Gli ultimi 5 Imperatori Romani2-800x400

Gli ultimi 5 Imperatori Romani d’Occidente

Gli imperatori di Roma furono i dominatori, di nome e spesso di fatto, di uno dei più grandi imperi multirazziali che il mondo abbia mai conosciuto, di un impero cui noi dobbiamo molti aspetti della nostra stessa vita.

Gli imperatori Romani non accettarono sempre passivamente il succedersi degli eventi. Al contrario, alcuni di essi agirono con determinazione sul corso degli stessi, provocandone talvolta svolte formidabili e decisive.

Ammesso che la massa della popolazione, impegnata a rosicchiare una magra esistenza dai prodotti dell’agricoltura, sia rimasta relativamente immutata, chi potrebbe credere che le altre manifestazioni e gli altri moti della storia, con la loro maggiore dinamicità, avrebbero avuto lo stesso peso se Augusto, Aureliano, Diocleziano e Costantino non fossero esistiti, o avessero avuto personalità del tutto diversa?

E poi, qualsiasi uomo, qualunque fossero i suoi difetti o le sue colpe, che sia stato chiamato al timone di quell’enorme e tragico vascello (e abbia accettato), è degno di legittima curiosità e invita a indagini più profonde.

La caduta dell’Impero d’Occidente si verifica nel 476. L’Occidente rimase alla mercé delle popolazioni germaniche che già vi si erano stabilite e pertanto ciò che restava dell’antica unità territoriale di quella parte dell’Impero venne definitivamente soppiantato da una pluralità di regni romano-barbarici, assai eterogenei e di disuguale durata, in cui la progressiva integrazione culturale aprì la strada alla formazione delle diverse identità nazionali e quindi alla successiva nascita dei moderni stati europei.

In Oriente, invece, l’eredità dell’Impero Romano sopravvisse ancora a lungo, perpetuandosi nelle sorti alterne di quello bizantino, la cui storia millenaria ebbe fine soltanto il 29 maggio 1453 in seguito alla conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani.

Ma chi fossero gli ultimi Imperatori Romani d’Occidente, pochi ne sono a conoscenza. Scopriamoli insieme.

1. Antemio

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Antemio (Procopio) fu imperatore d'Occidente nel periodo 467-472.

Gaiserico ( il più grande re dei Vandali che è rimasto imbattuto dal tempo che egli salì al trono fino alla sua morte) aveva chiesto che a Libio Severo succedesse Olibrio.

Ma il semplice fatto che questi fosse il candidato del Vandalo lo rendeva inaccettabile a molti, con la conseguenza che per due mesi dopo la morte di Libio, Ravenna rimase del tutto senza imperatore.

Ma un'incursione condotta da Gaiserico nel Peloponneso (467) convinse l'imperatore d'Oriente Leone I che la collaborazione fra i due imperi romani era diventata una necessità urgente e che si doveva scegliere un nuovo Augusto per la metà occidentale dello stato.

La scelta di Leone cadde su Antemio, uno dei più noti fra i suoi sudditi, oltre che marito di Elia Marciana Eufemia (figlia del defunto imperatore Marciano). Questo individuo, che era nato in Galazia e si diceva fosse versato in filosofia greca, sosteneva di discendere da Procopio che nel 365 per breve tempo aveva occupato il trono d'Oriente.

Il padre di Antemio, anch'egli di nome Procopio, era di rango patrizio e aveva raggiunto il grado di Maestro dei Soldati, mentre il nonno materno Antemio era stato il prefetto del pretorio che aveva ricoperto con successo le funzioni di reggente durante la minore età di Teodosio II.

Il futuro imperatore fu comandante militare (comes) della Tracia nel 453-4, Maestro dei Soldati nel 454-467, console nel 455 e patrizio a partire dallo stesso anno. Si era anche ritenuto possibile che succedesse a Marciano sul trono d'Oriente, senonché l'incarico venne assegnato a Leone I.

Si disse che Antemio aveva sopportato con dignità la delusione, ed effettivamente egli riportò due vittorie militari per conto di Leone contro gli Ostrogoti in Illiria (459-464) e contro gli Unni a Serdica (466-7). Infine, nel 467 Leone lo nominò imperatore d'Occidente.

