I 10 farmaci che ci hanno cambiato la vita

È impossibile elencare tutti i farmaci che hanno costellato di successi la storia della medicina.

Tuttavia, i 10 che seguono rappresentano, per l’importanza clinica o per quella sociale e culturale, principi attivi o categorie farmacologiche particolarmente significativi.

Si tratta di molecole impiegate per alcune malattie potenzialmente gravissime (dalle infezioni al cancro, dalle malattie autoimmuni al diabete) o per migliorare la nostra qualità di vita, come gli antidolorifici o gli antinfiammatori.

Altre, invece, hanno persino rivoluzionato i rapporti tra le persone, anche quelli più intimi. Ecco come sono stati scoperti!

1. Il cortisone e gli antidolorifici

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- Il cortisone: la “mano santa” contro l’infiammazione
In caso d’infezioni o di danni a tessuti causati da traumi o contatto con sostanze tossiche, si attiva un meccanismo che ha lo scopo di bloccare l’aggressione: l’infiammazione.
Capita anche quando siamo colpiti da un’infezione: il sistema immunitario attiva un aumento della temperatura (la febbre) che serve a uccidere i virus o i batteri.
Stesso discorso quando una scheggia entra nella pelle, che per reazione infiammatoria si scalda e si gonfia nel tentativo di eliminarla. Per controllare l’infiammazione usiamo i farmaci antinfiammatori, il cui capostipite è il cortisone.

Ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, fu scoperto e impiegato per la prima volta dal chimico USA Edward Calvin Kendall alla fine della Seconda guerra mondiale (foto sotto). Poi furono messi a punto farmaci di sintesi chimica che si comportano come il cortisone: i corticosteroidi o cortisonici.
Prima alcune malattie erano difficilmente curabili. Oggi s’impiegano nei casi di infiammazione acuta, sia come compresse orali sia in altre formulazione (pomate, aerosol, supposte, infusioni). Sono fondamentali anche per patologie autoimmuni, reazioni allergiche gravi o condizioni infiammatorie a carico di diversi organi.

 

- Gli antidolorifici: Alt alla sofferenza fisica
I più diffusi antidolorifici sono gli antinfiammatori non steroidei (FANS), impiegati per ogni forma di dolore, dal mal di testa al mal di schiena.
Tra i 20 farmaci per i quali si è speso di più nel 2022, quattro appartengono a questa categoria: ibuprofene, diclofenac, ketoprofene e flurbiprofene. Funzionano allo stesso modo, tuttavia sono prodotti per i quali il marketing e la pubblicità hanno un peso determinante.
Il loro effetto antinfiammatorio e analgesico è legato alla riduzione della produzione delle prostaglandine, le vere responsabili dell’infiammazione e del dolore, prodotte a loro volta grazie all’enzima ciclossigenasi.
Nascono in tempi abbastanza recenti, ma la loro storia è imparentata con quella di molti altri antidolorifici e antinfiammatori: i corticosteroidi e gli oppioidi.
Come illustra Thomas Hager in Homo Pharmacus. Dieci farmaci che hanno scritto la storia della medicina (Codice edizioni), questi ultimi rappresentano un pezzo importante della storia della farmacologia da quando, per la prima volta, l’uomo scoprì che il papavero da oppio forniva una sostanza con effetti allucinogeni ma anche fortemente antidolorifici.

2. Gli antibiotici e le statine

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- Gli antibiotici ci salvano la vita. Ma oggi ne abusiamo
Oggi una banale infezione o una polmonite si curano con un antibiotico, ma fino al secondo Dopoguerra di queste patologie si moriva.
Ancora negli anni Trenta gli streptococchi erano responsabili di patologie fatali: nel 1924 ne morì persino il figlio del presidente USA Calvin Coolidge.
Solo cinque anni dopo lo scienziato tedesco Paul Ehrlich (foto sotto) si mise alla ricerca di farmaci per combatterli, studiando coloranti per tessuti in grado di legarsi ai batteri: combinandoli con veleni avrebbe potuto ucciderli.

