Avvoltoi: gli spazzini della Natura che mantengono salubri gli ambienti

Al mondo ci sono 10.000 specie di uccelli, e moltissime le specie minacciate. Gli avvoltoi sono tra i gruppi più minacciati al mondo.

Quando si pensa ad un avvoltoio, la prima cosa che viene in mente è che sono creature brutte, avide, solo in cerca della vostra carne.

Gli spazzini della Natura, invece, hanno un ruolo importantissimo: forniscono servizi ecologi vitali mantenendo salubri gli ambienti.

Puliscono. Sono i nostri collettori naturali di immondizia. Puliscono le carcasse fino all’osso. Aiutano ad uccidere tutti i batteri.

Aiutano ad assorbire l’antrace che altrimenti si diffonderebbe e provocherebbe pesanti perdite di bestiame e malattie in altri animali. Studi recenti hanno mostrato che in aree in cui non ci sono avvoltoi le carcasse impiegano il triplo o il quadruplo del tempo a decomporsi e questo ha pesanti ramificazioni nella diffusione delle malattie.

1. COLLO SPELACCHIATO

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“Ehi, cosa facciamo?”. “Non lo so, tu che cosa vuoi fare?”.
“Facciamo una svolazzata sulla zona centrale della giungla, c’è sempre un po’ di vita, un po’ di movimento laggiù”.
“Ma se c’è un mortorio dappertutto!”. “Perché, non ti piacerebbe il mortorio?”.

Così i simpatici avvoltoi del cartone animato della Disney ispirato al racconto Il libro della giungla di Rudyard Kipling richiamano, con una semplice battuta, la caratteristica distintiva di questi uccelli.

Nell’immaginario umano, nel passato (e forse ancor oggi) gli avvoltoi erano associati a cattivi presagi, morte, sventure. Per questo, senza comprenderne il grande valore ecologico, sono stati perseguitati e sterminati, in particolare verso la metà del secolo scorso.

Grandi colonie di questi animali sono scomparse dall’Europa in pochissimo tempo per l’utilizzo indiscriminato di bocconi avvelenati, così come è accaduto al lupo, altro predatore “scomodo” all’uomo.

La considerazione di questi grandi rapaci è rimasta inalterata, invece, per quei popoli che continuano a comprenderne l’utilità. Nell’Antico Egitto il grifone era simbolo del faraone, e il capovaccaio era un’importante divinità (il suo ideogramma è comune negli antichi templi e negli obelischi).

Gli avvoltoi erano considerati divini anche dai nativi americani, che ne riportavano le sagome sui loro sacri totem, come anche il condor nella cultura maya.

Godono tutt’oggi di grande considerazione nel buddismo tibetano e indiano, dove svolgono un ruolo fondamentale nel “funerale celeste”, in cui i corpi dei defunti vengono fatti mangiare dagli avvoltoi, che così porteranno le loro anime in cielo per la futura reincarnazione. Questo perché sono considerati animali puri: non uccidendo per procurarsi il cibo, rispettano la vita di ogni creatura.

Gli avvoltoi fanno parte della famiglia degli Accipitridi, che include la maggior parte degli uccelli da preda, caratterizzati da un profilo ad ala larga e dall’essere predatori diurni. A tale gruppo appartengono anche lo sparviero, la poiana, il nibbio e le aquile.

Hanno un becco robusto e affilato, zampe munite di artigli tondeggianti, fitto e robusto piumaggio e dimensioni che variano dall’apertura alare di 160 cm del capovaccaio ai circa 280 del gipeto.

Gli avvoltoi hanno il capo nudo, privo di piumaggio, e in alcune specie, come il grifone, anche il collo particolarmente lungo e ricoperto da un corto piumino. Caratteristica comune e distintiva è quella di essere uccelli “spazzini”, ovvero di nutrirsi principalmente di carcasse di animali morti.

La necessità dell’assenza di piumaggio nelle vicinanze del becco è dovuta proprio al fatto di evitare di sporcarsi troppo durante i loro animati banchetti. Inoltre, le specie a collo lungo possono esplorare e divorare anche l’interno delle carcasse dei grandi mammiferi.

2. GIPETO E AVVOLTOIO REALE

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- GIPETO
Detto anche avvoltoio barbuto per un piccolo ciuffo di piume sotto il becco, ha un’apertura alare di 260-280 cm, una coda a cuneo, testa bianca, piumaggio di petto e ventre color ruggine e artigli grandi, ben adatti al trasporto di prede.
Da un punto di vista morfologico viene collocato tra gli avvoltoi e le aquile, così come suggerisce anche il suo nome (dal greco gyps, avvoltoio, ed aetos, aquila).
La coppia si insedia stabilmente in grandi territori montuosi con profondi valloni e grandi altopiani, al cui interno hanno diversi nidi che occupano annualmente a rotazione.
I gipeti depongono 1-2 uova, da cui nascono pulcini che, all’involo, hanno un piumaggio scuro e uniforme.

