Luisa Casati Stampa di Soncino: la prima influencer

Se fosse vissuta oggi, Luisa Casati, marchesa di Soncino fino alla morte nonostante il divorzio, avrebbe oscurato le più famose influencer per eleganza, estro creativo e abilità nell’attirare su di sé gli sguardi del mondo.

Verrà ricordata per gli eccessi e per aver dissipato un patrimonio miliardario, ma soprattutto per aver deciso che la sua intera esistenza e il suo stesso corpo sarebbero stati un’opera d’arte.

Altro che Chiara Ferragni! Oltre un secolo prima, la “Divina Marchesa” faceva tendenza in tutta Europa pubblicizzando sapientemente con feste, eventi e centinaia di ritratti il suo stile di vita, abbigliamento, trucco e arredamento.

Sposò un nobile, ma fu l’amante del poeta Gabriele D’Annunzio. Morì spiantata.

1. Nascita, primi anni e matrimonio

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Luisa Adele Rosa Maria Amman, nasce a Milano il 23 gennaio 1881, figlia dell’imprenditore tessile Alberto Amman di origini austriaco-ebraiche, e di Lucia Bressi, italo-austriaca, a sua volta figlia di un industriale dei telai, a quasi un anno esatto dalla sorella Fanny, alla quale fu sempre legatissima.

È una bambina timida, introversa e solitaria. Adora disegnare e copia con passione le immagini delle riviste in attesa di indossare lei stessa quei meravigliosi abiti.

Crescendo si trasforma in un’adolescente segaligna e alta, con magnetici occhi verdi e una gran massa scomposta di capelli castani. Niente nella sua figura risulta conforme ai canoni estetici dell’epoca.

Ha un che di mascolino nell’aspetto e la flessuosità di una pantera. Alla morte prematura dei genitori – la madre nel 1894 e il padre nel 1896 – assieme alla sorella Fanny viene posta sotto la tutela dello zio Edoardo Amman e si trasferisce a Erba, a Villa Amalia.

Sarà lo zio a occuparsi dell’industria di famiglia con ottimi risultati. Di sicuro, Fanny e Luisa sono le orfane più ricche d’Italia. Il 22 giugno del 1900, la diciannovenne Luisa sposa il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino.

Lui l’ha corteggiata a lungo dopo averla notata in serate danzanti. Di sicuro sposarla rappresenta “una perfetta alleanza fra blasone e patrimonio” (Luca Scarlini, Memorie di un’opera d’arte, Skira, 2014). E lei? Prova qualcosa per il giovane e fascinoso tenente di cavalleria, la cui unica passione è la caccia?

Luisa vede piuttosto in quell’unione la possibilità di centrare l’obiettivo che le hanno ispirato donne come la contessa di Castiglione o Cristina Trivulzio di Belgiojoso: rendersi unica e immortale agli occhi del mondo.

Quei nobili parenti e amici del marito – i Visconti, i Confalonieri, gli Sforza – sanno di stantio e non fanno per lei che ama invece sbalordire e trasgredire, ma hanno il titolo e lo status che a lei mancano.

Quanto al denaro, il suo ingente patrimonio passa solo in parte al marito. A lei resta un gigantesco appannaggio. Peccato che non gli dia alcun peso e che dissipi una smisurata fortuna nel giro di pochi anni.

A un anno dalle nozze con Casati, nasce la sua unica figlia, Cristina, con la quale i rapporti saranno pessimi per tutta la vita. Luisa è categorica: non avrà altri figli. Ha ben altro di cui occuparsi! La crisalide sta per diventare farfalla e la costruzione del personaggio della “Divina Marchesa” ha inizio.

Nella foto sotto, la marchesa con un abito a cascata interamente ricoperto di diamanti, creato per lei da Paul Poiret (anni Dieci).

2. La “storia” con D’Annunzio e l'amore ossessivo per i viaggi

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Si narra che il grande poeta Gabriele D’Annunzio, detto il Vate, l’avesse conosciuta nel 1903, durante una battuta di caccia organizzata proprio dal marchese Casati nella brughiera intorno a Gallarate.

Di certo la storia di Luisa e D’Annunzio, il loro frenetico inseguirsi, le similitudini che li univano, durarono per anni.