Nacque così il Salvarsan, un colorante combinato con l’arsenico, efficace contro la sifilide ma con effetti collaterali pesantissimi.
Nel 1931 alla Bayer, Gerhard Domagk e Josef Klarer identificarono un colorante al quale aggiunsero una componente a base di zolfo, ottenendo un’efficacia duratura.
Il farmaco fu lanciato con il nome di Prontosil: il suo effetto, si capì presto, era però dovuto solo alle componenti a base di zolfo, dette sulfamidici.

Nel frattempo un altro chimico della Bayer, Alexander Fleming, scoprì casualmente che una muffa era capace di produrre sostanze in grado di uccidere i batteri: la battezzò penicillina e capì che era più potente dei sulfamidici. Divenne la capostipite degli antibiotici moderni.
Oggi abusiamo di questi farmaci: secondo dati AIFA, nel 2021 il consumo in Italia è stato pari a 17,1 dosi ogni mille abitanti al giorno, superiore a quelli di molti Paesi europei. Così però molti batteri sono diventati resistenti.
Il fenomeno pone interrogativi per il futuro: i sulfamidici, in parte accantonati dopo la scoperta di Fleming a causa dell’elevata resistenza sviluppata, potrebbero così tornare utili come nuova possibile arma.

 

- Le statine riducono il colesterolo. Ma prima bisogna mangiare sano
L’obesità e le malattie cardiometaboliche – caratterizzate dalla presenza di colesterolo alto, glicemia alle stelle e ipertensione arteriosa – sono un’emergenza.
Tra i farmaci di maggiore spesa ci sono le statine, ovvero gli anticolesterolemici: abbassano drasticamente il tasso di colesterolo nel sangue e contribuiscono a prevenire alcune malattie devastanti. Sono assunte da decine di milioni di persone nel mondo intero.

Tra queste c’è anche chi le prende per concedersi “sgarri” a tavola. Teniamo presente però che un soggetto con stile di vita sano e tassi di colesterolo elevato deve assumerli, mentre negli altri casi occorre adottare un’alimentazione sana.
A scoprire queste molecole (oggi in commercio con nomi diversi, quali atorvastatina, rosuvastatina o fluvastatina) fu un ricercatore giapponese, Akira Endo.
All’inizio degli anni Settanta identificò il precursore di questa classe di famarci, la mevastatina, isolandola da colture di due specie di fungo del genere Penicillium: pare la identificò in una muffa trovata casualmente in un sacco di riso di un negozio di granaglie di Kyoto.

3. L’insulina e gli psicofarmaci

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- L’insulina, l’arma dei diabetici per regolare il glucosio nel sangue
Ormone prodotto dalle cellule beta del pancreas, l’insulina regola i livelli di glucosio nel sangue. La sua mancanza o la difficoltà a utilizzarla portano al diabete di tipo 1 e di tipo 2. In molti casi occorre introdurla tramite iniezioni.
La scoperta dell’insulina parte nel 1916, quando lo scienziato rumeno Nicolae Paulescu sviluppò un estratto di liquido pancreatico che iniettò in un cane diabetico, normalizzando la glicemia del sangue.
Dopo la Prima guerra mondiale pubblicò i suoi studi e ottenne il brevetto per la scoperta della sua sostanza terapeutica, che chiamò pancreina.

Tuttavia la paternità della scoperta è stata poi attribuita a due medici dell’Università di Toronto, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best, che pubblicarono uno studio identico a quello di Paulescu per il quale il primo ottenne il Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1923.
Oggi l’insulina è realizzata artificialmente e somministrata ai pazienti con diabete 1 e a un terzo di quelli affetti da diabete 2.
Accanto alle iniezioni manuali da effettuare giornalmente, esistono piccoli dispositivi indossabili (microinfusori) che somministrano in automatico la dose di insulina necessaria.

