La Grande Sfinge di Giza: 5 curiosità

La Grande Sfinge è uno dei monumenti più emblematici dell’antichità. Per migliaia di anni ha lasciato a bocca aperta i visitatori della necropoli di Giza.

Ha destato curiosità e ammirazione, a volte anche timore, e ha dato origine a numerose leggende. Sulla sua origine e sul suo significato nel corso dei secoli sono sorte le più disparate teorie, alcune molto diffuse ma non per questo esatte.

Nel XXI secolo la Grande Sfinge continua a rimanere per molti un mistero, sebbene le indagini archeologiche abbiano in realtà permesso di conoscerne sia la lunga storia sia il significato.

Il termine “sfinge” proviene dal greco sphinx, che a sua volta deriva forse dall’egizio shesep-ankh,“immagine vivente”, espressione che definiva la statua, o effigie, di un dio o di un faraone. Malgrado ciò, la denominazione egizia di quella che oggi è riconosciuta quale sfinge, ossia una statua con testa di uomo e corpo di leone, è shesepu.

Se prendiamo per buona l’ipotesi che la Grande Sfinge fu opera di Chefren, la figura più antica di questa creatura sarebbe precedente di solo qualche anno. Si tratta di una statuetta dalla forma arrotondata su cui compare il nome della regina Hetepheres II.

Fu rinvenuta tra le rovine del complesso funerario del marito, il faraone Didufri o Radjedef – figlio di Cheope e fratello di Chefren –, all’interno della necropoli di Abu Roash, pochi chilometri a nord di Giza.

Nel corso della storia egizia fu lavorato un grande numero di sfingi dalle sembianze più disparate. Sebbene in genere si mantenesse il corpo da leone, la forma della testa poteva cambiare: a volte era umana, come nel caso della Grande Sfinge; altre di ariete, sciacallo, coccodrillo o falco.

La Grande Sfinge è un’enorme statua intagliata direttamente nella roccia calcarea di Giza, in un luogo che serviva anche da cava, con attorno un ampio spazio aperto. Il corpo ha la forma di leone, con la coda disposta sul fianco destro.

Dalla parte posteriore all’estremità delle zampe anteriori misura settantatré metri di lunghezza. La testa, lavorata a partire da una sporgenza rocciosa, corrisponde a quella di un faraone con il nemes, un copricapo di stoffa con cui si rappresentavano di solito i monarchi d’Egitto, e raggiunge i venti metri d’altezza.

Nella zona superiore si trova un foro, oggi coperto con cemento, che sembra fosse utilizzato per incastrarvi una corona. Sulla fronte ormai spoglia si trovava un ureo, o cobra sacro. Il corpo della Sfinge era rivestito di blocchi di calcare di ottima qualità, provenienti dalle miniere di Tura.

Il deterioramento e la perdita del rivestimento fecero sì che dovette essere restaurata più volte. Le uniche parti della statua che non furono mai ricoperte sono la testa e il collo, intagliate e cesellate direttamente sul calcare locale, malgrado la pessima qualità della roccia.

L’azione erosiva del vento e della sabbia ha nuociuto molto a questa parte del monumento, e negli ultimi tempi si è dovuto rafforzare la testa per evitare che crollasse. È inoltre piuttosto probabile che la Sfinge fosse dipinta: sulla superficie rovinata sono stati ritrovati residui di pigmenti azzurri e gialli, e su diverse parti del volto altri rossi.

Quest’ultimo particolare corrobora un’eccezionale descrizione che Plinio il Vecchio offrì della Sfinge nel I secolo d.C., in cui indicava che «il viso del mostro è venerato rosso». Da ben 4.500 anni la scultura osserva impassibile le trasformazioni dell’Egitto: un lungo periodo in cui anche il monumento è andato incontro a varie metamorfosi per adattarsi alle mutevoli ideologie e credenze.

Nel frattempo era oggetto di più missioni destinate a salvarla dall’azione delle sabbie del deserto. Ormai icona turistica del Paese del Nilo, la Grande Sfinge è un’anziana signora che si erge fiera, eterna guardiana della necropoli di Giza.

