I segreti dei Bitcoin: conviene davvero investirci?

Una coppia festeggia la nascita del primo figlio acquistando mille euro di Bitcoin.

Siamo nel 2015 e di quella strana criptovaluta si comincia appena a parlare.

Allora, il valore di un Bitcoin è di circa 300 dollari e i due neo genitori ne prendono poco più di 3.

A fine 2021 il valore di un Bitcoin oscilla tra i 45 e i 50mila dollari, di conseguenza l’investimento della giovane coppia vale più o meno 130mila dollari.

Bitcoin è la più conosciuta tra le criptovalute e il suo valore è cresciuto dal 2009, quando è apparsa sul mercato per la prima volta.

È molto “volatile”, il che la rende rischiosa: se ne posssono trarre grandi guadagni e altrettanto grandi perdite. Ecco come avvicinarsi a questo mondo in sicurezza.

1. Un misterioso inventore. Alti rischi, alti guadagni

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Quando si parla di criptovalute non si può che partire dal nome di Satoshi Nakamoto (foto a sinistra), pseudonimo che cela l’identità della persona (o del gruppo di persone) che nel 2009 ha inventato il Bitcoin.

Nessuno sa chi sia né dove si trovi. La leggenda, però, vuole che Satoshi Nakamoto oggi detenga oltre un milione di Bitcoin. Fosse vero, sarebbe una delle persone più ricche al mondo.

Che cos’è? Come l’euro, il dollaro o la sterlina, il Bitcoin è una moneta che può essere usata per acquistare merci o servizi.

A differenza delle valute tradizionali, però, il Bitcoin e tutte le altre criptovalute non sono legate a un Paese e alla sua banca centrale. Fisicamente, non esistono neppure.

Sono monete che vivono solo sul web e possono essere scambiate direttamente tra utenti, senza passare per istituzioni o enti di controllo. Il Bitcoin è solo una delle oltre 4.000 criptovalute esistenti e scambiate ogni giorno. Di queste, quasi il 99 per cento non ha alcun valore.

L’attenzione di milioni di investitori in ogni parte del mondo si concentra sul rimanente 1 per cento: possono essere grandi visionari, come Elon Musk, fondatore di PayPal e Tesla, ma anche e soprattutto piccolissimi risparmiatori che possiedono wallet, ossia portafogli virtuali, con spiccioli di criptovalute.

La caratteristica fondamentale delle criptovalute è l’estrema volatilità del valore, che non le rende appetibili agli investitori istituzionali.

Non a caso personaggi come Warren Buffett, soprannominato l’Oracolo di Omaha per la sua sorprendente abilità negli investimenti finanziari, le considerano una bolla destinata a esplodere.

Proprio questa volatilità invece rende i Bitcoin e le altcoin, come vengono in genere definite le cripto diverse dai Bitcoin, parecchio interessanti agli occhi di investitori meno istituzionali.

Per loro sono l’occasione migliore per guadagnare, in pochi giorni, enormi fortune, che, però, il giorno seguente, potrebbero essere già svanite. La verità sta nel mezzo.

Da un lato, le criptovalute sono una realtà consolidata che non può più essere considerata solo come una bolla speculativa. Dall’altro, il loro vero potenziale non è ancora stato rivelato.

Per questo chi vi si avvicina con razionalità e moderazione nel giro di qualche anno potrà probabilmente trarne grandi benefici.

2. Fuori dai circuiti tradizionali

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Al di là dell’aspetto speculativo, però, l’avvento delle criptovalute è un segnale che il mondo sta cambiando e che nei prossimi anni, probabilmente, le grandi economie non saranno più legate così profondamente al dollaro e al controllo degli USA e delle altre superpotenze come Russia e Cina.

I Bitcoin, infatti, rappresentano una concreta possibilità di investire e muovere capitali al di fuori dei circuiti tradizionali, senza il controllo delle banche centrali.

