Lo shopping compulsivo è un vero e proprio disturbo psicologico

Chi fa la fortuna dei negozi può essere un malato di shopping compulsivo: un vero e proprio disturbo psicologico che consiste nel bisogno incontenibile di fare acquisti, pur non avendone necessità.

Una volta comprato, però, l’“oggetto del desiderio” perde interesse e l’attenzione del compratore si sposta su un altro oggetto, in un ciclo ripetitivo senza fine.

Il DSM-5 (Manuale dei Disturbi Diagnostici), infatti, inquadra lo shopping compulsivo fra le dipendenze senza sostanza.

Viene inserito tra i disturbi ossessivo-compulsivo, quelli del controllo o quelli del comportamento: le categorizzazioni quindi sono molteplici ma convergono concettualmente.

1. Lo shopping compulsivo detto anche “oniomania”

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C’è chi spende un patrimonio in cose che non gli servono e che non userà mai.

Queste persone soffrono di shopping compulsivo, un disturbo caratterizzato dalla perdita di controllo negli acquisti con compulsione a comperare beni non necessari e spesso superiori alle proprie possibilità economiche.

Detto anche “oniomania” (dal greco onios, in vendita), il disturbo fu citato per la prima volta nel 1915 dallo psichiatra tedesco Emil Kraepelin.

Alla persona affetta da shopping compulsivo l’oggetto che scatena la compulsione sembra speciale e diverso dagli altri.

In alcuni soggetti il comportamento compulsivo è selettivo, cioè focalizzato su un certo genere di oggetti (orologi, abiti, scarpe, ecc.), mentre altri acquistano indistintamente vari generi merceologici. Nel primo caso, il disturbo può inizialmente passare per sano collezionismo.

A volte l’idea ossessiva si presenta quando la persona è in presenza dell’oggetto oppure ne sente parlare o lo vede in una pubblicità. Altre volte la compulsione può manifestarsi in un momento di vuoto.

Nascono un pensiero fisso rivolto all’oggetto e l’impulso incontrollato ad acquistarlo. La soddisfazione per l’acquisto, però, è di breve durata.

Placata la tensione verso l’oggetto, infatti, esso appare ridimensionato nella sua importanza e la persona arriva a vedere gli aspetti che non aveva considerato (il costo, l’inutilità, ecc.). Da qui il senso di colpa per i soldi spesi, la frustrazione per non essere riusciti a controllarsi e il sentimento di vergogna.

2. Il meccanismo del disturbo

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In realtà, il bisogno profondo della persona non è finalizzato all’uso di quell’oggetto, ma semplicemente al suo acquisto, tant’è vero che, ben presto, un altro oggetto indurrà la medesima compulsione, senza essere sottoposto a valutazione razionale.

Gli oggetti acquistati non appagano il bisogno profondo alla base del disturbo, che è quello di contrastare uno stato dissociato della mente, le cui radici risalgono all’età infantile.

L’idea compulsiva (in questo caso all’acquisto) ha il preciso scopo di distogliere la mente da un turbamento profondo, polarizzandola su un’idea ossessiva che la distolga dal turbamento stesso.

Si innesca così la dipendenza comportamentale di comprare oggetti come risposta disfunzionale a un malessere.

Infatti, la temporanea euforia per l’acquisto rende il soggetto dipendente e ne rinforza la tendenza ad acquistare: ogniqualvolta starà male, la persona si abituerà a placare il suo malessere con un acquisto, reiterando il ciclo.

Spiegano gli psicologi: «In psicologia, una mente in stato polarizzato è detta dissociata, cioè non in grado di integrare emozioni e pensieri.
Per questo, quando la persona percepisce il bisogno compulsivo di acquistare è incapace di integrare tale bisogno con l’esperienza negativa del precedente acquisto, cosicché il ciclo si ripete in continuazione.
Solo nell’ultima fase il soggetto comprende la reale importanza dell’oggetto, poiché in quel momento, caduta la tensione verso ciò che si è acquisito, la mente si è depolarizzata»
.

3. Le cause profonde

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Di solito, le persone con disturbi ossessivi vengono dall’aver vissuto, in tenera età, relazioni con le figure di attaccamento caratterizzate da tre stati mentali contrastanti e non sintetizzabili: bisogno, paura e colpa.

In altre parole, figure che vengono vissute contemporaneamente come salvatrici da un bisogno, fonti di pericolo e persone da salvare.

È il caso di un padre burbero che sostenta un bambino, il quale teme di perderlo e nello stesso tempo dipende da lui; oppure di una nonna dal volto minaccioso ma fisicamente fragile, che suscita allo stesso tempo paura e bisogno di protezione.

Nella mente di chi si sta formando iniziano ad affastellarsi stati mentali irrisolvibili. Le analisi scientifiche ci dicono che, nel bambino, questo tipo di attaccamento disorganizzato è il predittore dei disturbi ossessivo-compulsivi e degli stati mentali che ne stanno alla base.

