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L’astronomia greca e i suoi principali rappresentanti

L’astronomia, è ritenuta scienza pura per eccellenza ed è stata la più antica delle scienze, nata proprio per soddisfare alle esigenze di sopravvivenza degli uomini preistorici.

L’alternarsi del giorno e della notte, la misura del tempo stimata dall’altezza del sole sull’orizzonte, l’alternarsi delle stagioni, erano di grande importanza per l’agricoltura e la caccia.

Le più antiche nozioni di astronomia di cui abbiamo scarse e incerte notizie risalgono ad almeno 2000 anni a.C. e si sono sviluppate presso i Sumeri e gli Assiro-Babilonesi nella regione fra l’Eufrate e il Tigri, nell’odierno Iraq meridionale e settentrionale rispettivamente.

Altri popoli in cui le osservazioni astronomiche erano assai sviluppate erano gli antichi Egizi, i Cinesi ma soprattutto i Greci.

Non per nulla la parola “democrazia” è una parola greca. Infatti la civiltà che si stava sviluppando in Grecia differiva da quella dei popoli dell’Egitto, della Mesopotamia, della Cina dominati da potenti dinastie di imperatori e in cui la scienza e in particolare l’astronomia erano appannaggio della casta dei sacerdoti.

In Grecia, la cui natura geologica e geografica è caratterizzata da un paesaggio montuoso e sparso fra numerose isolette era più difficile la nascita di un potere centrale; inoltre le condizioni geologiche poco adatte allo sviluppo di un’agricoltura in grado di nutrire tutta la popolazione hanno favorito la formazione di una classe di navigatori.

Questi erano naturalmente gli individui più avventurosi e indipendenti, capaci di formare numerose colonie sulle coste mediterranee arrivando fino a Marsiglia a ovest e in Crimea a est.

Malgrado i numerosi dei che popolano la mitologia greca e che stando alla narrazione di Omero nell’Iliade e nell’Odissea prendono parte attiva a tutte le vicende umane, la scienza e la filosofia greca sono il più antico esempio di pensiero laico.

La scienza non è più riservata ai sacerdoti, ma è aperta a tutti. Racchiusa fra le orde barbariche del nord Europa e gli imperi dispotici dell’Asia, la Grecia rappresenta la culla della democrazia moderna, di cui il mondo occidentale è l’erede.

Ecco i nomi di scienziati e filosofi che rappresentano le pietre miliari della scienza antica: Talete di Mileto 624- 547 a.C.; Pitagora 589-500 a.C.; Anassagora 500-428 a.C.; Empedocle 494-434 a.C.; Democrito 470-400 a.C.; Platone 427-347 a.C.; Aristotele 384-322 a.C.; Aristarco di Samo 310-230 a.C.; Ipparco 190-126 a.C. e Tolomeo 100-170 d.C.

Vediamoli insieme.

1. I primi astronomi Greci

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Secondo i pensatori di Mileto, di cui Talete è il più antico rappresentante, l’intero universo funziona allo stesso modo di quel pezzettino che è sotto il nostro controllo.

Questa intuizione trova conferma nella scienza moderna, che ha scoperto le leggi universali – la gravitazione, l’elettromagnetismo, le interazioni forte e debole – che governano l’universo, la uniformità della composizione chimica dei corpi celesti, e dello stesso nostro corpo, tutti composti degli stessi atomi generati nel corso dell’evoluzione dell’universo e in particolare delle stelle.

Pitagora (nella foto) è ben noto anche ai ragazzini delle medie per il suo teorema; a lui sono state attribuite varie scoperte in matematica e geometria e la sfericità della Terra, che però era probabilmente già nota ai naviganti, e che alcuni attribuiscono a Talete.

Pitagora fu probabilmente il primo a capire che l’astro della sera e quello del mattino era lo stesso oggetto – Venere –, il corpo più splendente dopo il Sole e la Luna.