Non a caso il boom delle valute digitali è coinciso con l’inizio della grande recessione del 2008, quando milioni di investitori hanno cercato sul web un modo nuovo di far rendere i propri risparmi.

La spinta è diventata ancora più forte quando, nel 2013, la Banca Centrale Europea è intervenuta a Cipro, congelando i conti correnti e imponendo un prelievo forzato da quelli con giacenze superiori a 100.000 euro, per salvare l’isola dal fallimento.

Se fino a quel momento il mattone e l’oro erano sempre stati considerati beni rifugio per eccellenza, in seguito allo shock provocato da quella azione forte e inattesa, molti piccoli risparmiatori in Paesi con economie simili a Cipro si sono affrettati a convertire i propri risparmi in criptovalute, mettendoli al riparo dal controllo delle proprie banche centrali.

Da quel momento molti governi hanno iniziato a osservare con più attenzione il fenomeno delle cripto, arrivando in alcuni casi a vietarne l’utilizzo, spesso con scarsi risultati.

3. Massima sicurezza. Operatori chiamati “minatori”

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Come è facile intuire, nei prossimi anni l’uso di criptovalute diventerà sempre più comune, anche nella vita di tutti i giorni.

Questo perché, al di là dell’aspetto speculativo, permettono di risparmiare. Il loro scambio, infatti, anche se avviene su Internet, è diretto.

A differenza di qualunque altro pagamento virtuale, le criptovalute non richiedono intermediari, come banche o carte di credito, il che rappresenta un taglio dei costi.

Lo scambio da utente a utente avviene attraverso un complicato sistema protetto da crittografia che garantisce la massima sicurezza. Il loro funzionamento si basa sulla cosiddetta blockchain, ossia una catena di blocchi.

Questi blocchi virtuali sono composti dalle migliaia di operazioni che vengono effettuate ogni secondo. Ogni blocco è collegato al precedente e al seguente in modo univoco e forma una catena ininterrotta di dati.

Ogni criptovaluta ha una propria catena in continua evoluzione. Nella blockchain di Bitcoin, per esempio, sono conservati, in ordine cronologico, tutte le transazioni avvenute dal 2008: un enorme database che – qui sta la vera innovazione – non è detenuto da una singola istituzione, ma è condiviso da un vasto gruppo di persone che contribuiscono attivamente alla creazione della catena.

È proprio questo meccanismo a rendere il sistema super sicuro. Per andare a buon fine ogni cambiamento nella catena, ossia ogni transazione, deve essere approvata dalla maggioranza degli utenti.

In questo modo a un malintenzionato che volesse violare il protocollo, per farla franca non basterebbe avere il controllo di un singolo computer, ma dovrebbe controllare oltre il 50% di quelli coinvolti nella blockchain. Semplicemente impossibile.

Chi contribuisce alla creazione della blockchain viene ripagato con una frazione di Bitcoin. In gergo queste figure vengono chiamate miners, ossia minatori, e rappresentano il cuore del sistema.

La creazione dei blocchi della catena, infatti, ha un elevato costo in termini di energia, necessaria per far funzionare i computer che eseguono senza sosta i complicati calcoli richiesti dai protocolli della blockchain.

Per conoscere più nel dettaglio i processi legati alla creazione dei Bitcoin, si può visitare il sito ufficiale della criptovaluta all’indirizzo https://bit-coin.org/it/. In origine, i miners erano singole persone, giovani smanettoni attirati dalla possibilità di guadagnare facilmente.

Oggi, invece, queste figure hanno perso un po’ del loro fascino anarchico: spesso si tratta di vere e proprie aziende con potenzialità economiche illimitate, che possono acquistare e far funzionare 24 ore su 24 migliaia di computer, collegati tra loro e alla rete.

Questo almeno fino al momento in cui non verrà estratto l’ultimo Bitcoin possibile. A differenza di qualunque altro prodotto digitale, infatti, i Bitcoin non potranno essere estratti per sempre. Fin dalla creazione, infatti, è stato posto un limite pari a 21 milioni.

