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Carlo Alberto Dalla Chiesa: il guerriero dello Stato che lo Stato lasciò da solo

Generale dei carabinieri in prima linea nella Resistenza, ex capo dei servizi antiterroristici italiani, prefetto di Palermo impegnato per decenni nella lotta alla mafia.

Carlo Alberto Dalla Chiesa è stato un eroe indiscusso dei nostri tempi: ha combattuto il nazismo, il banditismo, le Brigate Rosse e anche la mafia, non smettendo mai di credere nello Stato.

A Palermo aveva chiesto pieni poteri per combattere la battaglia contro la mafia e vincerla.

Ma gli aiuti promessi non arrivarono e il generale dei carabinieri che aveva inferto colpi al fascismo, al banditismo e al terrorismo non scampò al suo destino.

Cosa Nostra lo uccise e pur pagando pegno con l’arresto di alcuni dei suoi boss, non fu annientata. Non lo è ancora oggi!

 

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1. Carabiniere nel DNA

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Generale dei carabinieri in prima linea nella Resistenza, ex capo dei servizi antiterroristici italiani, prefetto di Palermo impegnato per decenni nella lotta alla mafia.

Carlo Alberto Dalla Chiesa è stato un eroe indiscusso dei nostri tempi: ha combattuto il nazismo, il banditismo, le Brigate Rosse e anche la mafia, non smettendo mai di credere nello Stato.

Lo scorso 27 settembre 2020 avrebbe compiuto 100 anni, ma alle 21.15 del 3 settembre 1982, a 61 anni, fu brutalmente freddato da una raffica di colpi di un Kalashnikov AK 47 a Palermo, assieme alla sua giovane moglie, Emanuela Setti Carraro, 31 anni.

Così Dalla Chiesa pagò la “colpa” di aver tracciato un solco fondamentale nella legislazione antimafia, che sarebbe stato ripercorso negli anni a venire da altri come lui che si sarebbero immolati nella lotta contro Cosa Nostra: per esempio, i magistrati Falcone e Borsellino, che tentarono di arrivare alla verità sul suo omicidio e caddero anche loro in nome della giustizia. Fu infatti grazie all’impegno di Dalla Chiesa che si giunse alla prima legge sull’associazione mafiosa, riconoscendo in essa un reato.

Figlio di Romano Dalla Chiesa, generale dei carabinieri, e fratello di Romolo, anche lui futuro generale dell’Arma, Carlo Alberto nacque a Saluzzo (Cuneo) il 27 settembre 1920. A 21 anni fu nominato Sottotenente di Fanteria e si arruolò durante la Seconda Guerra mondiale, raggiungendo il fronte del Montenegro, dove ricevette due croci di Guerra. Dal 1942 entrò nell’Arma degli allora Reali Carabinieri.

Combatté per la Resistenza e la liberazione dal nazifascismo. Nel 1945 conobbe a Bari, dove fu mandato per un incarico da capitano, Dora Fabbo, anche lei figlia di carabiniere, che nel 1946 sarebbe diventata la sua prima moglie. Nel 1947 Dalla Chiesa raggiunse la Campania, dove gli fu affidato il compito di combattere il banditismo.

Si installò nella sede di Casoria. Nel 1949 fu inviato in Sicilia con lo stesso incarico, sotto il comando del colonnello Ugo Luca, per sradicare le bande di criminali nell’isola, come quella di Salvatore Giuliano.

Nel novembre 1949 fu trasferito a Firenze. Ricoprì poi diversi incarichi tra Roma e Milano e da colonnello fece ritorno in Sicilia, dove si impegnò nella lotta alla mafia e mise a segno la condanna al confino di alcuni esponenti di Cosa Nostra presso le isole di Asinara, Linosa e Lampedusa (anziché nelle città del Nord Italia, dove era consuetudine inviarli).

Alla fine degli anni ’60 gli fu affidata la guida della legione dei Carabinieri della Sicilia occidentale, dove ebbe occasione di studiare a fondo “gli affari” dei corleonesi.

Nella foto sotto, il Generale Dalla Chiesa con la prima moglie Dora e i figli Nando, Rita e Simona, in una foto del 1959.

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2. La lotta alle Brigate Rosse e il Nucleo Scintilla

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Nel settembre 1973, da colonnello già in odore di promozione a generale, Dalla Chiesa fu chiamato al comando della Brigata dei Carabinieri di Torino, alla cui giurisdizione appartenevano anche le regioni Valle d’Aosta e Liguria (oltre al Piemonte) per affrontare la lotta al terrorismo, molto diffuso in quegli anni nel territorio tra le classi operaie.

