Imparare a stare da soli aiuta a vivere meglio

Anche se siamo “animali da branco”, la solitudine può essere un’occasione preziosa di libertà personale, ricerca interiore, chiarimento con se stessi.

Non tutti però sanno godersela e rischiano di identificarla con l’abbandono.

Con l’aiuto della psicologia, cercheremo di capire le ragioni profonde di questo disagio e imparare a trasformarlo in crescita

1. Malessere profondo

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"Se sei triste quando sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”. Questo aforisma di Jean-Paul Sartre sottolinea l’aspetto sano e positivo della solitudine, vista come un tempo costruttivo da dedicare a se stessi.

Infatti, la solitudine è parte della natura umana e possiamo sfruttarla a nostro favore. Viverla in modo sano ci consente di entrare dentro noi stessi e di comprendere gli aspetti importanti nel nostro essere profondo.

Se vissuta bene, quindi, la solitudine è un tempo costruttivo e una preziosa occasione di crescita personale.

Non da ultimo, è libertà. Il discorso cambia se viene percepita come un vuoto fonte di tristezza e sofferenza, e soprattutto, se lo stare da soli viene identificato con l’essere soli: uno stato mentale negativo che genera a sua volta un senso di abbandono, frustrazione e mancanza di autostima.

Se non opportunamente trattata, la solitudine negativa può degenerare in monofobia (o autofobia, paura della solitudine), uno stato patologico che comporta il terrore ossessivo e irrazionale di rimanere soli.

La solitudine patologica è uno stato di malessere profondo che può essere dato dal sentirsi particolarmente male con se stessi, con relativa impossibilità di rimanere soli, oppure dal proiettare la paura della solitudine nel futuro, immaginando uno scenario in cui si rimarrà soli ad affrontare la vita.

Esiste poi una solitudine di difesa, in cui la persona si isola da sé perché non si sente in grado di affrontare la socialità e le relazioni umane.

La monofobia comporta angoscia e sofferenza e può portare con sé un corollario di disturbi gravi che spaziano dalla depressione alle malattie psicosomatiche, dagli attacchi di panico all’agorafobia, dalla mancanza di respiro alla confusione mentale.

L’insicurezza e l’ansia anticipatoria si manifestano soprattutto nella prospettiva di dover affrontare una particolare situazione o un periodo di tempo da soli, oppure in assenza di una determinata persona rassicurante.

Spesso si aggiunge la paura irrazionale di essere abbandonati dai parenti e dagli amici.

2. Fuori dal branco

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In parte, questa condizione si rifà all’origine dell’uomo come “animale da branco”.

Siamo predisposti evoluzionisticamente al gruppo, per cui uscire dal branco, come pensiero ancestrale, può già venire associato inconsapevolmente a un pericolo di morte. Sin dall’adolescenza cerchiamo il gruppo.

Nel gruppo l’adolescente vive e impara a vivere, ma a un certo punto della vita il gruppo non c’è più: chi non è riuscito a diventare autonomo e distinto dagli altri si sente indifeso e nel momento in cui si ritrova solo si percepisce senza identità e valore.

In una società in cui il valore delle persone si misura da quanto sono in vista e ricercate, chi vive in solitudine potrebbe pensare che se nessuno lo cerca, vuol dire che non vale nulla.

Questo è il ragionamento della persona che non fa niente per essere ricercata né per uscire dalla sua solitudine ma che anzi rimugina pensieri negativi che ne abbattono l’autostima.

Al contrario, la solitudine deve insegnarci qualcosa e farci guardare dentro noi stessi per capire esattamente cosa vogliamo.

Il giusto atteggiamento è cercare gli altri per primi, recuperando i contatti persi, ricucendo le amicizie interrottesi per litigi futili e andando alla ricerca di nuove conoscenze nei luoghi che offrono occasioni di incontro.

3. Il ruolo dei genitori e come uscire dalle forme lievi

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La paura della solitudine può insorgere dopo un lutto o una separazione.

Oppure, alla base possono esserci deprivazioni affettive, abbandoni nell’infanzia, casi di mobbing a scuola o situazioni familiari che hanno dato al bambino un condizionamento negativo in termini di autostima.

L’autostima deriva dall’insegnamento dei genitori, dall’atmosfera che essi creano attorno ai figli e dalle gratificazioni o frustrazioni che fanno loro vivere.

Il fatto di soffrire o meno di solitudine è anche legato a come siamo stati allevati: è ovvio che i bambini poco amati, lasciati molto soli o che hanno sofferto una sensazione di solitudine, crescano con un’idea negativa di quest’ultima e non vogliano più restare soli, condizione che li riporta a pensieri e rimuginamenti negativi. Molto fanno anche la società e gli amici.