Lui, nelle sue lettere, era elegiaco. Lei, che detestava scrivere, gli rispondeva via telegrammi: Grazie e cari saluti. Rifiutò sempre il nome “lirico” che D’Annunzio avrebbe voluto attribuirle e lui per sempre la considerò “inafferrabile come un’ombra”.

Il Vittoriale però (fastosa residenza del poeta a Gardone Riviera) la incantò. Ne trasse ispirazione quando nel 1921 acquistò il Palais Rose accanto a Versailles.

Luisa era una viaggiatrice ossessiva. Una delle sue mete favorite era Sankt Moritz (Svizzera) e sembra sia stata proprio lei a lanciarla come località turistica d’élite.

Ma era anche e soprattutto una donna attratta dal fascino della notte e dell’oscurità, appassionata di occultismo e in perenne ricerca di luoghi che facessero da adeguato sfondo alle sue trasformazioni, alle feste che amava organizzare, alla messa in scena di una vita straordinaria.

Così, nel 1910, a Venezia, affitta l’allora fatiscente Ca’ Venier dei Leoni, in seguito dimora di Peggy Guggenheim e oggi museo. È un’amica medium (la baronessa Stern) a suggerirglielo. Lei, in verità, voleva Ca’ Dario, famosa per essere un palazzo maledetto e quindi più consono alle sue oscure passioni.

La ristrutturazione di Ca’ Venier dei Leoni  (foto sotto) le costa una fortuna, ma le permette anche di organizzare feste memorabili in stile settecentesco e operare la parte finale della sua metamorfosi: diventare la copia vivente dei tanti ritratti che la raffigurano.

A Venezia gira accompagnata da un gigantesco servitore di colore, nel giardino di Ca’ Venier crea uno zoo con ghepardi, serpenti e uccelli esotici e può capitare, di notte, di vederla attraversare Piazza San Marco, avvolta in una pregiata pelliccia sopra il corpo nudo con un ghepardo al guinzaglio, mentre il servitore le fa luce con una lanterna.

È lo stesso servitore che riveste per intero di una tintura d’oro, quasi uccidendolo (in anni recenti l’idea è stata copiata da Ian Fleming e riprodotta nel film Goldfinger).

A Capri si fa ospitare dal medico svedese Axel Munthe, per nulla felice di essersi lasciato coinvolgere da quella femme fatale che gli sconvolge l’esistenza e butta per aria la casa, imponendogli il suo stile.

Qui sotto, ritratto di Luisa Casati con levriero, 1914, Giovanni Boldini.

3. La Prima Guerra mondiale

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La Prima Guerra mondiale segna una battuta d’arresto nelle peregrinazioni di Luisa.

La ritroviamo a Parigi nel 1921 dove in molti ricordano una sua memorabile scenata all’Hotel Ritz – dove era solita alloggiare tanto da aver riarredato la propria suite con oggetti preziosi, pelli di leopardo, posacenere d’oro e di giada – perché nessuno le portava la colazione in camera.

Sarà stato anche per questo che Luisa decide di comprare casa a Parigi e sceglie il Palais Rose a Vésinet (foto sotto), rimasto vuoto dopo la morte del proprietario, il conte e dandy Robert de Montesquiou.

Se D’Annunzio ha il suo Vittoriale, lei avrà il suo Palais, un mausoleo che celebri la sua vita. Presa dalla frenesia del rinnovamento, si sbarazza dei precedenti pregevolissimi arredi e sceglie uno stile antica Roma dove bianco, nero e oro prevalgono. 

All’ingresso troneggia una pantera imbalsamata meccanica che si anima e ruggisce al passaggio degli ospiti, terrorizzandoli. Accanto all’edificio principale, fa costruire l’Ermitage per ospitare la sua biblioteca esoterica.

Lì si possono ammirare oltre cento suoi ritratti, tra quadri e foto che portano firme prestigiose: Boldini, Man Ray, Cecil Beaton, Depero, solo per citarne alcuni – una collezione che la bancarotta disperderà per il mondo.

Luisa smette d’indossare i gioielli di Lalique e passa a Cartier. È lei a ispirare Jeanne Toussaint, disegnatrice per Cartier, a creare la famosa pantera simbolo della casa parigina? Non si sa con certezza.

Qua sotto, la marchesa Luisa Casati ritratta da John Augustus Edwin, 1919.