Nel 1974 arrivò la nomina a generale e in questa veste Dalla Chiesa mise in atto una strategia di infiltrazione dei suoi uomini nelle fila dei terroristi.

Nel maggio 1974 creò il Nucleo Speciale Antiterrorismo, con sede nella Caserma Cernaia di Torino, riuscendo a mettere a segno la cattura di figure leader delle Brigate Rosse come Renato Curcio e Alberto Franceschini.

Il Nucleo Speciale di Torino, soprannominato Nucleo Scintilla, era costituito da 40 unità: 7 ufficiali e 33 sottoufficiali, quasi tutti carabinieri. Dalla Chiesa mise al servizio del nucleo le sue doti investigative e la sua lunga esperienza, dedicandosi anima e corpo al progetto e diventando così sempre più temuto dalle BR.

Il nucleo antiterrorismo chiuse però i battenti già nel 1976, nonostante i brillanti risultati raggiunti. Solo nel 1990 sarebbe risorto a nuova vita come ROS (Raggruppamento Operativo Speciale), costituito il 3 dicembre per combattere il crimine organizzato, coordinando l’attività strategica investigativa a livello nazionale.

Con sede a Roma e dipendente dal Comando Unità Mobili e Specializzate dei Carabinieri, il ROS è composto da 6 reparti divisi tra indagini tecniche, anti eversione e reati violenti. A loro volta i reparti sono ramificati in un’organizzazione distribuita in sei città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Reggio Calabria e Palermo), 20 sezioni anticrimine e due nuclei anticrimine.

Nel ROS vengono reclutati uomini addestrati a combattere in maniera estrema, a volte alla stessa stregua dei criminali, che si infiltrano nelle bande mafiose, terroristiche o eversive, vivendo sotto copertura per mesi se non per anni per indagare con registrazioni e intercettazioni.

Nel 1992 l’unità speciale CRIMOR, creata all’interno del ROS per indagare su uno dei più celebri capi mafiosi, Totò Riina, riuscì a giungere alla sua cattura.

 

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3. Il caso Moro

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Nel 1977 il generale Dalla Chiesa fu nominato Coordinatore del servizio di sicurezza degli Istituti di prevenzione e pena e venne promosso al grado di Generale di divisione. Il 1978 fu un momento di svolta nella sua vita sia pubblica sia privata.

A Torino, il 19 febbraio si spense infatti per infarto sua moglie Dora, atterrita dalla notizia di un attentato terroristico nel quale pensava potesse essere coinvolto anche il marito.

Sul piano lavorativo, dovette invece affrontare il rapimento e l’assassinio del noto politico Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana, il partito che governava l’Italia. Il governo gli affidò un reparto speciale del Ministero dell’interno perché indagasse e continuasse la lotta alle BR, incarico che assunse con il consueto rigore.

Nel 1979 tornò a Milano a capo della prestigiosa Divisione Pastrengo,con la carica di generale dell’arma a tempo pieno per la lotta contro il terrorismo, con giurisdizione su tutto il Nord Italia, ricevendo la nomina di Vice Comandante Generale dell’Arma con competenza su tutta l’Italia settentrionale, dal dicembre 1979 al dicembre 1981.

Fu in questo periodo che conseguì i più importanti successi nella lotta contro il terrorismo, catturando numerosi esponenti di spicco e sequestrando delicatissimi documenti assieme a notevoli quantitativi di armi ed esplosivi.

Nell’82, sempre per suo merito, venne formalizzata la figura giuridica del collaboratore di giustizia, che fu sfruttata nelle indagini sull’assassinio di Aldo Moro e della scorta.

Nella foto sotto, il presidente del Consiglio dei Ministri Giovanni Spadolini parla con il generale Dalla Chiesa. 15 ottobre 1981.

4. Da generale a prefetto e stratega coraggioso

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Nonostante la ritrovata fiducia nell’Arma dei carabinieri, Palermo continuava a lamentare scarso sostegno da parte dello Stato.

Il clima di tensione e la catena di delitti ascrivibili alla mafia come l’omicidio dell’allora presidente della regione Sicilia, Piersanti Mattarella – fratello dell’attuale presidente della Repubblica – avvenuto il 6 gennaio 1980, e quello di Pio La Torre, segretario regionale del PCI siciliano e impegnato nella lotta alla mafia da decenni, ucciso il 30 aprile 1982, spinse il governo a nominare Prefetto il generale Dalla Chiesa. Nessuno meglio di lui conosceva il tessuto sociale della Sicilia.