Dopo essersi assicurato l'appoggio del Maestro dei Soldati d'Occidente, cioè di Ricimero, dandogli in matrimonio la figlia Alipia, Antemio partì da Costantinopoli con un gran corteo e una potente armata, e la sua nomina ricevette la conferma non solo del popolo di Roma e dei federati barbari, ma anche del senato.

Sulle sue monete egli si fa vedere con Leone I, ciascuno con in mano una lancia, ma sorreggendo insieme un globo sormontato da una croce; la scritta dice SALUS REIPUBLICAE, «Il Benessere dello Stato».

Leone, da parte sua, fece pubbliche dichiarazioni di affetto paterno nei riguardi di Antemio col quale, dichiarava, aveva diviso il governo dell'universo. Dopo tante disastrose controversie fra i due imperi, questa nuova collaborazione sembrava incoraggiante; ma essa giunse troppo tardi per salvare l'Occidente.

E infatti la sua immediata applicazione pratica si rivelò disastrosa. In questo caso la collaborazione prese la forma di una spedizione congiunta contro Gaiserico: anche se le cifre di 1113 navi e di 100.000 uomini appaiono esagerate, si trattò sempre di un'impresa ambiziosa e di vasta portata.

Però il comandante del contingente orientale (Basilisco) non era leale, e la nomina di Marcellino (comandante militare della Dalmazia) ad ammiraglio dell'impero d'Occidente contrariò Ricimero. Marcellino assalì le basi vandale della Sardegna; frattanto un'altra armata sbarcava in Tripolitania.

Ma, mentre la flotta orientale di Basilisco si avvicinava a Cartagine, Gaiserico aiutato dal vento favorevole diede fuoco a molte delle navi romane e altre ne distrusse; le rimanenti fuggirono in Sicilia con Basilisco e Marcellino, il secondo dei quali finì assassinato, probabilmente per istigazione di Ricimero.

Anche Antemio in Gallia dovette affrontare una situazione peggiore del previsto perché il formidabile re visigoto Eurico, dopo aver assassinato il fratello Teoderico II ed essergli succeduto sul trono (466), sembrava tendesse all'annessione di tutta la Gallia.

La nobiltà gallo-romana, sentendosi in pericolo, inviò ad Antemio, in Italia, una deputazione di cui faceva parte anche Sidonio Apollinare, che ora si trovava a dover onorare nei suoi poemi il terzo imperatore successivo.

Ed egli vi provvide senza incertezze, inneggiando alla restaurazione dell'unità dell'impero, per cui fu poi ricompensato con la prefettura della città di Roma. Nel frattempo in Gallia le forze di Ricimero mantenevano importanti collegamenti con i Suevi e con il re dei Burgundi Gundioc, che aveva sposato la sorella del primo. Sulla base di tali collegamenti Antemio concesse ai Burgundi notevoli favori per guadagnarsene l'aiuto contro Eurico.

Ma il prefetto del pretorio della Gallia, di nome Arvando, fu trovato colpevole di tradimento e malversazione, per cui venne mandato a morte, con la conseguenza che Eurico poté infliggere una grave disfatta all'esercito romano sulla sponda sinistra del Rodano, uccidendo il figlio dell'imperatore, Antemiolo, e i suoi tre più eminenti comandanti.

Antemio non riuscì a conquistare simpatie neanche in Italia, dove suscitavano contrarietà la sua cultura e il modo di vita di ispirazione greca; tra l'altro si diceva che fosse troppo accondiscendente col paganesimo.

Dopo le sconfitte patite contro i Vandali e i Visigoti egli, come era già avvenuto col suo predecessore, cominciò a suscitare sfiducia in Ricimero, e le relazioni fra i due rapidamente si deteriorarono.

Si disse che l'imperatore si fosse rammaricato di aver dato in sposa la propria figlia a un barbaro come Ricimero; il quale, da parte sua, fu udito definire il suocero «grecuccio» e «galata». Il reciproco malvolere ebbe come conseguenza che l'Italia si trovò praticamente divisa in due parti fra loro ostili, con Antemio che regnava a Roma e Ricimero a Mediolanum.