1. L’ENIGMA DEL FARAONE CHE COSTRUÌ LA SFINGE

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Alcuni dei più grandi dubbi sulla Sfinge di Giza riguardano sia la data della sua costruzione sia il faraone al quale si può attribuire l’opera.

Alcuni autori hanno proposto datazioni piuttosto antiche, basandosi sulla Stele dell’Inventario, un testo della XXVI dinastia in cui s’indica che la statua fu restaurata all’epoca di Cheope.

Se così fosse, la Sfinge sarebbe dunque precedente al regno di Cheope, ideatore della Grande piramide. Eppure il testo risale a quasi duemila anni dopo l’epoca di questo faraone e presenta molti anacronismi e non va preso alla lettera.

Secondo il geologo Robert Schoch, l’erosione della Sfinge può essere spiegata solo grazie a un quadro climatico di piogge abbondanti e regolari. Tutto ciò farebbe datare la costruzione intorno al 10.000 a.C. Va detto che l’ipotesi di Schoch è però fantasiosa, priva di basi scientifiche ed egittologiche.

Al giorno d’oggi la maggior parte degli studiosi ritiene che la Sfinge fu plasmata all’incirca 4.500 anni fa, nel corso della IV dinastia, ovvero nel periodo in cui furono costruite anche le Grandi piramidi. Lo suggeriscono i blocchi di rivestimento più antichi, le ceramiche rinvenute in loco e i segni di scalpello, diversi da quelli lasciati dagli scalpelli di bronzo tipici del Nuovo regno.

Gli egittologi hanno ormai un unico dilemma: se la Sfinge sia stata realizzata durante il regno di Chefren, come ritiene la maggior parte di loro, o durante quello di Cheope, come sostiene lo studioso tedesco Rainer Stadelmann.

Ad avvalorare la prima ipotesi ci sarebbe la relazione spaziale tra la Sfinge, la piramide e la valle di Chefren. Inoltre sulla stele del faraone Thutmose IV, posta tra le zampe della statua, secondo gli studiosi si legge il nome di Chefren.

Stando alla seconda ipotesi, invece, la Sfinge fece parte del progetto di costruzione di Cheope e venne eretta durante il suo regno. Lo testimonierebbero i blocchi di roccia utilizzati per plasmarla, che proverrebbero dalla stessa cava dalla quale furono estratti anche quelli usati per la costruzione della Grande piramide.

Nella foto sotto, statuetta in avorio del re Cheope, IV dinastia, Museo egizio, Il Cairo (a destra) e la statua in diorite del faraone Chefren, protetto dal dio falco Horus. Museo egizio, Il Cairo (a sinistra).

2. IL TEMPIO DELLA SFINGE

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Davanti alla grande sfinge figurano le rovine di un tempio che sicuramente fu iniziato quando venne intagliata la gigantesca scultura.

Fu probabilmente consacrato, nonostante sia rimasto inconcluso. Al suo interno erano raffigurate le varie sembianze di Ra, la divinità solare.

La Sfinge, situata dietro il tempio, formerebbe parte dello stesso progetto. Come si è potuto osservare in seguito agli scavi condotti da Émile Baraize tra il 1925 e il 1936 e da quelli di Selim Hassan, avvenuti pochi anni dopo, l’edificio è composto da elementi megalitici in pietra calcarea locale.

In origine la roccia venne ricoperta da blocchi di granito, proprio come accadde nel vicino tempio della valle di Chefren. Al pari di questo, il santuario della Sfinge aveva il pavimento in calcite, o alabastro egizio.

Gli studiosi Ricke e Schott sostengono che le ventiquattro colonne del cortile centrale sarebbero un riferimento simbolico alle altrettante ore del giorno. Su di loro erano forse addossate statue del faraone a scopo decorativo.

Al centro era inoltre posto un altare per le offerte e nel tempio erano presenti due santuari, uno a oriente e l’altro a occidente: il primo era forse dedicato al dio solare mattutino, Khepri, e il secondo al dio solare del tramonto, Atum. È presumibile che entrambi i santuari fossero coperti, in contrasto con il cortile centrale scoperto che permetteva di venerare la luce del potente Ra allo zenit del suo percorso quotidiano.