Per vincere la paura leggera della solitudine gli psicologi consigliano di mettere in atto delle strategie per cercare nuovi contatti: «Vanno benissimo tutte le forme di volontariato (per le persone o per gli animali, tipo canili, gattili, eccetera), dove si cercherà di frequentare e aiutare tutti in modo da essere accettati e amati.
Gli sportivi potranno scegliere fra palestra, gruppi sportivi o gite in montagna. Ottimi i circoli culturali.
Una madre separata con il bimbo piccolo in età scolare potrà cercarsi un’attività scolastica, organizzare festicciole per il figlio e conoscere così altri genitori e via dicendo».

In generale, ci si orienterà verso i posti frequentati che offrono incontri con altre persone.

4. Forme gravi

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Tuttavia, vi sono soggetti che hanno una tale chiusura e una tale paura, che non hanno il coraggio di affrontare nulla di tutto ciò, nel timore di fare brutta figura. Restano quindi nella loro solitudine fino all’instaurarsi di una forte depressione o di un problema grave.

Se si sta molto male, è necessario rivolgersi a uno psicoterapeuta. Infatti, soltanto la psicoterapia è in grado di sondare l’interiorità della persona e di portarla alla presa di coscienza di ciò che è e che vuole.

Vi sono vari possibili approcci, dalla terapia cognitivo-comportamentale a quella strategica, fino alla psichiatria.

Alcuni esperti propongono inoltre dei meccanismi di training autogeno e di distensione immaginativa personalizzati per ciascun paziente: «La distensione immaginativa è una tecnica di rilassamento per immagini, simile all’autoipnosi, che aiuta a rilassare il corpo e a sgombrare la mente. Aumenta la consapevolezza del corpo e aiuta a cogliere le tensioni e le emozioni, liberando la persona dall’ansia. Quest’ultima è una forma di difesa che si instaura per far fronte alla paura. Con questa tecnica insegno un breve allenamento legato a immagini su cui lavorare. Dura solo cinque minuti e può essere praticato anche per riaddormentarsi in caso di risvegli notturni con rimuginamento di pensieri angosciosi».

Tolta l’ansia, il paziente riacquista, in tutte le sue attività, il potenziale che l’ansia stessa teneva bloccato. Lavoro poi sull’autostima e insegno al paziente a valorizzare se stesso e i momenti in cui è solo. Acquisita un’identità più sicura, tutto cambia e il tempo in solitudine può essere vissuto e utilizzato serenamente.

 

Hikikomori: ragazzi giapponesi che vivono segregati
L’esempio estremo della solitudine è rappresentato dagli Hikikomori (termine giapponese che significa “stare in disparte”): ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla vita sociale, rimanendo chiusi in camera e tenendo i contatti con l’esterno soltanto con il computer.
Questa sindrome, nata in Giappone, è stata registrata anche in Italia. Questi soggetti non escono perché il mondo li spaventa.
Torniamo alla mancanza di autostima e alla conseguente incapacità di affrontare le persone e le situazioni.





5. Pur di non restare single, si accetta anche una vita infelice. E i Social Media? Possono farci sentire ancora più soli

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Il filosofo tedesco Nietzsche affermava: “Odio chi ruba la mia solitudine senza in cambio offrirmi una vera compagnia”.

Eppure vi sono persone che pur di non rimanere sole sono disposte a vivere infelici. È il caso di chi, piuttosto che ritrovarsi single, non si stacca dalla persona sbagliata.

Le donne sono più predisposte a questa situazione soprattutto quando arrivano all’età in cui non possono più avere figli o non si sentono più attraenti per conquistare un nuovo partner.

Pur di mantenere una relazione di appoggio, queste donne sopportano maltrattamenti a rischio di femminicidio.

In questi casi è importante curarsi per tempo per liberarsi da una dipendenza emotiva che costringe a compromessi inaccettabili, anche perché senza riconoscere i propri bisogni e porre rimedio alle proprie fragilità si rischia che i guai presenti si ripetano in futuro. L’obiettivo è stare bene con se stesse, accrescere l’autostima e riacquistare sicurezza.

In un mondo costantemente connesso, ci interfacciamo in continuazione con i Social Media credendo di avere amicizie e di eludere la solitudine. In realtà sono contatti virtuali che possono farci sentire ancora più soli.

Spiegano gli psicologi: «Questa modalità di interfacciarsi è molto legata alla fantasia, nel senso che molte persone ostentano aspetti grandiosi di sé del tutto finti. Basti pensare alle foto irreali di straordinaria bellezza che alcuni pubblicano di sé. In mancanza di una solida autostima, possono farci sentire esclusi e farci sprofondare ancora di più nella solitudine».








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