Epifanio, vescovo di Ticinum, riuscì a mettere insieme una riconciliazione (470), che però non durò molto perché nel 472 Ricimero marciò fino alle porte di Roma con l'intenzione di cacciarne il suo ex protetto, mentre per il momento il suo candidato proposto al trono d'Occidente era Olibrio (marito di Placidia Minore, figlia di Valentiniano III), il quale da Costantinopoli si trasferì in Italia.

Antemio aveva l'appoggio di una forza armata di Visigoti al comando di Bilimero (probabilmente Maestro dei Soldati in Gallia), e, sebbene l'imperatore fosse greco, il senato ed il popolo di Roma, come ultima risorsa, apparentemente lo preferivano a Olibrio. Fece seguito un assedio della città della durata di tre mesi, con accompagnamento di carestia ed epidemie.

Alla fine Ricimero portò un violento assalto contro il ponte Elio davanti al mausoleo di Adriano (in seguito Caste! Sant'Angelo). Bilimero oppose una valorosa resistenza finché cadde, al che le truppe di Ricimero fecero irruzione in città, sembra anche grazie al tradimento dall'interno.

Antemio capitolò, ma, mentre il saccheggio continuava, si nascose fra i mendicanti che stavano intorno alla chiesa di San Crisogono. Scoperto, venne decapitato, nel mese di marzo o di aprile del 472, per ordine di Gundobado, nipote di Ricimero.

2. Olibrio

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Olibrio (Anicio), imperatore d'Occidente, marzo (o aprile) - ottobre 472. Membro della grande famiglia degli Anicii, discendeva da Sesto Petronio Probo, il potente ministro di Valentiniano I.

Sposò la figlia di Valentiniano Placidia Minore, che nel 455 venne portata via da Roma dal vandalo Gaiserico insieme con la madre e la sorella. In quell'occasione Olibrio fuggì a Costantinopoli - ricoprendovi il consolato nel 464 ­ ma conservò l'appoggio di Gaiserico, il cui figlio aveva preso in moglie la sorella di Placidia.

Fu così che nel 465, quando morì l'imperatore d'Occidente Libio Severo, Gaiserico chiese che Olibrio fosse nominato successore del defunto. Ma la pretesa del Vandalo incontrò una forte opposizione, e nel 467 il trono d'Occidente fu conferito al greco Antemio.

Tuttavia, dopo cinque anni, quando i rapporti fra Antemio ed il suo Maestro dei Soldati Ricimero si guastarono, l'idea dell'elevazione di Olibrio rispuntò fuori. Sembra che l'imperatore d'Oriente Leone i avesse inviato Olibrio in Italia per tentare di metter pace fra i due; ma che, una volta giunto in Italia, proprio Olibrio venisse innalzato alla porpora.

Non è molto probabile che Leone abbia favorito la mossa, dal momento che si doveva trovare d'ac­cordo con coloro che non volevano sul trono d'Occidente un candidato che riscuotesse anche il favore dei Vandali.

Infatti Giovanni Malala scrive che l'imperatore avrebbe inviato segretamente una lettera ad Antemio chiedendogli di mettere a morte Olibrio, ma che Ricimero la intercettò facendola scomparire.

Sia il fatto vero o no, Ricimero diede a Olibrio un trionfale benvenuto nel proprio accampamento sul fiume Anio (Aniene), alle porte di Roma, e lo proclamò imperatore (aprile 472).

Tre mesi più tardi Antemio aveva perduto la città e la vita, mentre Olibrio cominciava il suo regno senza opposizioni, anche se non sembra che Leone avesse aderito alla nomina.

Quaranta giorni soltanto dopo aver condotto a termine questi eventi sanguinosi anche Ricimero, che aveva dominato per tanto tempo la scena dell'impero d'Occidente, era morto, vomitando sangue.

Il posto di Maestro dei Soldati venne preso da Gundobado, figlio della sorella dello stesso Ricimero e del re burgundo Gundioz. Ma Gundobado godette con Olibrio un'associazione di breve durata, perché quest'ultimo morì di idropisia cinque o sei mesi dopo.

Una delle poche testimonianze del suo regno ci è data da una moneta d'oro coniata a Roma in cui si vede un suo ritratto frontale con diadema di perle, senza l'elmo o la lancia usuali.

Sul rovescio sta una grande croce con le parole SALUS MUNDI, «Il Benessere (o la Salvezza) del Mondo» - allusione di significato più particolarmente cristiano fra tutte quelle apparse sulle monete romane.