Durante gli equinozi un particolare allineamento astronomico solare collegava il tempio, la Sfinge e la piramide di Chefren: se un osservatore ubicato sull’asse est-ovest del santuario avesse rivolto lo sguardo a ovest, verso il tramonto, avrebbe notato come il sole equinoziale calava sul lato meridionale della Sfinge e della piramide di Chefren. Tutto ciò suggerisce un’origine comune delle tre strutture.

Circa mille anni dopo il faraone Amenhotep II, della XVIII dinastia, costruì accanto all’angolo nord-orientale del tempio della Sfinge un altro piccolo santuario in mattoni di terra cruda. Lo dedicò a Horemakhet, Horus all’orizzonte, il dio che, si credeva un tempo, era rappresentato dalla Sfinge. Il sito fu portato alla luce da Selim Hassan tra il 1936 e il 1937.

Nella foto sopra, il tempio della Sfinge.
1 Via cerimoniale
La lunga strada coperta univa il tempio della valle di Chefren al tempio della Sfinge posto accanto alla piramide. Lungo di essa sfilò la processione funebre che portò la mummia del faraone fino all’ultima dimora.
2 Il tempio della valle
Detto anche tempio basso, era una costruzione quadrangolare con una sala a forma di T rovesciata, abbellita da statue di Chefren. Si crede che qui fu imbalsamato
il corpo del faraone.
3 Tempio della Sfinge
Il santuario venne eretto con blocchi di calcare locale e le mura ricoperte con granito e sottili lastre di calcare proveniente dalle cave di Tura. Fu innalzato in omaggio al dio del sole Ra.
4 L’imbarcadero
Davanti ai templi si apriva un imbarcadero dove attraccavano le barche che trasportavano il corpo del faraone fino al tempio basso. La piattaforma tra il molo e le facciate dei templi era larga 8,5 metri.

3. LA SFINGE E IL CULTO SOLARE

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Dopo un lungo periodo di abbandono, che ebbe probabilmente inizio negli ultimi anni dell’Antico regno (2543 a.C. - 2120 a.C.), la Sfinge riacquistò importanza durante il Nuovo regno (1539 a.C. - 1077 a.C.), e in particolare sotto la XVIII dinastia.

Con ogni probabilità fu allora che la testa della Grande Sfinge fu adornata con una barba posticcia che le conferì il definitivo aspetto da faraone.

Al giorno d’oggi della barba rimangono solo alcuni frammenti conservati presso il British Museum (foto sotto). È altresì probabile che in quella fase la statua avesse assunto i tratti di un re, ma questo dato non può essere corroborato da prove.

Quel che è certo è che la Sfinge è orientata a est, e il suo sguardo è dunque rivolto al sole nascente. Il carattere solare del monumento si rispecchia nella celebre Stele del sogno di Thutmose IV (1400-1390 a.C.), scoperta nel 1818.

Il testo del manufatto, detto anche Stele della Sfinge, racconta il sogno avuto dal principe Thutmose appena questi si addormentò all’ombra della scultura. Secondo il racconto, al sovrano apparve la sfinge, che si sarebbe presentata come Horemakhet-Khepri-Ra-Atum, ovvero una combinazione di divinità solari.

La creatura gli preannunciò che, se l’avesse liberata dalla sabbia che allora la soffocava, sarebbe divenuto faraone. Ovviamente il sogno era il pretesto con cui Thutmose IV cercava di legittimarsi come re del Paese del Nilo.

A ogni modo la stele dimostra che, nel Nuovo regno, la Grande Sfinge era concepita quale manifestazione del dio solare. Ci ricorda pure che il monumento ebbe sempre bisogno di cure affinché la sabbia non lo seppellisse.

Henry Salt, il console britannico in Egitto che finanziò gli scavi di Caviglia a Giza, ebbe modo di ammirare di persona la Grande Sfinge: «Questo monumento, così imponente nel suo aspetto, seppur mutilato, ha sempre destato l’ammirazione di coloro che hanno sufficienti conoscenze artistiche per apprezzarne subito le qualità [...] Lo sguardo contemplativo, la dolce espressione della bocca e la gradevole disposizione dell’acconciatura all’angolo della fronte testimoniano l’ammirevole abilità dell’artista che la scolpì».