 

- Gli psicofarmaci: contro i deliri e le allucinazioni dei pazienti psicotici
Fino a non molti decenni fa non si sapeva quasi nulla del cervello e i pazienti psichiatrici gravi – chiamati alienati o più semplicemente pazzi – venivano rinchiusi.
La svolta avvenne alle 10 del mattino del 19 gennaio 1952 quando a tale Jacques Lh., affetto da psicosi, furono somministrati 50 milligrammi di clorpromazina. L’effetto calmante fu eccezionale e immediato. Dopo 20 giorni di iniezioni riprese la vita normale.

La clorpromazina è il capostipite dei neurolettici (o antipsicotici): dopo la sua sintesi furono infatti messe in commercio nuove molecole analoghe, capaci di ridurre l’agitazione e i sintomi più gravi delle psicosi e della schizofrenia, cioè i deliri e le allucinazioni.
Fu scoperta in modo casuale e inizialmente studiata per controllare i livelli di istamina, sostanza coinvolta nelle reazioni allergiche e sospettata di essere la causa di forme gravi di stress psicofisico prima di interventi chirurgici.
La scoperta diede il via alla psicofarmacologia. Nacquero poi gli ansiolitici: prodotti come il Valium e il Tavor – nomi entrati nel lessico comune – dagli anni 60 sono diventati di uso comune e, purtroppo, oggetto di abuso.

4. Il Viagra e la pillola anticoncezionale

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- Il Viagra va usato solo per veri problemi di erezione
Nel 1988 studiosi di un centro ricerche della Pfizer, in Inghilterra, individuarono un farmaco per curare l’angina pectoris: UK-94280. Fu testato su pazienti cardiopatici ma senza successo.
Gli uomini partecipanti allo studio però iniziarono a notare erezioni vigorose. Il management dell’azienda si rese conto che un farmaco contro il deficit erettile sarebbe stato una gallina dalle uova d’oro.
UK-94280 bloccava un enzima, detto 5-fosfodiesterasi, che interrompe l’erezione al termine di un rapporto sessuale. Ribattezzato sildenafil, il farmaco venne autorizzato nel 1998 e messo in vendita con il nome di Viagra.

Da allora hanno fatto la loro comparsa in farmacia altri principi attivi simili: il vardenafil (Levitra), il tadalafil (Cialis), l’avanafil (Spedra). Questi farmaci registrano vendite ufficiali per più di 200 milioni di euro (dati AIFA), ma sono spesso impiegati a sproposito solo per migliorare le performance.
Ciò ha dato il via anche a un commercio illegale, stimolato dalla rete, che tuttavia mette a rischio i pazienti.
Con l’avvento del Viagra i farmaci non servivano più solo a curare malattie che pongono a serio rischio, ma anche a migliorare la qualità di vita e il benessere psicosociale.

 

- La pillola anticoncezionale ha liberato la vita sessuale femminile
Se c’è un farmaco che ha cambiato radicalmente la società e i rapporti tra uomini e donne questa è sicuramente la pillola anticoncezionale, così iconica da essere ormai per tutti la “pillola” per antonomasia.
Come nel caso del Viagra, non si tratta di un farmaco destinato a curare una malattia, ma a modificare le abitudini quotidiane: prima della sua messa a punto, il piacere del sesso non poteva essere disgiunto dalla riproduzione. E ciò aveva pesanti effetti sulla vita delle donne, la cui emancipazione era del tutto impedita. Un contributo venne da un uomo e da una donna.

Il primo era Ludwig Haberlandt (foto sotto), un fisiologo austriaco vissuto tra fine Ottocento e primi del Novecento, che scoprì il modo per bloccare l’ovulazione esattamente come avviene naturalmente durante la gravidanza.
Il suo lavoro suscitò una bigotta indignazione da parte di ferventi cristiani e ciò lo spinse, un anno dopo la pubblicazione delle sue scoperte, a suicidarsi.

