Antonio Canova, il creatore della bellezza perfetta

Antonio Canova (1757-1822) fa parte di quell’esigua schiera di artisti che hanno raggiunto in vita il successo internazionale e un invidiabile benessere economico.

Il cliché dell’artista povero, inquieto e “maledetto” gli è del tutto estraneo: ancora abbastanza giovane, divenne l’artista più celebre e osannato dell’intero mondo occidentale, dalla Russia agli Stati Uniti.

Fu così pieno di commesse da dire scherzando a un amico: «Se avessi parecchie mani, tutte sarebbero impiegate»(1796).

A dispetto della celebrità, non fu mai un uomo presuntuoso e arrogante ma si prodigò per aiutare gli artisti più giovani, come il pittore Francesco Hayez, o i colleghi in difficoltà.

Chiamò a bottega i più bravi senza mai avere timore di esserne oscurato, coltivò amicizie intense ed ebbe a dire: «Vale più la mia libertà, la mia quiete, il mio studio, i miei amici, che tutti questi onori».

Di onori ne ebbe tantissimi, non solo in Italia; fu chiamato dalle maggiori corti europee; con Jean- Louis David, fu l’artista prediletto di Napoleone Bonaparte e lo scultore più amato dall’aristocrazia anti-napoleonica. Un vero equilibrista.

Fu un uomo invidiatissimo e dovette reggere il peso di maldicenze, livori, gelosie e rivalità feroci, in un’epoca travagliata che vide l’ascesa e il crollo del potere napoleonico. Una volta Canova confessò a un amico: «Io non odio nessuno». Era la verità.

Antonio era un uomo sensibile, schivo, quieto, interiormente tormentato, esteriormente misurato e generoso fin nel midollo; non tirò mai “coltellate” reali o metaforiche ad alcuno.

 

1. Infaticabile lavoratore e “Re” del neoclassicismo

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Antonio Canova era nato povero in un paesino dell’alto Trevigiano, Possagno.

Suo padre Pietro era uno scalpellino che morì ad appena 26 anni; la sua mamma, Angela Zardo, si risposò con Francesco Sartori e si trasferì nel vicino paese di Crespano.

Il piccolo Antonio, per tutti “il Tonin”, restò orfano ad appena 4 anni e lo misero a vivere col nonno Pasino Canova, un tagliapietre abbastanza noto in zona sia per l’abilità manuale, sia per il carattere burbero.

Qualcuno meno talentuoso e intelligente, avrebbe patito una partenza di vita così disagiata e dolorosa, ma il Tonin no. Imparò a inghiottire l’amarezza e a rimboccarsi le maniche, e grazie a una rara miscela di talento, intelligenza e sensibilità, riuscì a conquistare il mondo.

Certo, ebbe la fortuna di incontrare una serie di mentori che lo sostennero e credettero nelle sue capacità artistiche, ma non dormì mai sugli allori.

Il ragazzino che smozzicava poche parole in dialetto trevigiano divenne un uomo di notevole cultura: imparò oltre all’italiano anche il francese e l’inglese; lesse i classici greci e latini, frequentò le biblioteche, visitò i musei di mezzo mondo, ascoltò intellettuali, poeti, scrittori, alti prelati e colti aristocratici con umiltà e desiderio di imparare.

Lavorò e studiò tutta la vita con un’instancabile tenacia, senza mai lamentarsi della fatica.

 

Quel Tonin che silenzioso sgambettava appresso al rustego Pasino ottenne riconoscimenti, premi e titoli dalle Belle Arti e dalle Accademie di mezzo mondo: Firenze (1791), Stoccolma (1796), Verona (1803), Venezia (1804), Siena (1805), Lucca (1806), Pietroburgo (1804), Ginevra (1804), Graz (1812), Marsiglia (1813), Monaco (1814), New York (1817), Anversa e Vilnius (1818).

