il sapore che più facilmente provoca il disgusto è naturalmente l’amaro (che non a caso se è eccessivo innesca il riflesso del vomito).

La spiegazione è semplice: in natura sono amare molte sostanze tossiche, come gli alcaloidi, componenti molto diffusi di alcuni vegetali: l’atropina, la papaverina, il curaro, la stricnina.

Non sempre, naturalmente, una verdura un po’ amara è velenosa (cavoli e broccoli lo sono eppure fanno benissimo all’organismo, ma non a caso disgustano molte persone).

In inglese esistono due parole per denominare il disgusto: quello puramente fisico, la reazione di sputare, provocata dal mettere in bocca qualcosa di molto amaro è detta distaste.

Ed è un istinto primordiale: è stato osservato che perfino gli anemoni di mare, presenti sulla Terra da 500 milioni di anni, espellono i cibi amari dalla cavità gastrointestinale.

Da disfasie, ovvero reazione di rifiuto per i cattivi sapori, nella storia della nostra evoluzione il disgusto si è poi allargato alla ripugnanza per tutto ciò che può costituire un pericolo per la salute: cose come gli escrementi o la scarsa igiene. 

Lo schifo è infatti uno dei meccanismi con cui agisce il cosiddetto "sistema immunitario comportamentale”, quello che non ci fa avvicinare troppo alle persone malate, presumendo che possano essere infettive, e ci fa accettare il distanziamento sociale necessario per limitare i contagi da Covid-19, per esempio.

Infine, da emozione che sorveglia l’integrità del corpo, il disgusto è diventato un mezzo per proteggere il sé, la propria dignità di persona e l’appartenenza a un gruppo. Così, si può essere disgustati per esempio da alcune offese alla morale, ovvero da categorie di azioni che non hanno più nulla a che fare con il pericolo di essere avvelenati.

E le espressioni di disgusto che si dipingono sul volto lo dimostrano: sono esattamente le stesse sia che si tratti di assaggiare un cibo molto amaro, sia che si guardino immagini di feci o di marciume, sia che si tratti di disgusto morale, ovvero di giudicare un comportamento altrui.

Lo hanno provato alcuni ricercatori canadesi ponendo sensori sul viso di un gruppo di volontari che hanno partecipato a un gioco sociale in cui alcuni individui si comportavano in maniera scorretta.

Il modo dei muscoli facciali di muoversi era identico sia che i partecipanti stessero giudicando un atteggiamento sbagliato da parte di qualcuno, sia che avessero assaggiato o guardato qualcosa di disgustoso.

3. CIÒ CHE NON PIACE A ME...

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Ed è nel passaggio tra distaste (innato e universale) e disgusto (emozione soggettiva) che interviene l'elemento individuale, che dipende in gran parte, anche se non completamente, sia dai condizionamenti familiari sia da quelli culturali.

Altrimenti non si spiegherebbe come in Sardegna si possa mangiare il casu marzu (foto sotto), che contiene le larve di mosca casearia che contribuiscono al sapore, o in alcune aree del Messico il grasper taco, un piatto a base di insetti, larve di varie specie e uova di formica, o in Cambogia le tarantole alla griglia.

In realtà, alcuni odori (e quindi sapori) sembrerebbero graditi in tutto il mondo, come quello del pane appena sfornato, ma molti altri sono legati alle esperienze personali, ovvero alla memoria: se da bambini quel sapore è stato associato a esperienze più o meno gradevoli.

In effetti, anche se a quasi tutti fanno ribrezzo le feci, il vomito, la carne in putrefazione, alcuni insetti e la sporcizia, nella propensione allo “schifo” ci sono notevoli variazioni: alcune persone affascinate dai roditori non provano alcuna repulsione per i ratti, per esempio.

Si pensa che il disgusto sia più culturale che individuale, ma spesso non è così. Ci sono insomma nei gusti più differenze tra persona e persona di quante ce ne siano tra culture diverse.