Olibrio dal matrimonio con Placidia Minore ebbe una figlia, Giuliana Anicia, che sposò un funzionario di nome Areobindo ­ imperatore di Costantinopoli nel 512 per un solo giorno - il suo ritratto si trova nel manoscritto di un'opera di Dioscoride sulle piante.

3. Glicerio

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Glicerio fu imperatore d'Occidente nel periodo marzo 473 - giugno (?) 474.

Dopo la morte di Olibrio, per quattro mesi non venne nominato alcun successore sul trono d'Occidente perché Leone I, in quel tempo imperatore d'Oriente e unico reggitore del mondo romano, non riusciva a trovare un candidato accettabile.

Ma a un certo punto Gundobado, il burgundo Maestro dei Soldati in Italia, prese la questione nelle proprie mani e fece sì che Glicerio, da poco nominato comandante del nobile corpo dei cadetti (comes domesticorum), venisse insediato sul trono d'Occidente.

Nel mese di marzo del 473 egli venne debitamente proclamato a Ravenna ricevendo l'appoggio di Chilperico, compatriota di Gundobado e Maestro dei Soldati in Gallia. Il suo breve regno fu dominato da una minaccia portata all'Italia dagli Ostrogoti.

Dopo il collasso, avvenuto nel 454, dell'impero degli Unni, questo popolo, sotto la guida dei tre fratelli Valamiro, Teodemiro e Videmiro, aveva ricevuto dall'imperatore d'Oriente Marciano il permesso di insediarsi nella Pannonia settentrionale con Io statuto di federato, e, dopo aver depredato le province illiriche e aver combattuto contro altre tribù germaniche, aveva stabilito la propria dominazione sulla regione del medio Danubio (469 circa).

A Teodemiro dopo due anni succedette il figlio Teoderico, il quale condusse una parte della nazione ostrogota dalla Pannonia a una nuova sede nella Mesia Inferiore (tra l'altro Teoderico era destinato a diventare sovrano d'Italia te decenni più tardi).

Un altro raggruppamento ostrogoto, sotto la guida di Videmiro, zio di Teoderico, lasciò la Pannonia muovendo del pari verso sud :con l'intenzione di invadere la penisola italica. Ma il nuovo imperatore Glicerio li trattò con abilità diplomatica e riuscì a convincerli a dirigersi verso la Gallia, rinunciando a entrare in Italia.

Ma Glicerio non era mai stato riconosciuto da Costantinopoli, e Leone I era deciso a sostituirlo sul trono d'Occidente con Giulio Nepote, nipote della propria moglie per matrimonio e più o meno autonomo Maestro dei Soldati in Dalmazia. Nepote si trasferì in Italia con una flotta, prese terra a Portus Augusti (Ostia) e si dichiarò imperatore.

L'unico uomo che avrebbe potuto opporsi alla pretesa sarebbe stato Gundobado, che però era scomparso dalla cena italica; infatti, dopo la morte (forse per assassinio) dei suoi due fratelli gli si trovò a essere unico successore del proprio padre al reame dei Burgunli, per cui vi si diresse immediatamente per prendere possesso dell'eredità.

Fu così che Glicerio si arrese a Giulio Nepote senza opporre resistenza. Dopo essere stato deposto, accettò l'ordinazione a vescovo di Salonae, in Dalmazia. Il resoconto dell'avvenimento, che ci è pervenuto, lascia tuttavia qualche dubbio sulla sua morte che potrebbe essere avvenuta, per cause sconosciute, prima che egli arrivasse a destinazione.

In effetti, secondo lo storico Malco, un certo Glicerio, che in seguito fu arcivescovo di Mediolanum, e che sei anni più tardi venne accusato dell'assassinio di Giulio Nepote, sarebbe stato l'uomo che in precedenza aveva occupato il trono; ma il fatto non è certo.

Era diventato consueto negli ultimi tempi dell'impero d'Occidente di far apparire sul rovescio delle monete la riproduzione di un noto simbolo, risalente all'inizio del V secolo, costituito dal ritratto frontale dell'imperatore che teneva un lungo scettro sormontato da una croce e un globo della vittoria, indipendentemente dal fatto che una vittoria ci fosse stata o no.

