Bere caffè fa bene e abbassa la pressione

Bere caffè fa bene e abbassa la pressione. Lo dice uno studio italiano, che pone però due condizioni: non essere particolarmente sensibili alla caffeina e limitarsi a 2-3 tazzine al giorno.

Non è il solo effetto benefico di questa bevanda amata dagli italiani.

Altre ricerche hanno scoperto che protegge dal diabete di tipo 2, dalle malattie cardiovascolari e addirittura dal tumore al fegato!

Ci fa stare più concentrati: la caffeina aumenta i livelli di attenzione, ma servono 30 minuti prima che faccia effetto. Se ci sentiamo “più svegli” subito dopo aver bevuto una tazzina di caffè, si tratta di effetto placebo.

Secondo alcune ricerche, aiuterebbe anche a prevenire il declino cognitivo.

1. Fa bene o fa male alla salute?

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Noi italiani non siamo tra i maggiori consumatori di caffè al mondo per quantità (5,5 chilogrammi a testa all’anno, contro i 12 della Finlandia che ha il più alto consumo procapite secondo i dati dell’International Coffee Organization).

La ragione è che prediligiamo i formati piccoli, cioè quell’espresso in tazzina che siamo davvero i più bravi a fare.

L’Italia, infatti, attorno al caffè, ha creato un vero e proprio rito, che va al di là del consumo della bevanda. Il caffè è parte della nostra identità nazionale, è espressione della socialità che ci contraddistingue nel mondo.

Per chi lo apprezza è un piacere irrinunciabile, ma fa bene o fa male alla salute?

Numerosi studi negli ultimi anni hanno concluso che, con un consumo moderato (massimo 3-4 tazzine al giorno), i benefici superano gli eventuali effetti collaterali: è dimostrato per esempio un effetto protettivo nei confronti delle malattie cardiovascolari, del diabete di tipo 2, di alcune malattie neurodegenerative e del tumore al fegato e all’endometrio.

Ancora oggetto di dibattito è invece la relazione tra caffè e rischio di ipertensione.

Secondo una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Nutrients, condotta da studiosi dell’Università di Bologna e del Policlinico di Sant’Orsola del capoluogo emiliano, il caffè aiuta anche a mantenere bassa la pressione sanguigna.

Dallo studio è infatti emerso che chi ne beve due o tre tazzine al giorno ha la pressione più bassa di chi ne beve una sola tazzina o non ne beve affatto.

2. Lo studio e gli antiossidanti

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I ricercatori, coordinati dal professor Claudio Borghi, hanno considerato un campione di 720 uomini e 783 donne nell’ambito del Brisighella Heart Study, uno studio del dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’ateneo bolognese che dagli anni Settanta osserva e analizza periodicamente un campione randomizzato della popolazione di Brisighella, piccolo comune rurale dell’entroterra romagnolo.

Per ognuna delle persone individuate, sono stati confrontati i valori della pressione sanguigna, sia periferica sia misurata a livello dell’aorta vicino al cuore, e le abitudini di consumo del caffè, assieme a una serie di altri dati clinici.

Le persone che bevevano due o più di tre tazze di caffè al giorno presentavano valori di pressione sistolica (la cosiddetta massima) inferiori rispettivamente di 5,2 e 9,7 mmHg (millimetri di mercurio, l’unità di misura della pressione) rispetto a coloro che non ne bevevano mai.

Inoltre, il minore rischio di sviluppare ipertensione sembrerebbe già apprezzabile con una tazzina di caffè al giorno, rispetto a nessuna tazzina.

«Come molti altri infusi di origine naturale, al momento della sua preparazione il caffè rilascia una serie di sostanze antiossidanti, in prevalenza catechine e flavonoidi, con funzione vasodilatatrice che contrasta l’ipertensione. Gli effetti positivi si sono registrati anche nei consumatori di caffè decaffeinato», spiegano gli autori dello studio.

3. L’effetto caffeina. Meglio poco tostato

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«Tuttavia c’è anche l’effetto della caffeina, che si muove in direzione contraria favorendo il rilascio nel sangue di catecolamine, in particolare adrenalina e noradrenalina, che aumentano la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa.
Pertanto, dallo studio si sono “autoesclusi” i soggetti particolarmente sensibili alla caffeina che per questo hanno difficoltà a consumare caffè, in quanto ne patiscono alcune conseguenze legate proprio alla presenza di caffeina: alterazioni del sonno, aumento della frequenza cardiaca e della pressione, iperacidità gastrica.
La nostra ricerca non conclude che il caffè faccia abbassare la pressione sempre, ma che, nei soggetti normotesi che tollerano bene la caffeina, questa bevanda contribuisce a mantenere più sani i vasi sanguigni»
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Il caffè è un’alchimia complessa di sostanze la cui natura varia in funzione non soltanto del tipo di miscela di partenza, ma anche della tostatura, del grado di macinazione, del metodo di preparazione (espresso al bar, moka, macchina a capsule o a cialde).

