Pompei: la città rasa al suolo dal Vesuvio

Quando i pompeiani si svegliarono la mattina del 24 agosto (o 24 ottobre, secondo alcune fonti) del 79 d.C., non potevano immaginare gli eventi drammatici che sarebbero avvenuti quel giorno.

Probabilmente gli abitanti di Pompei – tra i 10mila e i 20mila, a seconda delle stime – non sapevano nemmeno che il Vesuvio fosse un vulcano: erano passati settecento anni dall’ultima volta che aveva eruttato, e le sue pendici erano coperte di vigneti e coltivazioni che godevano della grande fertilità del suolo.

Secondo quanto riferisce lo storico Cassio Dione, che scrisse più di cento anni dopo l’evento, nei giorni precedenti c’erano state alcune scosse sismiche e si erano uditi boati «tanto sotterranei simili ai tuoni, quanto fuor della terra simili ai muggiti».

Non erano eventi rari nella zona circostante al golfo di Napoli, per cui la maggior parte della gente probabilmente non ci fece molto caso, sebbene fosse ancora vivo il ricordo del violento terremoto che nel 62 d.C. aveva causato ingenti danni alle popolazioni locali.

I pompeiani si stavano ancora riprendendo da quel cataclisma e gran parte della città era in fase di ricostruzione, foro compreso. Ma la vita andava avanti, e la mattina di quel giorno fatidico Pompei era un brulicare di attività, come d’abitudine.

Proprio quella mattina, Vesuvio scatenò un’eruzione con una serie di colate di materiale vulcanico che seppellirono Pompei uccidendo molti dei suoi abitanti!

1. Una colonna di fumo

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Tutto cambiò verso l’una del pomeriggio. L’eruzione del Vesuvio generò un’impressionante colonna di gas e materiali vulcanici che raggiunse i ventisette chilometri di altezza.

Anche se non si è conservata nessuna testimonianza diretta degli abitanti di Pompei, è giunto fino a noi il resoconto di un testimone oculare dell’evento, Plinio il Giovane.

Il ragazzo, che allora aveva diciassette anni, si trovava in compagnia dello zio Plinio il Vecchio, comandante della flotta imperiale di stanza a Miseno, all’estremità occidentale del golfo di Napoli.

Ad alcuni anni di distanza Plinio il Giovane scrisse due lettere allo storico romano Tacito in cui descrisse il cataclisma.

Della nuvola provocata dall’eruzione iniziale riferì: «Per forma e aspetto non potrebbe essere paragonata a nessun albero meglio che a un pino. Come un enorme tronco, la nube si protendeva verso l’alto, espandendosi e ramificandosi tutt’intorno».

Il vento spinse la parte superiore della colonna eruttiva verso sudest, dove si trovava Pompei, che sprofondò nell’oscurità.

L’immaginifico Cassio Dione riferisce che si udì un grande boato e che il giorno si trasformò in notte e la luce in tenebra; sembrava, disse, che il mondo stesse scivolando nel caos o fosse consumato dal fuoco.

Alcuni sostenevano di aver visto in mezzo al fumo i giganti impegnati in una lotta feroce con gli dei dell’Olimpo, una scena che rievocava il noto episodio della mitologia greca della gigantomachia.

Nella foto sotto, l’attuale cratere del Vesuvio, di circa 300 m di profondità e 400 m di larghezza, si è formato durante l’eruzione del vulcano del 1944. Anche se questa eruzione è stata molto meno intensa di quella del 79 d.C., ha causato 26 vittime, soprattutto per la caduta di materiale vulcanico.

2. Pioggia di cenere

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Il pericolo più immediato per gli abitanti di Pompei era la pioggia di pomice e cenere che cadeva dall’enorme nube vulcanica sopra di loro.

Nessuno sapeva esattamente che cosa fare. Alcuni ritenevano che fosse più sicuro rifugiarsi in casa, negli edifici pubblici o sotto i portici, ma c’era il rischio di restare intrappolati o schiacciati dal crollo dei tetti provocato dal progressivo accumulo di materiali vulcanici.

Altri decisero che la cosa migliore fosse tentare di scappare in qualsiasi modo e si riversarono nelle strade cercando di proteggersi la testa come meglio potevano, dato che piovevano a terra pietre di un certo spessore a una velocità di più di cinquanta metri al secondo, con effetti potenzialmente letali.

Alcuni correvano in direzione del porto, altri lo abbandonavano ritenendo più sicuro l’entroterra. Alle porte della città si accalcavano centinaia di persone che tentavano di fuggire.

Alle cinque del pomeriggio il deposito di materiali vulcanici accumulatosi a Pompei raggiunse un’altezza di cinquanta centimetri; a mezzanotte si aggirava ormai attorno al metro e mezzo.

I crolli degli edifici avevano già causato un certo numero di vittime, ma fu nelle ore successive che si svolse la grande tragedia. Intorno all’una del mattino il cratere del vulcano rilasciò la prima delle sei colate piroclastiche che nelle sette ore successive avrebbero devastato i villaggi attorno al Vesuvio.

Le colate, o flussi, piroclastiche sono un fenomeno vulcanico ben noto: si tratta di nubi ardenti costituite da una miscela di gas tossici, cenere e frammenti di roccia ad altissime temperature che scendono a grande velocità lungo le pendici del vulcano, distruggendo tutto ciò che si trova sul loro cammino e provocando la morte istantanea di qualsiasi essere vivente per il calore sprigionato.

Qua sotto, fuoco e distruzione. Questo dipinto a olio di John Martin, datato 1822, raffigura l’eruzione del Vesuvio alle prime ore del mattino del 25 agosto, vista dalla spiaggia di Stabia, da cui vari gruppi di persone – tra le quali Plinio il Vecchio – stanno cercando di fuggire.