4. ROVINE E LEGGENDE

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Nell’ultimo secolo di storia dell’Egitto faraonico la Grande Sfinge fu quasi totalmente ricoperta dalla sabbia, e ciò forse spiega perché autori come Erodoto, Diodoro Siculo o Strabone non le abbiano dedicato nemmeno una riga.

Ai tempi dell’imperatore romano Nerone (54-68 d.C.) la statua fu in parte liberata dalle sabbie, manovra che dovette essere ripetuta durante il governo di Marco Aurelio (161- 180 d.C.).

Allora fu anche costruita una scala monumentale che permetteva di accedere alla spianata della Sfinge e facilitava così il culto e la deposizione di offerte. Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio sottolineava il carattere divino del monumento: «Davanti c’è la sfinge ancor più da descrivere, su cui hanno taciuto, nume degli abitanti».

La Sfinge acquisì importanza pure per altre credenze. Si dice che i sabei di Harran considerassero questo il luogo di sepoltura del leggendario Ermete Trismegisto. Nel Medioevo la statua alimentò pure nuove tradizioni locali.

I contadini della zona le rendevano culto e presentavano offerte nella speranza che favorisse abbondanti piene del Nilo e ottimi raccolti, ed era perciò nota come talismano del Nilo. La fiducia nel potere della Sfinge era così radicata che nell’XI secolo il geografo arabo al-Idr ̄ıs ̄ı ricordava che chi voleva ottenere una carica nel califfato fatimide, in Egitto, deponeva delle offerte al cospetto della statua.

In quel periodo gli arabi soprannominarono la Sfinge Abu el-Hol, che in arabo significa “padre del terrore”. Il nome proviene forse da quello dato in copto alla Sfinge, bu-Hur, “il luogo di Hur”, che a sua volta deriva sicuramente dall’identificazione tra la scultura e il dio Hurun, come creduto da parecchi stranieri residenti a Menfi nel periodo del Nuovo regno.

In epoca islamica il naso dell’imponente statua fu sfigurato con lunghi scalpelli in ferro. A quanto pare, accadde durante il governo dei mamelucchi (1250-1517). Secondo quanto racconta al-Maqrizi, uno storico del XV secolo, l’atto iconoclasta fu commesso da un musulmano sufi, al-Dahr, alla fine del XIV secolo.

Sembra invece priva di fondamento la teoria secondo la quale furono piuttosto le truppe della spedizione francese guidata da Napoleone Bonaparte a distruggere il naso della statua con una cannonata.

Agli inizi del XIX secolo le sabbie di Giza ricoprivano il corpo della Sfinge. Così l’illustrò l’artista David Roberts in questa litografia qui sotto, realizzata durante il suo viaggio in Egitto nel 1838.





5. LA SFINGE RISORGE

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In epoca moderna i visitatori giunti in Egitto potevano ammirare solo il volto della Sfinge.

In Cosmographie du Levant (Cosmografia del Levante), testo pubblicato nel 1556, il francese André Thevet la descrisse come la «testa di un colosso».

Dal XIX secolo gli archeologi cercarono di rimuovere la sabbia per studiarla, ma si trattava di un’impresa titanica.

La fotografia (sotto) della Sfinge scattata agli inizi degli anni venti mostra la gigantesca scultura avvolta dalle sabbie del deserto.

Nel 1818 Giovanni Battista Caviglia ne liberò la parte frontale, portando alla luce la famosa stele di Thutmose IV e le scalinate monumentali risalenti all’età romana.

Nei decenni successivi altri archeologi lavorarono al sito. Fu il francese Émile Baraize a iniziare nel 1925 gli scavi che, in quasi dieci anni, sarebbero riusciti nell’incredibile impresa di disseppellire interamente la Sfinge.

Lo scatto qua sotto, risalente alla seconda metà degli anni venti, raffigura la Sfinge liberata dalla sabbia all’indomani degli scavi condotti da Émile Bazaire. Emerse anche il muro costruito durante il Nuovo regno per proteggere la zona.








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