In età adulta, lo stato mentale di fondo rimarrà irrisolto e continuerà a generare ansia. Nell’impossibilità di risolverlo, la mente ricorrerà a una strategia disfunzionale: si focalizzerà su un’idea ossessiva, che polarizzandosi sugli oggetti distolga la persona dal suo grave disagio mentale.

Può trattarsi di compulsione agli acquisti piuttosto che alla pulizia, all’ordine maniacale o ad altri comportamenti disfunzionali.

Vi sono anche soggetti che a livello genetico o neurochimico sono particolarmente sensibili ai meccanismi del piacere e della gratificazione legati alla dopamina, il neuromediatore responsabile del circuito della ricompensa che spinge a ripetere i comportamenti che provocano piacere, innescando una dipendenza.

Da ultimo vi è il metodo diseducativo, da parte di alcuni genitori, di placare gli stati di tensione, dolore o frustrazione dei figli (un dolore fisico, un brutto voto o un litigio con un amichetto) con il rinforzo positivo di un regalo.

È giusto lenire le frustrazioni, ma se la soluzione avviene sempre attraverso l’acquisto o il possesso di un oggetto, il bambino si polarizzerà sulla convinzione che questo possa davvero placare un dolore o un bisogno e quindi, senza regole verbali ma con i fatti, gli si insegnerà che qualsiasi stato di squilibrio o emozione negativa si può risolvere attraverso un acquisto. Sarebbe invece importante insegnare al bambino a percepire, tollerare e gestire gli stati mentali negativi.

4. La terapia

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La terapia è personale e improntata alla storia del paziente.

Per superare gli stati mentali alla base del comportamento disfunzionale si dovrà lavorare – direttamente o indirettamente a seconda dei casi – sull’attaccamento disorganizzato che ha contrassegnato la tenera età e sui suoi effetti nel presente, come le emozioni che generano il disturbo.

L’approccio più utile è lavorare contemporaneamente sulla gestione dei comportamenti e sulla regolazione degli stati mentali, per esempio con la terapia cognitivo-evoluzionista, che deriva dal cognitivismo e si occupa dello stato mentale e della regolazione di pensieri ed emozioni, con un forte collegamento allo stile di attaccamento.

Considera le persone non solo dal punto di vista cognitivo, cioè dei pensieri, ma ne analizza gli stati emotivi, le emozioni e i bisogni. In particolare, studia come questi bisogni si sono formati e come sono regolati, con un focus sullo stile di attaccamento.

Si abbineranno poi tecniche di tipo corporeo, poiché quando il paziente si trova in uno stato di craving (cioè bisogno forte e irresistibile, in questo caso di acquistare), il suo stato mentale è collegato a uno stato psicofisico alterato (uno stato ansiogeno con la sensazione di non poter resistere a una tentazione).

Da qui la necessità di insegnargli a regolare, gestire e percepire le emozioni senza sentirsene schiacciato. A questo scopo vanno benissimo l’EMDR (un metodo terapeutico che affronta la componente fisiologica delle difficoltà emotive), la Mindfulness e tutte le terapie psicocorporee bottom-up, che collegano cioè lo stato mentale allo stato fisico.





5. Che differenza c’è fra collezionismo e shopping compulsivo

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Il collezionista seleziona un oggetto per le sue caratteristiche e per la sua rarità e convenienza.

Una volta acquistato l’oggetto, si sente soddisfatto, se ne gode l’acquisizione e inserisce il nuovo pezzo ordinatamente nella sua collezione. Lo scopo è l’acquisto dell’oggetto e, raggiunto l’obiettivo, la persona rimane in una fase stabile.

Nello shopping compulsivo vi è invece una ciclicità: dopo l’acquisto la persona ha già bisogno di pensare a un nuovo oggetto, di desiderarlo e di percepirlo come assolutamente indispensabile, e non può fare a meno di acquistarlo.

Attenzione! Acquistare online è particolarmente rischioso. Per chi soffre di shopping compulsivo gli acquisti online sono una trappola. Su Internet il processo d’acquisto è agevolato: basta porre l’oggetto scelto nel carrello e cliccare “acquista” senza neppure uscire di casa.

Resistere alla tentazione è più difficile, poiché la persona, avendo meno deterrenti, è meno portata a modulare il suo bisogno». Spesso l’acquisto online è svolto in isolamento, senza relazionarsi con altre persone che possano distogliere il soggetto dalla sua idea fissa verso l’oggetto.

Il completo assorbimento mentale, unito al veloce processo di pagamento online, rende gli acquisti su Internet assai insidiosi.

Spesso, nello shopping compulsivo online l’euforia si manifesta subito dopo l’acquisto – e non quando arriva a casa il pacco – perché a scatenarla è l’azione di aver fatto proprio un oggetto.

A quel punto, alcuni tracciano il pacco e non vedono l’ora di riceverlo, mentre altri non lo aprono neppure sul momento, in quanto già focalizzati sull’acquisto successivo.








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