Non si dimenticò mai delle proprie origini: ristrutturò la casa natale, aiutò i parenti, fece di un fratellastro, Giovanni Battista Sartori, il suo assistente e costruì in paese una chiesa bellissima, nota come il Tempio, che oggi è la Parrocchiale nonché prima attrattiva del luogo.

Antonio Canova fu il massimo esponente del Neoclassicismo, un movimento artistico che si sviluppò a fine Settecento contro la profusione decorativa del tardo Barocco e le leziosità del Rococò.

Alla base dell’estetica neo-classica risiedeva un ideale di purezza, armonia e semplicità, ispirato all’arte dell’antichità classica, in particolare alla statuaria greca e romana. Canova studiò in profondità l’arte antica, rielaborandone alcuni elementi in modo creativo. Non copiò mai gli antichi e si batté contro la loro pedissequa imitazione.

Passò alla storia come l’ultimo degli antichi e il primo dei moderni. Lo studio della tradizione classica, la maestria tecnica e la creatività sensuale si unirono in lui per dare vita a opere originali.

Lo scrittore francese Stendhal scrisse nel suo Viaggio in Italia: «Canova ha avuto il coraggio di non copiare i greci e di inventare la Bellezza, così come i greci avevano fatto. Che dolore per i pedanti!».

 

2. I SUOI CAPOLAVORI: Amore e Psiche giacenti

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"Amore e Psiche giacenti"
Data: 1787-1793
Materiale: marmo bianco
Dimensioni: 155 x 168 cm
Ubicazione: Louvre, Parigi
Varianti e copie: Canova eseguì una copia per il principe russo Nikolaj Jusupov, oggi conservata presso l’Ermitage di San Pietroburgo. Una copia in marmo eseguita da Adamo Tadolini, suo allievo, è a Villa Carlotta (Tremezzo, Lago di Como).

Il colonnello scozzese John Campbell, primo barone di Cawdor, commissionò a Canova un gruppo scultoreo che rappresentasse Amore e Psiche, i personaggi della favola mitologica narrata da Apuleio ne L’asino d’oro.

Lo scultore scelse di rappresentarli nell’istante che precede l’atto di baciarsi, fissandoli in un abbraccio eterno, percorso da un desiderio intenso perché destinato a non consumarsi.

La composizione ha una straordinaria articolazione: Psiche è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l’alto dando al corpo una torsione che esprime una promessa di abbandono.

Amore si spinge in avanti inarcandosi e piegando la testa di lato per avvicinarsi alle sue labbra; con una mano le sostiene la testa, con l’altra le stringe un seno. Le sue ali erette danno il senso della passione e del desiderio.

La perfezione ideale dei corpi che si incrociano su due morbide diagonali, la levigatezza del marmo, l’equilibrio armonico della composizione stemperano la tensione erotica trasformandola in una ritmica ed elegantissima danza di corpi.

 

3. I SUOI CAPOLAVORI: Paolina Borghese come Venere vincitrice

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"Paolina Borghese come Venere vincitrice"
Data: 1804-1808
Materiale: marmo bianco
Dimensioni complessive: 160x200cm
Ubicazione: Galleria Borghese, Roma

Quello di Paolina Borghese è un capolavoro in cui la sorella di Napoleone Bonaparte è ritratta come la dea greca Venere.

Fu commissionata dal secondo marito di Paolina, il principe Camillo Borghese, discendente di una delle più potenti e aristocratiche famiglie di Roma che vantava numerosi militari, quattro cardinali e un papa (Paolo V nel Cinquecento).

Paolina è ritratta a grandezza naturale e modellata in un candido marmo, sulla cui superficie Canova passò uno strato di cera rosa per rendere meno livida e più realistica la “pelle” della donna. Il triclinio, invece, non è di marmo, ma in legno rinforzato con borchie dorate.

L’opera, una scultura di sapiente armonia formale nel tipico stile Neoclassico, è tesa a rappresentare una bellezza perfetta, resa un po’ algida dal volto idealizzato.