Del resto, gran parte dei condizionamenti che riguardano il cibo si formano nei primi anni di vita. Già il feto dopo la 12esima settimana è in grado di percepire i sapori nel liquido amniotico, che in parte dipendono dai cibi consumati dalla madre.

E dopo la 26esima settimana è possibile vedere tramite ecografia sul volto del bambino l’espressione del viso disgustata in caso di sapori amari. Tra i 12 e i 24 mesi di vita comincia invece il periodo della neofobia, che dura fino ai 5 anni: il bambino rifiuta gli alimenti che non conosce.

Gli antropologi ritengono che si tratti di un meccanismo di difesa nato per evitare che un bambino piccolo, dopo aver cominciato a camminare e quindi a esplorare l’ambiente, mangi per caso o per curiosità qualcosa di velenoso.

Anche questa caratteristica però è molto personale: ci sono bambini che rifiutano quasi tutto e altri molto più accomodanti quando si offre loro un cibo che non hanno mai visto prima.

Con qualche differenza di genere: i maschi sembrerebbero essere un po' più “schifiltosi" delle bimbe, mentre in età adulta la situazione si ribalta.

4. EMOZIONE COMPLESSA

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Proprio perché il disgusto è individuale, esistono scale per misurarlo. Servono per esempio per valutare alcuni problemi psichiatrici, come i disturbi d'ansia, o quello ossessivo-compulsivo in cui la propensione a questa emozione di solito è più forte.

La tendenza al disgusto è infatti una caratteristica della personalità e alcuni studiosi pensano che non possa mutare nel tempo.

In realtà, le esperienze possono portarci per un certo periodo ad arricciare il naso più del solito come hanno provato, appena poche settimane fa, alcuni ricercatori della Ohio State University (Usa): hanno misurato la propensione al disgusto prima e dopo la pandemia da Covid-19 e hanno scoperto che la paura di ammalarsi ha reso molte persone (quelle più timorose) anche più “schifiltose".

Hanno valutato le loro risposte a un test su una scala da 0 a 4 (dove 4 corrisponde a estremamente disgustoso); dovevano dare un punteggio a situazioni come “sentire odore di urina in un corridoio del metrò” o “vedere qualcuno mettere ketchup su un gelato e mangiarlo".

 

Risultato: prima della pandemia il punteggio medio delle stesse 500 persone (interrogate a distanza di due anni) era 2,82, mentre di recente è salito a 3,26. I ricercatori hanno dichiarato che nei prossimi mesi, con l'affievolirsi dei rischi da Covid, si aspettano che la sensibilità al disgusto torni ai livelli precedenti.

Fino agli anni ’90 l’elaborazione cerebrale ed emotiva del disgusto è stata poco studiata. Ma ora le indagini dimostrano che non si nasce con una certa propensione verso una emozione specifica, ma la tendenza genetica si incrocia sempre con l'ambiente.

Una cosa è certa: il disgusto (come del resto le altre emozioni) è scritto nelle parti più profonde del nostro cervello. Ricerche condotte con la risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che il disgusto viene elaborato soprattutto nelle regioni cerebrali dell'insula e dei gangli della base.

In particolare, l'insula destra sarebbe all'origine delle sensazioni fisiche di nausea e vomito. Nella parete ventrale del solco temporale superiore del cervello vengono riconosciute invece le espressioni di disgusto.

L’insula e i nuclei della base comunque si attivano di più nelle sensazioni di disgusto fisico, mentre la corteccia frontale è più coinvolta nel disgusto morale. E, si sa, anche i cervelli (proprio come la lingua) sono tutti diversi.





5. UTILISSIMA SENSAZIONE

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Non esiste praticamente nulla che respinga tutti allo stesso modo, quindi. Ma ciò non toglie che tutti provino questa emozione, che è diffusa anche in molti animali.