Solo alla fine degli anni Cinquanta l’idea di Haberlandt riprese vigore grazie a Margaret Sanger, instancabile attivista per i diritti delle donne, che insieme alla collega Katharine McCormick diede un impulso alla ricerca grazie al loro contatto con Gregory Pincus (foto sotto), cofondatore della Worcester Foundation for Biomedical Research, che proseguì gli studi.
Nel 1958 Pincus insieme ad altri biologi sperimentò con successo la prima pillola, che fu approvata e commercializzata negli USA due anni dopo con il nome di Enovid.





5. Anticorpi monoclonali e antiretrovirali

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- Anticorpi monoclonali: servono addirittura contro il cancro
Infliximab, adalimumab, ustekinumab, trastuzumab, rituximab: sono alcuni esempi di anticorpi monoclonali, termine che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia quando farmaci quali casirivimab e imdevimab sono stati approvati per il trattamento del COVID-19.
Gran parte della ricerca farmacologica oggi si fa proprio attorno a queste molecole, impiegate per una varietà di condizioni: dalle malattie autoimmuni alle infezioni, dalle allergie ad alcune patologie neurologiche come la malattia di Alzheimer e le cefalee.

Ma anche contro il cancro: nel 2015, a 91 anni, l’ex presidente USA Jimmy Carter annunciò pubblicamente di essere affetto da una forma avanzata di melanoma e che nonostante gli rimanesse poco da vivere i medici stavano tentando una terapia a base di anticorpi monoclonali. Dopo meno di quattro mesi dichiarò che il cancro era scomparso.
Gli studi che hanno portato a questi farmaci sono iniziati a metà degli anni Settanta, ma solo con gli anni Novanta hanno iniziato a essere impiegati.

Caratterizzati quasi tutti dalla desinenza -mab (sigla inglese per Monoclonal Antibody, cioè anticorpo monoclonale), sono farmaci biotecnologici più complessi di quelli di sintesi chimica: richiedono infatti tempi di lavorazione molto lunghi e costi ingenti.
Sono realizzati partendo da anticorpi estratti dall’uomo o dal topo e modificati per legarsi a specifici antigeni collegati all’insorgenza della patologia da combattere.

 

- Con gli antiretrovirali l’AIDS non fa più paura come prima
Il 5 giugno 1981 il bollettino epidemiologico dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (USA) segnalò cinque casi di polmonite grave da Pneumocystis carinii in giovani maschi adulti.
L’evento fu del tutto inatteso in persone non affette da gravi compromissioni del sistema immunitario, e ciò suggerì che si trattasse di una nuova malattia. È la nascita dell’AIDS, sindrome da immunodeficienza acquisita, causata dal virus HIV.
A identificarlo fu, nel 1983, la ricercatrice Françoise Barré-Sinoussi presso l’Istituto Pasteur di Parigi, nel laboratorio di Luc Montagnier (foto sotto).

A isolarlo fu però l’anno seguente Robert Gallo, che ne dimostrò l’appartenenza alla famiglia dei retrovirus. Già nel 1985 iniziano i test sulla zidovudina, molecola messa a punto nel 1964 come antitumorale che si rivelò in grado di rallentare la replicazione dell’HIV.
Da allora a oggi sono state introdotte numerose categorie farmacologiche basate su differenti meccanismi: il virus ha una forte tendenza alla mutazione ed è quindi necessario trovare antiretrovirali sempre nuovi e somministrarne più di uno contemporaneamente.

Benché non esista una terapia che eradichi il virus, oggi le terapie impiegate – definite Haart (“terapie antiretrovirali a elevata azione”) – se assunte precocemente, regolarmente e per tutta la vita bloccano la replicazione virale e rendono il soggetto incapace di sviluppare la malattia e di infettare altre persone.
Oggi infatti i soggetti sieropositivi hanno una speranza di vita pressoché identica a chi è negativo.








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