Tuttavia, all’epoca non si usava affatto ritrarre senza veli aristocratici o potenti di alto rango e l’uso del nudo da parte di Canova costituì una scelta spregiudicata oltre che una sfida al comune senso del pudore.

Per i contemporanei dello scultore, l’opera offriva della sorella di Napoleone Bonaparte un’immagine più scandalosa che seducente.

Si dice che a chi le chiedesse come avete osato posare nuda davanti al Canova, Paolina abbia risposto: «Ma la stanza era ben riscaldata!».

 

4. I SUOI CAPOLAVORI: Le Tre Grazie

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"Le Tre Grazie"
Data: 1812-1817
Materiale: marmo bianco
Altezza: 182 cm
Varianti: una prima versione è esposta all’Ermitage di San Pietroburgo, la seconda, successiva, è conservata al Victoria and Albert Museum di Londra.

Questo gruppo marmoreo, forse il capolavoro più celebre di Canova, fu commissionato nel 1812 da Joséphine de Beauharnais, dopo il divorzio da Napoleone Bonaparte.

La donna, tuttavia, non lo vide mai perché morì nel maggio del 1814, 2 anni prima che venisse ultimato. Nel 1816 Le Tre Grazie furono presentate al pubblico e sollevarono immediatamente un coro di ammirazione, cui si unì anche il poeta Ugo Foscolo.

L’inglese John Russell, sesto duca di Bedford, cercò di acquistare la scultura, ma il figlio di Joséphine la vendette in Russia, dove si trova tuttora.

Fu costretto quindi a commissionarne una copia che Canova eseguì nel 1817 e che oggi è conservata a Londra. Ecco perché esistono due varianti molto simili, con differenze minime nella forma della colonnetta.

Ne Le Tre Grazie la reinterpretazione della scultura greca classica e la ricerca della perfezione e della purezza estetica raggiungono il loro apice.

La bellezza delle tre donne, rese a grandezza naturale e ricavate da un unico blocco di marmo, è così pura e assoluta da proiettarsi in un universo senza tempo; i loro gesti aggraziati raggiungono un grado tale di equilibrio e armonia da sublimarsi in una sorta di eterna e immobile perfezione.

L’opera è anche un capolavoro di virtuosismo, e il marmo viene caratterizzato e lavorato in base a ciò che è chiamato a rappresentare: è traslucido e trattato con cera rosa per rendere il candore vivo della pelle, materico e poroso per rendere la consistenza dei capelli, aereo e impalpabile nel drappeggio del tessuto.

 





5. I SUOI CAPOLAVORI: Amore e Psiche stanti

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"Amore e Psiche stanti"
Data: 1796-1800
Materiale: marmo bianco
Dimensioni: 150 x 58 x 68 cm
Ubicazione: Ermitage, San Pietroburgo
Variante: il calco in gesso (148 x 68 x 65 cm), ricavato dal marmo, è conservato presso la Gipsoteca Canoviana di Possagno (Treviso).

Fu lo zar Alessandro I a portare questo gruppo scultoreo all’Ermitage nel 1814, dopo averlo acquistato da Joséphine de Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte.

Le due figure sembrano unite a formare un corpo solo: Psiche, in atteggiamento di gentile innocenza, regge la mano del dio Amore, dove posa una farfalla; Amore scorre il braccio lungo il collo della dea e posa teneramente la guancia sulla spalla di lei.

Il centro espressivo di tutta la composizione, ciò verso cui converge lo sguardo, è il gioco delle mani che accarezzano e proteggono la farfalla, simbolo e allegoria dell’anima immortale.

A differenza di Amore e Psiche giacenti, questa scultura non esprime desiderio o sensualità, ma innocenza e purezza, accentuate dalla delicatezza del gesto e dalla bellezza pura e perfetta dei visi e dei corpi.

 








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