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Navi e passeggeri svaniti nel nulla: 7 storie irrisolte

Com’è possibile che una nave scompaia senza lasciare traccia in mare e senza inviare una richiesta di aiuto?

Navi fantasma e strane apparizioni in mare si susseguono tra Sette e Ottocento: tutte leggende.

Sono vere e ben documentate, invece, le storie di alcune navi svanite con tutto il loro equipaggio e il loro carico nel Novecento. Affondate?

Di solito, quando una nave s’inabissa, restano in superficie varie tracce, oltre agli Sos e alle richieste di soccorso.

Alcune imbarcazioni, però, sono scomparse senza lasciare traccia o lasciando tracce così indecifrabili da costituire un enigma irrisolvibile.

Scopriamo insieme 7 storie irrisolte!

1. La scomparsa del Waratah

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Può un intero transatlantico di lusso sparire?

Sì, è accaduto al Waratah, il “Titanic dell’Australia”, una nave a vapore di 152 m, di proprietà di un armatore inglese e destinata al trasporto di passeggeri e merci.

Il 27 aprile 1909, la nave parte da Londra diretta al porto di Melbourne, in Australia.

Il viaggio si svolge senza incidenti e il 1° luglio la nave è pronta per compiere il viaggio di rientro: salpa da Melbourne in direzione di Durban, in Sudafrica.

È carica: oltre ai passeggeri, trasporta 6.500 tonnellate di merci, tra cui mille tonnellate di piombo.

Il 26 luglio riparte da Durban con il carico e 211 passeggeri: dovrebbe fermarsi per un breve scalo a Città del Capo (sempre in Sudafrica), per poi far rotta verso Londra.

A “casa”, però, non arriverà mai e neppure a Città del Capo. A un certo punto della navigazione al largo delle coste sudafricane, scompare senza lasciare traccia.

Le autorità la cercarono in ogni modo; i parenti dei passeggeri noleggiarono una motovedetta che insieme ad altre batté per 3 mesi quel tratto di costa alla ricerca di un oggetto, un legno galleggiante, qualsiasi cosa potesse fornire un indizio.

Nulla. La commissione d’inchiesta chiuse i lavori a Londra nel dicembre del 1910 senza arrivare ad alcuna conclusione. A tutt’oggi, il caso resta uno dei più grandi misteri insoluti del mare.

L’ipotesi prevalente è che la nave sia incappata in un’onda gigantesca alta 25-30 m e che sia stata inghiottita dall’oceano in un solo boccone.

2. Il catamarano fantasma

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Il Kaz II è un elegante catamarano di 9,8 m; il 15 aprile 2007 prende il largo da Airlie Beach, sulla costa australiana nord-orientale.

A bordo ci sono il proprietario Derek Batten e i fratelli Peter e James Tunstead: sono tre amici, entusiasti all’idea di bere birra, pescare alla traina e godersela senza le mogli.

Il 18 aprile, 3 giorni dopo, un elicottero nota il catamarano alla deriva: partono i soccorsi, la barca viene recuperata ma dell’equipaggio non c’è alcuna traccia.

A bordo, tutto è perfetto: la tavola è apparecchiata e i piatti di portata sono ancora pieni di cibo; un computer portatile funzionante è aperto sulla scrivania, il cappello e gli occhiali da sole di uno dei tre sono appoggiati con cura su un ripiano.

Le attrezzature di bordo, la radio, il sistema GPS, il motore, le vele sono in perfette condizioni, i giubbotti salvagente sono al loro posto. Non c’è alcun messaggio di soccorso, alcuna anomalia, alcun segno di lotta.

La polizia scientifica passa al setaccio la barca e non trova alcuna traccia di sangue, impronta di estranei o ammaccatura nello scafo.

Analizzando il GPS, scopre che qualcosa deve essere successo all’ora di pranzo del giorno della partenza: nel pomeriggio il catamarano è già alla deriva.

Che è successo ai tre uomini? Le motovedette della guardia costiera li cercano fino al 25 aprile, con l’appoggio di 2 navi commerciali, 2 elicotteri e 9 aerei dotati di visori a raggi infrarossi per la ricerca notturna.

Tutto inutile. Secondo la conclusione dell’inchiesta ufficiale, nessun crimine è avvenuto a bordo, il resto è mistero. Ipotesi? Il catamarano prende una secca; due uomini scendono per disincagliarlo, senza riuscirci.

Scende anche il terzo e i tre spingono insieme; un forte colpo di vento sopraggiunge all’improvviso e il catamarano parte, lasciando i tre su una secca, tra gli squali.

3. Lo yacht maledetto

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Se c’è una barca maledetta questa è la Joyita, uno yacht di 21 m, fatto costruire nel 1931 da un produttore di Hollywood, Roland West, e sospettata di essere stata la scena di un crimine.

La polizia ipotizzò (senza poterlo provare) che vi fosse stata uccisa l’amante del produttore, una bionda attricetta di nome Thelma Todd.

La barca acquisì fama sinistra, fu venduta e passò di mano in mano. Nel 1955 entrò in servizio come mezzo di trasporto merci e passeggeri tra le isole del Pacifico.

Il 3 ottobre 1955 salpò dal porto di Apia, nelle isole Samoa, per dirigersi verso Fakaofo, nelle isole Tokelau; caricava medicinali, legname e cibo per 4 tonnellate, oltre a 16 membri d’equipaggio e 9 passeggeri, tra cui un dottore e un ufficiale del governo samoano.

Doveva essere una navigazione facile e breve, appena 48 ore, ma la barca a destinazione non arrivò mai. Il 10 novembre, 5 settimane più tardi, fu ritrovata nei pressi delle isole Fiji: alla deriva, malmessa ma ancora galleggiante e con un motore acceso al minimo.