Secondo Martin Kavaliers, neuroscienziato della Western Ontario University (Canada), le specie sociali devono individuare i rischi di infezione che possono venire dagli altri membri del gruppo: saper riconoscere l’espressione di disgusto sul muso di un altro animale evita di assaggiare in prima persona il cibo sgradevole.

E può evitare il passaggio dei parassiti: i mandrilli e gli scimpanzé per esempio sanno distinguere i membri del gruppo affetti da parassiti e non si avvicinano alle loro feci, mentre i bonobo rifiutano di mangiare cibo sporco di feci di altri bonobo. Ma anche molti erbivori sono stati osservati mentre evitavano di brucare l’erba dove altri animali avevano defecato.

Secondo lo psicologo Paul Rozin, il disgusto inteso come emozione è soprattutto paura della contaminazione, che deriva dall'idea “animalesca” che mangiare qualcosa di infetto ci renda infetti.

Per l’uomo, l’elemento che contamina può addirittura essere immaginario: negli anni '80 in alcuni ospedali pediatrici statunitensi si cominciò a servire succo d’arancia ai bambini in contenitori simili a quelli per la raccolta delle urine.

Si era infatti notato che troppe infermiere consumavano il succo destinato ai bambini e mettendolo nei contenitori (sterilizzati) per urine il problema fu risolto: le infermiere non lo bevevano più (i bambini invece che avevano poca dimestichezza coi contenitori per urine non facevano l’abbinamento e bevevano senza problemi).

In generale, gli psicologi fanno notare che è disgustoso tutto ciò che supera il confine corporeo: Darwin diceva che vedere un po’ di minestra caduta sulla barba è disgustoso mentre non lo sono né la minestra né la barba viste da sole.

Comportamenti ritenuti maleducati, come ruttare o fare peti, suscitano disgusto proprio perché qualcosa di "interno” esce dal corpo, ma anche in questo caso lo schifo non vale per tutti: in molte culture un rutto è il segno di aver gradito il cibo, così come in molte situazioni non si bada troppo se scappa una... puzzetta.

È vero che quasi ovunque le feci sono ritenute ripugnanti, ma è altrettanto vero che nelle terme romane si trovavano latrine comuni, dove era normale intrattenersi e conversare a lungo con i vicini di “seduta". Tra l'altro, alcune secrezioni del corpo, come il sudore, possono diventare perfino gradevoli tra amanti.

L'attrazione e l’affetto infatti annullano i confini e fanno sentire il corpo altrui come un prolungamento del proprio. Per questo il disgusto non spegne l'amore. E comunque è sempre “superabile”.

Perfino quello ritenuto più invincibile in realtà in condizioni estreme può essere ignorato: basta pensare ai sopravvissuti dell’incidente aereo avvenuto nel 1972 sulle Ande (foto sotto).

Per poter vivere abbastanza da aspettare i soccorsi si cibarono dei corpi degli altri viaggiatori morti nell'incidente (o subito dopo).








Note

CHE COSE TI FAREBBE PIU' SCHIFO?

In uno studio del 2018, lo psicologo inglese Paxton Culpepper, insieme ad alcuni colleghi dell’Università di Praga, ha chiesto a un campione di 460 persone di citare ciò che li disgustava di più e ad altre 110 di mettere questi fattori in una lista, partendo dal più ripugnante.

I ricercatori hanno però considerato solo i motivi di disgusto che avevano qualcosa a che fare, anche alla lontana, con il rischio di infettarsi (nell’elenco manca quindi il disgusto morale). Eccoli, a partire dal più "schifoso".

1. Mangiare la cacca
2. La carne marcia brulicante di vermi
3. Vermi nella ferita di una persona viva
4. Cadaveri umani in decomposizione
5. Mangiare uno scarafaggio
6. Parassiti umani
7. Vomito
8. Water e sanitari sporchi di feci
9. Insetti o vermi nel piatto
10. Vedere qualcuno mangiarsi il moccio
11. Alitosi
12. Spazzatura puzzolente
13. Scarafaggi
14. Capelli nella doccia
15. Odore di piedi.

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