Le monete fatte coniare a Ravenna da Glicerio seguono un modello identico, ma sul verso si va ancora oltre lungo il sentiero della nostalgia, perché vi si vede riprodotto il profilo dell'imperatore con uno stile reminiscente di coniazioni risalente a oltre un secolo prima.

4. Giulio Nepote

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Imperatore d'Occidente, giugno 474 - agosto 475 (e in Dalmazia, 477 ? -480), era figlio di Nepoziano, Maestro dei Soldati sotto Avito, mentre la madre era sorella di Marcellino, comandante militare in Sicilia e in Dalmazia.

Verso il 468 Nepote gli era succeduto nel comando in Dalmazia, che formalmente faceva parte dell'impero d'Oriente, ma in pratica non aveva padrone.

Aveva sposato la nipote dell'imperatrice Elia Verina, moglie dell'imperatore d'Oriente Leone I; e quest'ultimo, dopo aver rifiutato il proprio riconoscimento all'ascesa di Glicerio sul trono d'Occidente (473-474), fornì appoggio militare a Nepote, il quale salpò da Costantinopoli per sbarcare al Portus Augusti (Ostia).

Qui nel giugno del 474 fu proclamato imperatore, mentre Glicerio veniva mandato in esilio nel vescovato di Salonae. L'ascesa di Nepote ricevette il riconoscimento del senato di Roma e del popolo d'Italia, e Sidonio Apollinare (ormai abituato a osannare i vari imperatori che fugacemente si succedevano) ne lodò il carattere e le virtù militari. Con lui la Dalmazia per breve tempo tornò a far parte dell'impero d'Occidente, dal quale, però, allo stesso tempo se ne distaccava la Gallia.

Infatti, l'avvenimento più significativo del regno di Nepote fu la dichiarazione del sovrano visigoto Eurico secondo cui la Gallia non sarebbe più stata federata all'impero romano d'Occidente, cioè nominalmente a esso soggetta, bensì si doveva considerare una nazione del tutto indipendente, come quella dei Vandali di Gaiserico.

Il figlio Ecdicio del precedente imperatore, che Nepote aveva nominato Maestro dei Soldati del quartier generale (in praesenti) e patrizio, fu coadiuvato dal cognato Sidonio Apollinare (in quel tempo vescovo degli Arverni) nel difendere Arverna, principale città della regione, contro gli assedi dei Visigoti che si ripeterono per quattro anni.

Ma Nepote, essendo impossibilitato a mandare aiuti (e non ricevendone neanche dai Burgundi) si sentì costretto a iniziate con Eurico negoziati che vennero affidati a cinque vescovi.

Dopo numerose missioni diplomatiche nel corso delle quali vennero inutilmente discussi eventuali scambi di territori, fu concluso un trattato in base al quale l'intera regione dell'Arvernia passava ai Visigoti (475), con grande indignazione di Sidonio Apollinare che dovette essere temporaneamente incarcerato vicino a Carcaso.

Il trattato riconosceva le conquiste dei Visigoti non soltanto in Gallia, dove il loro regno si estese dal fiume Loira ai Pirenei e al basso corso del Rodano, ma anche nella Spagna, che in gran parte finì in loro possesso.

Nel frattempo Giulio Nepote aveva conferito la carica di Maestro dei Soldati a Oreste (in precedenza segretario di Attila) in sostituzione di Ecdicio, e Oreste decise di elevare al trono d'Occidente il proprio figlio Romolo («Augustolo») in sostituzione dell'incapace sovrano ufficiale.

Con tale intenzione Oreste partì da Roma con una forza armata per andare ad assalire Ravenna, dove l'imperatore aveva la propria residenza. Ma quest'ultimo, non avendo fede nell'asserita imprendibilità della città, fuggì per mare e si rifugiò nei suoi possedimenti della Dalmazia.

Quando, tuttavia, l'anno seguente Romolo venne costretto ad abdicare da Odoacre - che fu proclamato re dai soldati - non passò molto che l'imperatore d'Oriente Zenone dovette accogliere due deputazioni.

Una veniva da Odoacre e chiedeva che il proprio dominio de facto sull'Italia ricevesse il riconoscimento formale da parte dell'impero d'Oriente, mentre in cambio lo stesso Odoacre era pronto a riconoscere la supremazia di Zenone.