Delle 4 tonnellate di carico e delle 25 persone a bordo non c’era più alcuna traccia e poiché non c’erano nemmeno le zattere di salvataggio, si pensò che tutti dovessero aver trasbordato per qualche motivo. Già ma quale?

Perché avevano abbondonato una nave praticamente inaffondabile? La Joyita, infatti, era stata modi cata per essere un cargo refrigerato ed era dotata di una stiva di 195 metri cubi di sughero che le permettevano di galleggiare sempre e in qualsiasi condizione.

Non solo: quando fu ritrovata, la barca aveva un motore ancora funzionante. Perché mai in un mare pieno di squali 25 persone lasciarono una barca sicura per rifugiarsi su alcune instabili zattere di gomma?

La polizia trovò a bordo due indizi inquietanti: i cavi della radio erano spezzati e nella borsa del dottore, abbandonata sul ponte, c’erano quattro bende insanguinate.

La Joyita era stata la scena di un crimine? Di quel che successe, del suo carico e dei passeggeri non si saprà mai nulla.

4. La sparizione del miliardario

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Un miliardario scompare misteriosamente in mare, la bella moglie e l’avida madre si danno battaglia per accaparrarsi l’eredità.

È la storia di Guma Aguiar, un 35enne uomo d’affari, impegnato in numerose attività filantropiche, bello e cosmopolita.

Di origine brasiliana, viveva tra Miami, in Florida (Usa), e Israele, e aveva una bellissima moglie (da cui pareva volesse divorziare), quattro bambini, un patrimonio invidiabile e un sacco di amici importanti.

Il 20 giugno 2012, il motoscafo da pesca di Aguiar, il T.T. Zion, si arena dolcemente sulla spiaggia di Fort Lauderdale, in Florida, all’1 di notte. I proprietari e gli ospiti di un bar sulla spiaggia, l’Elbo Room, accorrono spaventati.

La barca ha le luci e il motore acceso al minimo, tutto è in regola, salvo un fatto: a bordo non c’è nessuno. Lo smartphone e il portafoglio di Aguiar sono su un ripiano della cabina, la sua T-shirt e le infradito sono sul ponte, ma lui non c’è.

Le ricerche a terra e in mare non danno esito. Com’è scomparso il miliardario? Si viene a sapere che era salpato quella stessa sera.

Da solo? Non si sa. È stato ucciso, si è suicidato, è caduto in acqua? Ancora oggi, non ci sono risposte e, nonostante le indagini di polizia, il caso resta aperto.



5. L’enigma dei passeggeri scomparsi

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Dal 2000 a oggi, sono misteriosamente scomparse 231 persone dalle navi da crociera.

Si tratta di passeggeri o membri dell’equipaggio volatilizzatisi all’improvviso, senza lasciare traccia.

Com’è possibile scomparire sotto gli occhi di 3-4mila passeggeri e oltre mille membri d’equipaggio? Sono caduti in acqua? Sono stati uccisi? Si sono suicidati? Ecco tre inquietanti storie recenti.

  • Annette Mizener: è una bella signora bionda di 37 anni; americana del Wisconsin, s’imbarca sulla Carnival Pride per una crociera di piacere lungo le coste del Messico, insieme ai genitori e alla figlia 17enne.
    Scompare la sera del 4 dicembre 2004: si allontana dai familiari dopo cena e da quel momento di lei si perdono le tracce.
    I genitori e la figlia, dopo averla disperatamente cercata sulla nave, lanciano l’allarme; il comandante, tuttavia, si rifiuta di fermare i motori: farà calare una scialuppa per le ricerche in acqua solo 4 ore dopo, obbligato dalla Guardia Costiera.
    Le ricerche approdano a poco: la borsetta di Annette viene ritrovata con le perline staccate lungo un ponte inferiore dove in seguito l’FBI individuerà delle macchioline del suo sangue. Troppo poco per provare che sia stata aggredita e gettata in acqua.

 

  • Angelo Faliva: 31 anni, cremonese, è primo cuoco a bordo della Coral Princess, salpata dalla Florida il 23 novembre 2009 per una crociera nelle acque atlantiche.
    Il 25 novembre, scompare all’ora di cena; un suo collega avvisa il responsabile delle cucine, uno chef filippino con cui Angelo ha avuto dei diverbi, ma costui avvisa il comandante solo la mattina dopo, troppo tardi per tentare una ricerca in mare.
    La compagnia di navigazione chiude il caso, classificandolo come un probabile suicidio, ma la sorella di Angelo non ci sta. Parte dall’Italia, si reca negli Usa, indaga, ritrova il computer portatile del fratello e fa eseguire una perizia.
    Scopre così che il giorno dopo la sua scomparsa, qualcuno ha acceso il pc portatile, ha cancellato e-mail, scaricato file, stampato documenti.
    Chiara è convinta che il fratello sia stato fatto sparire perché ha visto qualcosa che non doveva, ma non ha prove.

 

  • Rebecca Coriam: graziosa 24enne inglese, è animatrice a bordo della Disney Wonder, in navigazione lungo le coste del Messico.
    Scompare il 22 marzo 2011: una videocamera di sorveglianza la riprende mentre con l’aria un po’ sconvolta parla con qualcuno al telefono interno, riservato ai membri dell’equipaggio; sono le 5 e 45 di mattina, alle 5 e 50 di lei si perdono le tracce.
    La compagnia di navigazione cerca di liquidare la questione prima come “suicidio” e poi come “disgraziato incidente”; ma i genitori di Rebecca rifiutano ogni versione di comodo.
    Ancora oggi sospettano che la compagnia sappia più di quanto non abbia detto alla polizia. Perché tanta reticenza? Per paura di sollevare della pubblicità negativa. Il caso è ancora aperto.







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