A differenza di altri avvoltoi, trasportano il cibo al nido con le zampe, come fanno le aquile. Si nutrono quasi solo di ossa: le ingeriscono intere fino a una lunghezza di 30 cm, mentre le più grandi vengono trasportate a grandi altezze con le zampe e lasciate cadere con incredibile precisione su placche rocciose, per romperle e recuperarle subito dopo.
L’origine della tipica colorazione ruggine di petto e ventre non pare avere origine biologica ma sembra sia dovuta a un pigmento assunto per contatto diretto con minerali contenenti sali di ferro.
Il gipeto è infatti attratto dai cumuli di terra e sabbia rossastra, nei quali compie tipici “bagni”, cospargendosi ventralmente con tali sostanze.

 

- AVVOLTOIO REALE
L’avvoltoio reale (Sarcoramphus papa) fa parte della famiglia dei Catartidi, gli avvoltoi del Nuovo Mondo: a differenza degli altri membri di questa famiglia, non ha un olfatto particolarmente sviluppato.

 

- TRA VECCHIO E NUOVO MONDO
Gli avvoltoi si distinguono per ordine sistematico in due grandi gruppi. Quelli presenti nei tre continenti del Vecchio Mondo (Europa, Asia e Africa) e la famiglia che invece troviamo nel continente americano del Nuovo Mondo.
Queste due famiglie hanno caratteristiche comuni, anche se si differenziano per alcune particolarità comportamentali e anatomiche.
Differenza tipica è la modalità di ricerca del cibo. In quelli del Vecchio Mondo avviene esclusivamente con una caccia a vista, mentre negli avvoltoi del Nuovo Mondo può essere aiutata anche dall’olfatto molto sviluppato.
Fanno parte di questa famiglia solo sette specie, tra cui il piccolo urubù, l’avvoltoio reale delle foreste tropicali e i condor della California e delle Ande.
Nella foto sotto, un grifone africano (un avvoltoio del Vecchio Mondo, a sinistra), e un urubù (un avvoltoio del Nuovo Mondo, a destra).

3. GRIFONE E CAPOVACCAIO

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- GRIFONE
Grande avvoltoio dal piumaggio fulvo, ha testa calva e collo lungo; la sua apertura alare raggiunge i 260 cm.
I grifoni nidificano in colonie su grandi pareti rocciose, dove covano per ogni stagione riproduttiva un solo uovo.
Da tali pareti, che poi utilizzano per tutto l’anno, si muovono giornalmente in stormi per l’esplorazione e la ricerca del cibo. Il primo grifone che individua una carcassa a terra vi si dirige sulla perpendicolare, cominciando a rotearvi sopra.
È il segnale per gli altri componenti del gruppo della presenza di cibo. Così tutti raggiungono il primo e cominciano a roteare insieme per controllare che il luogo sia sicuro. Poi scendono a terra per dare inizio al loro pasto.
A volte, se il cibo è stato molto abbondante, rimangono anche diverse ore nei pressi del sito di alimentazione per digerire e riprendere poi il volo di rientro alla colonia.
Se il grifone ha un piccolo da sfamare, il cibo non viene trasportato con le zampe ma rigurgitato dalla base del collo, che funge quindi da “sacca” da trasporto.

 

- CAPOVACCAIO
È il più piccolo avvoltoio del Vecchio Mondo, con un’apertura alare di 160-170 cm, piumaggio bianco che contrasta con la punta delle ali nere, tipica coda a cuneo e becco giallo e sottile.
Nelle aree di nidificazione europee è l’unico del suo gruppo a essere migratore e quindi a raggiungere le nostre latitudini solamente durante il periodo primaverile per l’annuale riproduzione.

Costruisce un grande nido in cavità di pareti rocciose o su alberi, dove depone in genere due uova. Opportunista e adattabile nella dieta, si ciba, oltre che di animali morti, anche di resti alimentari che trova nelle discariche urbane.
Inoltre può cacciare attivamente piccoli insetti e altri invertebrati, spesso seguendo a terra il bestiame al pascolo, da cui appunto prende il nome di capovaccaio.
In Africa ha imparato a rompere il guscio delle spesse uova di struzzo: sceglie con il becco una pietra adatta e poi la scaglia più volte contro le uova, finché queste non si rompono, guadagnandosi così un pranzo super proteico!

4. AVVOLTOI D’ITALIA

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In Italia il cielo non è mai stato particolarmente sicuro per gli avvoltoi, e i numeri sulla loro distribuzione parlano chiaro.

Fino agli Anni 70 del secolo scorso, quando sono nate le prime leggi nazionali a loro tutela, venivano cacciati con tutti gli strumenti allora disponibili, quali armi da fuoco e carcasse avvelenate (usate anche per colpire predatori come lupi, volpi e cani randagi).