L'altra deputazione era stata inviata da Giulio Nepote il quale, richiamandosi alle parentele matrimoniali con Costantinopoli, sollecitava simpatia per un uomo che era stato costretto a fuggire dal proprio paese (come lo stesso Zenone, in una recente occasione) e chiedeva aiuti per riacquistare il trono.

La prima richiesta fu accolta, e ad Odoacre venne conferito il titolo di patrizio. Per quel che riguarda Nepote, Zenone ricordò al senato romano che esso si era comportato malamente con tutt'e due gli imperatori che gli erano stati sottoposti dall'est, facendo uccidere Antemio e mandando Nepote in esilio. Quindi domandò ai senatori di riprendersi Nepote, e anche Odoacre fu invitato a far lo stesso. 

Odoacre, in realtà non prese alcuna iniziativa per insediarlo nuova­ mente in Italia, ma il fatto che le zecche italiche avessero ripreso le coniazioni auree in nome di Nepote indica che Odoacre (che controllava le zecche) almeno in apparenza accordò il riconoscimento che l'imperatore d'Oriente gli aveva richiesto.

Pertanto la tradizione secondo cui l'impero d'Occidente ebbe termine con Romolo Augustolo ha bisogno almeno di una modifica formale, dal momento che l'ultimo imperatore d'Occidente ufficialmente riconosciuto, anche se non risiedeva più in Italia, fu Nepote.

L'esiliato visse in Dalmazia fino al 9 maggio 480, quando venne assassinato da due suoi dipendenti, Viator e Ovida, nella residenza di campagna in vicinanza di Salonae (Split); forse, ma non sicuramente, per ordine del suo stesso predecessore Glicerio. Dopo l'uccisione Odoacre corse in Dalmazia col pretesto di punire gli assassini, ma in effetti con lo scopo di unire il paese ai propri domini.



5. Romolo

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Romolo («Augustolo»), ottobre 475-settembre 476, era figlio di Oreste, un Romano della Pannonia che, come segretario del re degli Unni Attila, era stato inviato a Costantinopoli in missione.

Aveva sposato la figlia di un alto funzionario (comes) romano, di nome Romolo, che veniva da Poetovio, e dopo la morte di Attila si impiegò al servizio dell'impero d'Occidente.

I suoi talenti gli guadagnarono una rapida promozione, e nel 474 Giulio Nepote lo nominò Maestro dei Soldati del proprio quartier generale (in praesenti) con rango di patrizio.

Le sue relazioni con l'Europa centrale lo rendevano ben accetto alle truppe germaniche, che in quel tempo costituivano quasi per intero l'esercito romano in Italia; ed era da esse preferito anche a Giulio Nepote, il quale era arrivato nel 474 dall'Oriente greco.

Oreste era sensibile al desiderio di cose nuove dei soldati, ma - per qualche motivo che non conosciamo - anziché elevare se stesso, decise di innalzare al trono d'Occidente il giovane figlio Romolo. Nell'agosto del 475 Giulio Nepote fuggì in Dalmazia, e il 31 ottobre Oreste vestì con la porpora Romolo.

Il ragazzo assunse, o già possedeva, il nome di Augusto non soltanto come titolo, ma anche come nome personale (alcune iscrizioni ci fanno sapere che la cosa aveva dei precedenti, anche fra privati cittadini) dal momento che le monete da lui emesse recano la curiosa dicitura: «Dominus Noster Romulus Augustus Pius Felix Augustus».

La sua posizione, però, non venne riconosciuta nell’impero d'Oriente, dove Nepote continuò ad essere considerato imperatore d'Occidente, anche se per dieci mesi Oreste governò l'Italia in nome del figlio.

La caduta dei due fu provocata da ammutinamento scoppiato fra le loro stesse truppe, che erano quasi interamente costituite da Germani dell'est (soprattutto Eruli, ma anche Rugii e Sciri) e che ben sapevano come in altre parti dell'impero d'Occidente il governo avesse fatto accordi con i Germani in base ai quali i latifondisti locali erano obbligati a trasferire agli immigrati una certa percentuale delle loro terre.