Il caffè meno tostato contiene in media più sostanze antiossidanti perché è stato meno trattato termicamente.

Anche la modalità di preparazione influisce sul rilascio di antiossidanti: la bollitura in stile americano e la moka permettono infatti un rilascio di antiossidanti maggiore della preparazione con la macchina da bar o con quella a capsule o cialde.

VIETATO AI MINORI! Meglio evitare, nei bambini e negli adolescenti, il caffè e tutte le bevande che contengono caffeina, come gli energy drink, il cui alto contenuto di zucchero rende ancora più biodisponibile questa sostanza, generando dipendenza.

4. La pianta del caffè rischia l’estinzione. Cosa c’è in un chicco di caffè

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Sono diversi anni che si parla di rischio di estinzione per la pianta del caffè, in particolare per la varietà arabica, considerata la più pregiata.

Colpa dei cambiamenti climatici (arabica è sensibile alle alte temperature), del conseguente dilagare dei parassiti e della deforestazione.

Secondo l’ultimo rapporto del World Coffee Research, organizzazione agricola di ricerca e sviluppo sul caffè, il 47 per cento dell’attuale produzione di caffè nel mondo è sostenuta in Paesi che sono ad altissimo rischio di perdita di terreni coltivabili (60 per cento di superficie in meno entro il 2050).

Il Brasile, uno dei maggiori produttori mondiali, potrebbe perdere il 95 per cento dei terreni destinati alla coltivazione di caffè arabica entro il 2100.

Ma sono a rischio anche le 124 varietà selvatiche di caffè, come riporta uno studio di ricercatori del Royal Botanic Gardens di Londra: 75 potrebbero scomparire nei prossimi decenni per il caldo, la siccità e i parassiti.

Lo studio delle piante selvatiche aiuta i coltivatori a selezionare varietà più resistenti, ma con meno specie a disposizione diminuirebbero anche le possibilità di rafforzare le varietà commerciali arabica e robusta.

Ma cosa c’è in un chicco di caffè? I chicchi (semi) di caffè contengono zuccheri, grassi, proteine, minerali, caffeina (circa l’1 per cento nella varietà arabica) e sostanze antiossidanti come l’acido clorogenico (contenuto in molti vegetali) che non solo aiuta a contenere la pressione sanguigna, ma riduce anche i picchi di glicemia post pasto e ha effetti antinfiammatori.

È presente anche la trigonellina, un alcaloide che stimola il sistema immunitario, l’appetito e la diuresi.

Con la torrefazione del caffè la trigonellina si trasforma in vitamina PP (o B3), indispensabile per prevenire la pellagra, malattia dovuta proprio alla carenza di vitamine del gruppo B.

Ne soffrivano i contadini del Nord Italia nel XVIII e XIX secolo perché si alimentavano quasi esclusivamente con polenta di sorgo o mais che contengono vitamina PP in forma non assorbibile dal nostro organismo: un caffè al giorno (così come un po’ di latte) l’avrebbe evitata!





5. L’80 per cento degli italiani beve il caffè

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Un’indagine condotta nel 2021 dalla società di ricerche di mercato britannica YouGov ha tracciato un quadro del consumo di caffè in Italia, sulla base di 1.032 persone adulte.

È emerso che l’80 per cento degli italiani maggiorenni beve caffè regolarmente e solo il 5 non lo beve mai.

La prima motivazione al consumo è il piacere che deriva dal gusto e dall’aroma della bevanda, seguita dal desiderio di concedersi un momento di pausa, dal fatto che aiuti a stare svegli e a sentirsi meglio e infine che sia un’occasione di socializzare. Per il consumo di caffè a casa la moka prevale ancora sulle macchine per capsule e cialde.

Dolce o amaro? Lo beve zuccherato il 52 per cento, il 38 lo preferisce amaro e il 10 con dolcificanti dietetici.

Arabica e robusta sono le varietà più note. L’arabica e la robusta sono le due varietà di caffè sfruttate nel commercio. Coffea arabica (due terzi della produzione mondiale), originaria dell’Etiopia, è coltivata nelle regioni montuose tropicali fino a 2.500 metri di quota, ha un gusto delicato, leggermente acido, aromatico e poco amaro. Il chicco ha tra lo 0,9 e l’1,2% di caffeina.

Coffea canephora (chiamata robusta, un terzo della produzione mondiale) è originaria dell’Africa occidentale, è coltivata tra 200 e 600 metri d’altitudine e sopravvive nei difficili ambienti della foresta africana. Ha un gusto più astringente e amaro; il chicco ha tra l’1,6 e il 2,4% di caffeina.








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