4. Il divorzio

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Nel 1924, dopo anni di vite separate e indipendenti, Luisa e Camillo divorziano.

Ma non in Italia dove è impossibile, bensì a Budapest dove chi è ricco non ha problemi a farlo.

Camillo si risposerà nel 1927 con Anna Ewing Cockrell dalla quale avrà un unico figlio maschio, Camillo junior, protagonista nel 1970 di una tragica e oscura vicenda.

Nel 1970, Camillo Casati Stampa, figlio di secondo letto dell’ex marito di Luisa Amman Casati, uccise a Roma la moglie Anna Fallarino e il suo amante Massimo Minorenti (foto sotto). Poi si suicidò. Il delitto fece scalpore per la notorietà dei personaggi e per i risvolti morbosi.


Alla vicenda fece seguito l’intricato caso giudiziario legato all’eredità Casati e alla figlia di primo letto del marchese, l’allora minorenne Anna Maria, cui spettava l’intero patrimonio.

I parenti della Fallarino si opposero affidandosi all’avvocato Cesare Previti. Non ottennero nulla. In seguito, Previti divenne tutore legale della ragazza e amministratore del suo patrimonio.

Nel 1973 la spinse a vendere Villa San Martino e i terreni circostanti a Silvio Berlusconi per 500 milioni di lire: arredi, pinacoteche, biblioteche e parco sarebbero rimasti a lei.

Così non fu. Su quei terreni nacque Milano 2 e Anna Maria, nonostante una battaglia legale, mai riuscì a recuperare quanto le era stato tolto con l’inganno.





5. Declino e morte

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Il 1927 è l’ultimo anno di gloria al Palais Rose. Luisa organizza due feste. La prima, il Bal de la Rose, ha un successo straordinario, ma la seconda, il Ballo di Cagliostro – si era fatta confezionare il costume per impersonarlo – è un disastro. Un nubifragio si abbatte sulla villa devastando il giardino e facendo fuggire gli ospiti.

La crisi del 1929 la colpisce solo di striscio, ma nel 1934 è costretta a dichiarare la bancarotta. Ha perso tutto, persino i vestiti che indossa. Si calcola che abbia accumulato debiti per 25 milioni di dollari.

Nella foto sotto, la marchesa Luisa Casati in uno scatto realizzato dal barone Adolf De Meyer nel 1913.

Non le resta che andare a Londra, dove non sarà la figlia Cristina, che lì si è trasferita da tempo, ad aiutarla, ma la nipote Moorea e alcuni fedeli amici che apriranno un conto in banca a suo nome versandole una cifra mensile per il suo mantenimento.

Lei, l’ex regina della Belle Époque, la musa dell’estremo e dell’insolito, la dea tenebrosa e arcana che ha ispirato pittori, fotografi, musicisti, poeti e scrittori, l’amica di D’Annunzio e Marinetti, gira come un fantasma per la città, un cilindro nero sul capo, abiti ugualmente scuri, gli occhi una maschera di oscurità, i capelli rossi e ribelli che le circondano il viso lungo e magro.

Muore di polmonite nel 1957. È seppellita nel cimitero gotico di Brompton (Londra) truccata di tutto punto e vestita di nero, con i guanti di leopardo muniti di artigli alle mani e l’adorato barboncino imbalsamato ai suoi piedi – a imitazione del sepolcro della nobildonna del Trecento Ilaria del Carretto a Lucca – per sbalordire ancora chiunque.

Sua nipote sceglie per lei un’epigrafe shakespeariana: “L’età non può appassirla, né l’abitudine rendere insipida la sua varietà infinita”.

Nella foto sotto, Tilda Swinton immortalata da Paolo Roversi su Acne Paper, 2010.

Su Luisa Casati non si è scritto moltissimo. La biografia più completa è quella di S.D. Ryerson e M.O. Yaccarino, Infinita varietà. Vita e leggenda della marchesa Casati, Corbaccio (2003).

Interessante anche la breve biografia di Luca Scarlini, Memorie di un’opera d’arte, Skira (2014).

Mescola invece realtà e fantasia il libro di Marta Morazzoni, Il rovescio dell’abito, Guanda (2022), un romanzo che coglie la marchesa nel momento del disastro finale, nel Palais Rose, e ce la racconta con profondo acume e rara sensibilità.








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