Fino a quel momento il principio non aveva trovato applicazione in Italia, ma a questo punto i soldati germanici dislocati nel paese chiesero che il beneficio fosse esteso anche a loro.

Essi non pretendevano di ricevere i due terzi della terra che più di mezzo secolo prima Onorio aveva concesso ai Visigoti della Gallia, ma si sarebbero accontentati (a loro dire) di un terzo soltanto, come era già stato fatto con i Burgundi. Sembra che Oreste in un primo tempo si fosse lasciato andare a qualche promessa del genere, purché i soldati lo avessero aiutato a scacciare dal trono Giulio Nepote.

Ma una volta riuscito nell'intento egli cambiò parere in quanto, nonostante la lunga associazione con i Germani e gli Unni, era ancora abbastanza Romano da sentire che un accomodamento del genere, anche se possibile nelle province, non poteva applicarsi al suolo d'Italia, che in ogni caso doveva rimanere inviolato.

La reazione inspirò in Edward Gibbon un certo pensiero reverenziale: «La pericolosa alleanza con questi stranieri aveva oppresso e insultato gli ultimi resti della libertà e della dignità di Roma [...] Oreste, con uno spirito che in altre circostanze avrebbe potuto suscitare la nostra stima, preferì andare incontro all'ira di una moltitudine armata piuttosto che sottoscrivere la rovina di un popolo innocente. Egli rigettò l'audace domanda».

Ma questo atteggiamento di fermezza venne troppo tardi per avere qualche possibilità di successo, ed i soldati ormai disaffezionati trovarono un condottiero in uno dei più eminenti generali di Oreste, di nome Flavio Odoacre (Odovacar).

Odoacre era un Germano (Sciro, o forse Rugio), il cui padre aveva servito Attila come ambasciatore a Costantinopoli. Dopo la morte del sovrano unno, Odoacre entrò nell'esercito dell'imperatore d'Occidente, Antemio, e successivamente aiutò Oreste a cacciare Giulio Nepote.

Di fronte alla sua ostilità, Oreste si barricò dentro le mura di Ticinum, che però fu assediata, conquistata e saccheggiata. Il vescovo Epifanite protesse le proprietà della Chiesa e sottrasse le donne alle violenze, ma non poté salvare la vita di Oreste che nell'agosto del 476 venne messo a morte a Placentia.

Il fratello Paolo venne ucciso in combattimento nei boschi che circondavano Ravenna, e Odoacre entrando nella città costrinse Romolo ad abdicare al trono dell'impero (4 settembre).

Tuttavia gli fu risparmiata la vita e, insieme con la sua famiglia, venne mandato in esilio nel palazzo di Lucullo sul promontorio di Misenum (in Campania) dove poté godere di un'assegnazione annuale di seimila pezzi d'oro (e dove probabilmente viveva ancora nel 507-511).

Le successive fortune di Odoacre sono stata citate in relazione a Giulio Nepote, che si era stabilito in Dalmazia dove visse ancora quattro anni. Ma era l'anno 476, e l'abdicazione di Romolo fu canonizzata dagli studiosi di Bisanzio, del Rinascimento, d'Italia e del diciottesimo secolo come il momento finale del declino e della caduta dell'impero d'Occidente.

Si aggiunga che si è tragicamente scherzato molto sul nome di Romolo, che era stato dell'ultimo e inoffensivo giovane monarca, ma che più di dodici secoli prima era appartenuto anche al leggendario fondatore di Roma e che alla fine fu deformato in quello di Momyllus («piccola disgrazia»). Ma ironica attenzione fu prestata anche al titolo di Augusto, cambiato nel denigratorio diminutivo di «Augustolo» col quale l'ultimo imperatore è comunemente noto. 

In epoca recente v'è stata la tendenza a minimizzare l'importanza della deposizione di Romolo Augustolo, il cui episodio, in fin dei conti, non fu che uno di una lunga serie di disintegrazioni.

La sua rimozione sta a significare che l'ultima grande regione dell'Occidente con il suo territorio metropolitano era diventata, per il bene o per il male, semplicemente un altro regno germanico. L'impero romano d'Occidente non era più.

La sua tanto procrastinata cessazione, disse Edward Gibbon, «sarà sempre ricordata, ed è tuttora sentita dalle nazioni della Terra».






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