Anassagora proclamò “la mente” il motore dell’universo e fu il primo ad affermare chiaramente che la Luna brilla della luce riflessa del Sole e che le eclissi lunari avvengono quando la Terra si frappone fra il Sole e la Luna, il che può avvenire soltanto alla fase di Luna piena.

Il suo contemporaneo, l’agrigentino Empedocle espone la dottrina dei quattro elementi costituenti l’universo: aria, acqua, terra e fuoco.

Oggi sappiamo che gli elementi presenti in natura sono 92, ma già allora c’era il desiderio di trovare dei componenti comuni a tutto l’universo.

2. Platone e Democrito

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Platone (nella foto) considerava con un certo disprezzo lo studio della natura, essendo più interessato allo studio delle anime e al mondo delle idee.

Oggi si direbbe che era un intellettuale con la puzza sotto il naso, in quanto considerava disonorevole il lavoro manuale, lasciato al popolino e agli schiavi.

Contemporaneo di questo grande filosofo fu Democrito di Abdera che ebbe l’intuizione di supporre che la materia fosse composta di minuscole particelle, non divisibili ulteriormente come dice il nome “átomos”, che in greco significa indivisibile, precorrendo di 23 secoli le scoperte della fisica moderna.

Anche se oggi sappiamo che in realtà anche l’atomo è una particella divisibile, è importante notare la differenza nel concepire la struttura della materia fra Democrito e i suoi predecessori: Talete pensava che il principio originario dell’universo fosse l’acqua, Eraclito il fuoco, Anassagora la mente, Empedocle i quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco.

Democrito invece affermava che tutto ciò che esiste è formato da combinazioni diverse degli atomi, che gli atomi sono eterni e incorruttibili e il vuoto è necessario al loro movimento. Anche il sole, la luna tutti i corpi celesti sarebbero formati di atomi. Erano intuizioni non dimostrabili, ma quanto vicine alla realtà.

Fra l’altro nessuno ha mai visto decadere un protone, per cui si stima che la sua vita media sia molto più lunga – almeno mille miliardi di miliardi di miliardi (o 1030) di anni – dell’attuale età dell’universo di circa 14 miliardi di anni.

Platone era quello che oggi chiameremmo un superteorico, più interessato a concepire una sua idea di universo perfetto che non alle osservazioni dei moti dei corpi. Per es. scrive che il vero astronomo deve essere un grande saggio, che non si occupa del sorgere e del tramontare degli astri, ma studia le sette rivoluzioni nell’ottavo movimento.

Ciò che Platone intende è che il compito pratico dell’astronomo consiste nel trovare i veri moti regolari in circoli perfetti nascosti dietro le apparenti irregolarità nel moto dei pianeti. Insomma ha una sua idea di universo perfetto a cui dovrebbe adattarsi l’universo reale.

Tornando a quelli che per Platone erano piuttosto degli artigiani dell’astronomia che dei veri saggi, incontriamo il suo più giovane contemporaneo Eudosso che fu il primo a tentare di dare una spiegazione teorica dei movimenti apparentemente irregolari dei pianeti.

Secondo Platone, i corpi celesti erano corpi divini, di natura perfetta, e pertanto dovevano muoversi di moto perfetto, e cioè circolare uniforme. Per ovviare al fatto osservato che i loro moti invece erano irregolari egli suppose che fossero composti di moti circolari uniformi e che ci fossero più sfere concentriche, tutte ruotanti attorno a un centro comune – la Terra.

Ogni pianeta ha la sua propria sfera e ognuna di esse pur avendo il centro nel centro della Terra ha assi diversi, il che spiega le apparenti “imperfezioni” dei loro moti. Il sistema era abbastanza complicato, richiedendo ben 27 sfere, tre per la luna e tre per il sole, quattro per ciascuno dei 5 pianeti e una per le stelle fisse.

3. Aristotele e Aristarco

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Aristotele  fu allievo di Platone. Mentre per Platone il mondo reale era quello delle idee e i fenomeni visibili erano solo un’ingannevole apparenza, per Aristotele il mondo reale era quello dei fenomeni e quindi sottolinea l’importanza di osservare accuratamente tutti i fenomeni naturali.