Alla fine del 2021, dopo poco più di 12 anni dalla creazione del primo Bitcoin, quelli in circolazione erano circa 19 milioni, ossia l’89 per cento del totale.

4. Il peso dell’energia

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Per estrarre, o meglio per minare come si dice in gergo, un singolo Bitcoin sono necessari all’incirca 20 Gigawatt di potenza.

Per questo oggi i miners si concentrano soprattuto nei Paesi in cui il costo dell’energia è più basso.

In Stati come l’Italia, infatti, dove il costo dell’energia è alto, minare i Bitcoin non conviene. Di conseguenza circa l’80 per cento dei Bitcoin vengono estratti in Cina o in nazioni come il Venezuela, dove l’energia costa molto meno.

Una parte considerevole dell’energia richiesta per l’estrazione delle criptovalute, inoltre, serve a dissipare il calore prodotto dai computer che girano a pieno regime per 24 ore al giorno.

Per questo i più grandi miners al mondo stanno via via migrando verso Paesi dove il clima freddo garantisce un importante risparmio sui costi. È il caso della Siberia o dell’Islanda, dove oltre al clima freddo, l’energia ha un costo molto basso, essendo prodotta quasi esclusivamente sfruttando fonti geotermiche locali.

Non a caso uno dei più grandi complessi di estrazione di criptovalute si trova proprio ai confini del Polo Nord, dove oltre 30mila computer lavorano ininterrottamente 24 ore su 24, 365 giorni l’anno.

L’energia è il vero limite delle criptovalute e lo sarà sempre di più in futuro. Già oggi, nonostante si tratti di un fenomeno giovane, si stima che circa lo 0,6 per cento di tutta l’energia prodotta al mondo venga già usata per estrarre criptovalute. Più di quella utilizzata da diversi Paesi per soddisfare tutte le esigenze nazionali.





5. Come s’investe in criptovalute

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Il primo passaggio consiste nell’aprire una posizione in uno dei principali exchange, ossia i siti specializzati nel trade di criptovalute.

I più conosciuti sono Coinbase (www.coinbase.com), Binance (www.binance.com) e Crypto.org (https://crypto.org).

Oltre ai classici dati, è sempre richiesta un’identificazione certa per mezzo di carta d’identità o passaporto.

Una volta creato l’account, si possono scegliere tra diverse valute, le più interessanti da acquistare. Si decide quindi se trasferire euro dal proprio conto corrente al nuovo wallet digitale tramite bonifico o carta di credito, o acquistare direttamente criptovalute tra quelle proposte sul sito.

L’acquisto avviene in pochi istanti ed è gravato da una piccola commissione. Ora si può seguire l’andamento degli investimenti dalla schermata del sito, dove è riportato il valore in euro del proprio portafoglio virtuale.

È anche possibile acquistare altre criptovalute, venderle o convertirle sulla base dell’andamento del mercato.

Non ci sono solo i Bitcoin. La criptovaluta più conosciuta e scambiata è il Bitcoin. La sua capitalizzazione a fine 2021 si aggirava sugli 880 miliardi di dollari. La seconda, in termini di capitalizzazione, si chiama Ethereum.

Creata da Vitalik Buterin, classe 1994, hacker russo naturalizzato canadese, a fine 2021 valeva circa 460 miliardi di dollari. Seguono i Binance Coin (88 miliardi di dollari di capitalizzazione), Ripple (82 miliardi) e Tether (77 miliardi).

Il valore della capitalizzazione non va confuso con il prezzo richiesto per acquistare ognuna di queste valute. Se a fine 2021 il prezzo di un singolo Bitcoin era di circa 48mila dollari, nello stesso momento per acquistare un Ethereum bastavano circa 3.800 dollari e per un Binance Coin poco meno di 500 dollari.

Tutte le altre criptovalute, anche quelle più capitalizzate, avevano, nello stesso periodo, quotazioni nell’ordine di pochi dollari, pur con grandi oscillazioni quotidiane.








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