Così, l’ultimo gipeto dell’arco alpino veniva abbattuto in Val d’Aosta nel 1913 e gli ultimi grifoni di Sicilia morivano avvelenati nel 1965.

Alla fine degli Anni 80 in Italia sopravvivevano solo il piccolo capovaccaio, tra la Basilicata e la Sicilia, e poche decine di esemplari di grifone in alcune aree remote della Sardegna.

Grazie a una maggiore consapevolezza sull’utilità ecologica di questi grandi rapaci, sono stati poi realizzati progetti di reintroduzione su tutto il territorio nazionale, che hanno riportato il grifone nei cieli del Friuli, in Abruzzo, in Sicilia sui Nebrodi e nel Parco del Pollino, tra Calabria e Basilicata.

Ugualmente, è stato reintrodotto il gipeto sull’arco alpino, a iniziare dal Parco delle Alpi Marittime nel 1994 e in quello dello Stelvio nel 2000.

Indubbiamente la situazione ora è cambiata: l’accresciuta coscienza ecologica ha ricondotto gli avvoltoi a volare in diverse aree del Paese. Attualmente si contano oltre 150 gipeti tra valli e montagne delle Alpi e circa 500 grifoni dal Friuli alla Sardegna, lungo la catena degli Appennini.

È invece ancora critica la situazione del capovaccaio, con solo 12 coppie nidificanti tra Basilicata, Calabria e, soprattutto, Sicilia.

Il loro ritorno rimane comunque ostacolato da nuovi fattori, tipici di alcune attività umane: l’arrampicata sportiva su pareti rocciose o il parapendio nei pressi di siti di nidificazione, per esempio, possono apportare un disturbo diretto tale da impedirne la riproduzione.

Grandi elettrodotti e, più ancora, le pale eoliche nelle aree di transito degli avvoltoi possono causare la morte per elettrocuzione o per impatto di molti individui.

Si aggiungono le trasformazioni ambientali e l’abbandono di tecniche tradizionali di pascolo vagante, in cui il bestiame morto e lasciato sul terreno rientrava nei cicli naturali diventando cibo per gli avvoltoi. Garantire un futuro a questi rapaci dovrebbe essere la sfida di questo nuovo millennio.





5. CATENA DI... SMONTAGGIO

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Gli avvoltoi si trovano al vertice della piramide alimentare, con l’importante ruolo ecologico di essere gli “spazzini della Natura”: la loro azione, infatti, permette di eliminare in maniera veloce ed efficace gli animali morti che, se lasciati a decomporre negli ambienti naturali, potrebbero causare problemi di carattere sanitario.

Grazie alla loro capacità di planare per ore sfruttando venti e correnti, esplorano grandi fasce di territorio, osservando con l’acuta vista ogni particolare.

Spesso vengono attirati dal comportamento di corvidi e altri piccoli rapaci che all’occorrenza si nutrono di carogne. L’anomalo assembramento di questi uccelli potrebbe indicare che a terra c’è un animale morto e quindi del cibo.

Ogni specie ha una particolare posizione e un preciso ruolo nello “smontaggio” alimentare di una carcassa. Se non sono intervenuti già dei predatori mammiferi a mangiare alcune parti dell’animale, normalmente i primi a iniziare il banchetto sono i grandi avvoltoi dal collo lungo, come il grifone e l’avvoltoio monaco.

Con il loro potente becco, strappano e tagliano con facilità la spessa epidermide della carcassa e si fanno strada verso la parte più appetitosa e sostanziosa. Su una sola carcassa di pecora, mucca o un medio selvatico si possono osservare anche più di 15 grandi avvoltoi che, con litigiosità e grande confusione, cercano, ognuno per sé, di mangiare il più possibile.

Al termine del loro pasto può avvicinarsi anche il capovaccaio, che con il piccolo becco riesce a staccare la carne da quelle parti della carcassa troppo minute per il grifone e l’avvoltoio monaco.

Insieme al capovaccaio partecipano al banchetto anche altri uccelli, non necessariamente necrofagi, che in precedenza avevano segnalato la carcassa, come gazze, corvi imperiali e nibbi. Dopo poche ore, dell’animale morto non rimane che la pelle e parti di ossa accuratamente pulite dalla carne.

Ma l’opera degli avvoltoi non è ancora finita. Dove presente, arriva il maestoso gipeto, che ha un’alimentazione specializzata: si nutre di ossa e del midollo ivi contenuto. Un suo comportamento tipico è quello di lasciar cadere le ossa da grandi altezze su pietre e terreni rocciosi per frantumarle e ingoiarle con maggiore facilità.

L’utile opera di questi uccelli si è così conclusa: restano sul terreno solo piccole tracce della carcassa, che andranno incontro ai naturali processi di decomposizione da parte di piccoli microrganismi saprofagi.








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