Per Eudosso le sfere erano figure geometriche senza un vero carattere fisico, mentre per Aristotele sono oggetti materiali, vere e proprie sfere cristalline.

Anche per Aristotele i 4 elementi – terra, acqua, aria e fuoco – costituivano tutti i corpi sulla terra; terra e acqua si muovono naturalmente verso il basso, aria e fuoco verso l’alto. I corpi celesti eterni e divini sarebbero fatti di un quinto elemento – l’etere – più perfetto degli altri 4. Il regno dell’etere comincerebbe oltre la Luna, mentre nel mondo sublunare si troverebbe un miscuglio dei cinque elementi.

Nel regno dell’etere tutti i corpi sono perfetti e immutabili.

Per Aristotele l’universo è finito e sferico. Finito, perché i suoi moti devono essere circolari, e un cerchio di raggio infinito non può esistere. Inoltre uno spazio infinito non ha un centro, mentre l’universo ha un centro – la Terra.

L’universo è sferico, perché essendo perfetto deve avere la forma perfetta, quella di una sfera. Una sfera ruotando occupa sempre lo stesso spazio; fuori non c’è né vuoto né spazio. 

Queste idee di Aristotele, forse per la sua grande fama di filosofo, resistettero per secoli, ponendo anche un freno allo sviluppo di nuove idee, come quelle avanzate da Aristarco di Samo un secolo dopo.

Aristarco rappresenta un pensatore rivoluzionario, anche se in parte lo aveva preceduto Eraclide. Egli era convinto che fosse il sole al centro dell’universo e che la Terra gli ruotasse intorno. Come fosse arrivato a questa convinzione lo si può dedurre dalla sua opera "Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna".

Basandosi su semplici considerazioni geometriche applicate al triangolo rettangolo avente per vertici il Sole, la Terra e la Luna all’istante del primo quarto, dedusse che il Sole è più di 18 volte e meno di 20 volte più lontano della Luna.

Si tratta della prima volta che si cerca di misurare le distanze dei corpi celesti basandosi su le osservazioni. Il principio usato è corretto, anche se il valore che aveva trovato era circa 20 volte più piccolo del valore reale, a causa degli errori troppo grandi fatti nella determinazione dell’istante esatto a cui si verifica il primo quarto.

Sempre da considerazioni geometriche stima la distanza della Luna basandosi sulle osservazioni fatte durante le eclissi lunari. E cioè che il raggio della Terra visto dalla Luna è eguale alla somma dell’angolo – osservato – sotto cui dalla Terra si vede il raggio dell’ombra e quello – pure osservato – sotto cui si vede il raggio del Sole.

Noto l’angolo sotto cui dalla Luna si vede il raggio terrestre è facile risalire alla distanza della Luna.

4. Ipparco di Nicea

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Uno dei più grandi astronomi dell’antichità fu certamente Ipparco di Nicea.

Egli capì chiaramente la distinzione fra quello che noi chiamiamo l’anno tropico e l’anno siderale. Il primo misura l’intervallo fra due successivi ritorni del Sole nella stessa posizione all’epoca dello stesso solstizio o dello stesso equinozio.

È quello che interessa noi abitanti della Terra poiché è la posizione del Sole nel corso dell’anno che determina l’alternarsi delle stagioni.

L’anno siderale misura l’intervallo fra due successivi ritorni del Sole nella stessa posizione fra le stelle ed è più lungo dell’anno tropico di 0,01417 di giorno. La differenza in lunghezza fra anno tropico e anno siderale fu probabilmente il fatto che fece compiere a Ipparco la sua più importante scoperta: la precessione degli equinozi.

Egli si accorse che gli equinozi non sono punti esattamente fissi ma si spostano verso est di 50 secondi d’arco all’anno. Essi vanno, per così dire, incontro al Sole che noi vediamo muoversi sull’eclittica verso ovest.