Fu il cinquantottesimo Prefetto di Palermo dall’Unità d’Italia. Giunse nel capoluogo siciliano lo stesso giorno dell’omicidio di La Torre. Lasciata l’uniforme, decise di accettare l’incarico, certo di poter ottenere gli stessi risultati con Cosa Nostra che aveva conseguito con le Brigate Rosse.

Gli furono promessi, affinché accettasse l’incarico, poteri straordinari di coordinamento su tutto il territorio nazionale, ma di fatto non li ottenne mai. Si sarebbero concretizzati solo dopo la sua morte. In precedenza, in effetti, aveva annotato sul suo diario personale: «Mi trovo a essere richiesto di un compito davvero improbo e, perché no, anche pericoloso».

Accettò con coraggio e professionalità e iniziò ad avviare una serie di iniziative di coordinamento delle forze di polizia, a livello non solo regionale ma nazionale, per assicurare il controllo del territorio, gettando le basi di quella che, anni dopo, sarebbe diventata la direzione nazionale antimafia. Una delle sue carte vincenti fu intuire il ruolo chiave dei collaboratori di giustizia.

Dalla Chiesa decise di ridurre l’organico della sua scorta e di spostarsi in autonomia con mezzi pubblici. Ogni giorno dimostrava di persona come fosse importante superare il muro della paura.

Creò i presupposti per una articolata legislazione antimafia, affinando sempre più le tecniche investigative acquisite e riuscendo, nel suo pur breve mandato, a stabilire un rapporto di fiducia tra imprenditori, studenti e sindaci e una rete di collaborazioni sul territorio che si sarebbero rivelate preziose per il futuro delle indagini antimafia.

Fu così che si arrivò alla prima legge sull’associazione mafiosa, che introdusse nel codice penale il reato di associazione mafiosa e prevedeva misure patrimoniali nei confronti dei boss, le quali portarono a prevedere e istituire la confisca dei beni dei detenuti della criminalità organizzata.

Qui sotto, ritratto del generale nel giardino della Villa Malfitano Whitaker. Palermo, luglio 1982.





5. L’attentato in via Carini

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Il 3 settembre 1982, in via Isidoro Carini, a Palermo, la A 112 bianca in cui viaggiavano il generale Dalla Chiesa e la sua seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, guidata da quest’ultima, fu affiancata da una BMW 518 i cui occupanti le esplosero contro una raffica di colpi di Kalashnikov.

Emanuela perse il controllo dell’auto, che si schiantò sui veicoli parcheggiati a lato della strada.

Ciò ancora non bastò ai killer, che crivellarono ulteriormente i corpi esanimi del generale e della moglie fino a sfigurarli.

Nel frattempo una moto avvicinò l’Alfetta di scorta, guidata dall’agente Domenico Russo, riducendolo in fine di vita (sarebbe morto alcuni giorni dopo in ospedale).

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L’attentato fu rivendicato con una lettera anonima alla Centrale operativa della Questura di Palermo. Purtroppo le indagini non ne chiarirono completamente la matrice. Nel 1995 furono condannati all’ergastolo i vertici di Cosa Nostra: Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.

Nel 2002 furono condannati in primo grado all’ergastolo, quali esecutori materiali dell’attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, mentre per altri due imputati, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci, furono stabiliti 14 anni di reclusione ciascuno.

Con lui morì anche la giovane Emanuela... Nata in provincia di Vercelli nel 1950, Emanuela Setti Carraro era figlia di Maria Antonietta Carraro, vedova Setti, capogruppo delle crocerossine nella Seconda Guerra mondiale e nella Repubblica Sociale Italiana.

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Dopo il liceo classico dalle Suore Marcelline e l’iscrizione all’Università statale di Milano, abbandonò gli studi per diplomarsi infermiera e specializzarsi in infermieristica operatoria. Fu promotrice della riabilitazione equestre in Italia e creò il primo centro per disabili nella caserma Perrucchetti di Milano.

Incontrò Carlo Alberto Dalla Chiesa a Genova alla sfilata degli Alpini. Tra le ragazze che lanciavano garofani ai militari c’era infatti anche lei, che infilò un fiore nel taschino di lui.

I suoi genitori erano contrari alle nozze per il forte divario di età (circa 30 anni), ma Emanuela coronò il suo sogno il 10 luglio 1982 in una chiesetta in provincia di Trento. Lo pagò con la vita appena 54 giorni dopo.

Nella foto sotto, il presidente della Repubblica Sandro Pertini  e il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini  durante i funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro a Palermo il 4 settembre 1982.








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