A Ipparco viene anche attribuita la compilazione di un catalogo delle stelle fisse con la loro posizione in latitudine e longitudine misurate rispetto all’eclittica, contenente 850 stelle.

Al grande astronomo greco è stato dedicato il satellite europeo Hipparcos (acronimo che sta per HIgh Precision PArallax COllecting Satellite) messo in orbita l’8 agosto 1989, che ha fornito dati sulla distanza, i moti propri e lo splendore di 120.000 stelle fino al 15 agosto 1993.

Come Ipparco ha rappresentato una pietra miliare nell’astronomia antica, così il satellite Hipparcos è stato un trionfo della scienza e della tecnologia europea nell’era spaziale ed è stato per ora l’unico satellite astronomico dedicato alla misura delle distanze e dei moti delle stelle.

È stato anche frutto di una larga partecipazione da parte delle comunità scientifiche e dei governi europei.

Per rendersi conto di quanto grande sia stato il progresso nella misura delle distanze stellari ottenute con Hipparcos, basta fare il confronto con il più completo catalogo stellare ottenuto con i classici sistemi di misura da terra: è il catalogo di Yale del 1995, che contiene dati per 8000 stelle e si basa su osservazioni accumulate nel corso di un secolo, aventi una precisione da 5 a 10 volte minore di quelle di Hipparcos.



5. Tolomeo

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Tolomeo, astronomo alessandrino vissuto circa tre secoli dopo Ipparco, si può considerare il suo erede per l’importanza che anch’egli ha avuto nella storia dell’astronomia.

Egli riprese il catalogo di Ipparco, aggiungendovi altre 170 stelle, e dette forma matematica al sistema del mondo proposto da Aristotele.

Per secoli il sistema tolemaico è stato largamente accettato, fino al 1500 quando Copernico propose il suo sistema eliocentrico. L’invenzione degli epicicli risale a più di tre secoli prima che Tolomeo la perfezionasse e ne facesse il centro del suo sistema del mondo.

Uno dei maggiori problemi degli astronomi greci era quello di spiegare le irregolarità dei moti dei pianeti. Secondo Aristotele i corpi celesti essendo perfetti per definizione dovevano per forza avere dei moti perfetti e quindi circolari.

Eudosso era ricorso alla combinazione di più moti circolari, su sfere concentriche. Eraclide aveva proposto che Mercurio e Venere ruotassero attorno al Sole, mentre il Sole e gli altri pianeti ruotavano attorno alla Terra.

Di qui, il fatto che moti irregolari fossero spiegabili con la combinazione di due moti circolari, ebbe per conseguenza che fosse plausibile ammettere che anche i moti degli altri pianeti – Marte, Giove e Saturno – fossero la combinazione di due moti circolari, uno su un circolo più grande avente la Terra al centro, detto deferente e uno su un cerchio più piccolo il cui centro si muove lungo il deferente, detto epiciclo.

Il centro dell’epiciclo è il Sole per Mercurio e Venere e un punto vuoto per gli altri tre pianeti. Questo sistema rappresentava i moti dei pianeti in modo più semplice e accurato delle sfere di Eudosso, e spiegava pure le loro variazioni di splendore come conseguenza della loro variabile distanza dalla Terra.

Tolomeo perfezionò la teoria degli epicicli e determinò anche l’inclinazione del deferente e dell’epiciclo rispetto all’eclittica. Nella forma definitiva data da Tolomeo la teoria degli epicicli era in grado di spiegare soddisfacentemente i moti dei pianeti senza violare il “dogma” di Aristotele sulla necessaria perfezione di movimenti “circolari” di corpi per definizione perfetti.

Il sistema geocentrico di Tolomeo è passato alla storia col nome datogli dagli arabi di Almagesto e l’intuizione di Aristarco è rimasta praticamente ignorata per un millennio e mezzo, tanto forte era l’inganno dei sensi che suggeriva l’immobilità della Terra e poi la potenza della religione che poneva l’uomo al centro di un universo creato per lui.






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