3. Una gigantesca fornace

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La prima di queste colate si diresse verso Ercolano, a nordovest di Pompei. Lì alcuni abitanti si erano rifugiati nei locali con i tetti a cupola vicino alla spiaggia, di solito utilizzati per riporre barche e altri materiali per la navigazione.

Ma il loro tentativo di trovare un riparo fu inutile: vennero travolti dalla nube ardente che li uccise all’istante. Tra il 1980 e il 1992 gli archeologi hanno trovato nel sito quasi trecento scheletri rimasti sepolti per secoli sotto venticinque metri di depositi vulcanici.

In base agli oggetti rinvenuti accanto a loro, ad alcuni è stato dato un nome, come “il soldato”(un uomo che indossava un cinturone con spada e pugnale) o “la signora degli anelli” (una nobildonna che portava con sé i suoi gioielli più preziosi).

Toccante è lo scheletro di una giovane schiava che protegge in grembo un neonato, forse il figlio della sua padrona. Altrettanto commoventi sono i resti di un bambino con una chiave di ferro al fianco, probabilmente quella di casa sua, che portò con sé nella vana speranza di potervi fare ritorno.

Nell’agosto del 1982 è stata trovata su quella che era la spiaggia di Ercolano una barca in uno stato di conservazione eccezionale. Di oltre nove metri di lunghezza, 2,20 metri di larghezza e un metro di altezza, era probabilmente manovrata da sei rematori, tre per lato, e un timoniere.

È stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di un’imbarcazione di salvataggio che aveva tentato di andare a recuperare coloro che si erano rifugiati nei locali sulla spiaggia, e che “il soldato” potesse essere al comando di quell’operazione conclusasi in tragedia.

A Pompei nel corso della notte i depositi di roccia vulcanica continuarono ad accumularsi, fino a raggiungere un’altezza di quasi tre metri. All’alba il vulcano parve concedere una breve tregua, permettendo così la fuga di coloro che volevano lasciare le case e i rifugi temporanei.

Altri, incoraggiati da quella che sembrava essere la fine della catastrofe, fecero ritorno alle rispettive abitazioni in rovina per tentare di recuperare quanto potevano.

Nella foto sotto, morte improvvisa. Nel 2020, durante lo scavo di un passaggio sotterraneo in una villa di Civita Giuliana, nel suburbio di Pompei, gli archeologi hanno realizzato i calchi di due vittime dell’eruzione. Corrispondono a un giovane sui 20 anni, forse uno schiavo, e a un uomo sui 35 anni, vestito con abiti di lusso. Entrambi furono sorpresi da una colata piroclastica all’alba del 25.

4. Alba mortale

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Ma sia quelli che fuggivano sia quelli che tornavano in città furono sorpresi dai nuovi e violenti flussi piroclastici che colpirono in pieno Pompei e le zone circostanti.

Alle 6.30 del mattino la terza colata raggiunse le mura settentrionali della città e seppellì le abitazioni al di fuori di porta Ercolano, come la famosa villa dei Misteri. Chi aveva scelto di fuggire in quella direzione morì all’istante.

Un’ora dopo altre due colate superarono la cinta muraria, entrarono in città e spazzarono via ogni forma di vita. Alle otto del mattino, il sesto e ultimo flusso ricoprì Pompei quasi per intero.

Nella casa di Giulio Polibio, che era situata nella vivace via dell’Abbondanza, sono stati trovati nel 1975 alcuni resti ossei che aiutano a capire meglio come si svolsero gli ultimi momenti di una rinomata famiglia pompeiana.

Polibio e i suoi parenti avevano deciso di rimanere a casa, dove l’eruzione li aveva costretti a rifugiarsi nelle sale da pranzo in fondo al peristilio (il cortile circondato da un portico intorno al quale si svolgeva la vita privata).

Le ultime colate entrarono attraverso il giardino del peristilio e sfondarono le porte delle stanze. Le persone lì riunite, familiari e servitori, morirono all’istante e rimasero sepolte dal crollo delle tettoie.

Nelle prime ore dell’eruzione dodici persone, tra cui una ragazza in avanzato stato di gravidanza, si rifugiarono nel retro della casa di Giulio Polibio (foto sotto), una delle più sontuose di Pompei. All’alba del giorno successivo furono tutte uccise da una colata piroclastica del Vesuvio. La posizione di alcuni scheletri indica che al momento della morte erano sdraiati a letto.





5. La missione suicida di Plinio

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Tutto indica che la maggior parte delle vittime pompeiane dell’eruzione del Vesuvio fu provocata da questi ultimi flussi piroclastici. È indicativo il fatto che il grosso dei corpi si trovasse sopra uno strato di quasi 2,5 metri di materiale vulcanico.

Queste vittime erano sopravvissute alla pioggia di pietra pomice, ai crolli e all’asfissia; ciò che le uccise furono le nubi ardenti che si abbatterono su Pompei a partire dall’alba. In totale sono stati trovati circa 1.150 corpi all’interno della città e 258 nei dintorni.

Una delle vittime della fase finale dell’eruzione fu Plinio il Vecchio. All’inizio del tragico evento si trovava a Miseno con suo nipote, quando ricevette una richiesta di aiuto da una nobildonna sua amica di nome Rectina, la cui villa era situata ai piedi del vulcano, tra Ercolano e Pompei.

Il comandante della flotta imperiale organizzò un’operazione di salvataggio con alcune quadriremi. Una volta in mare, però, la tempesta gli impedì di avvicinarsi alla villa dell’amica.

Il timoniere della sua nave gli consigliò di tornare indietro, ma Plinio, al motto di“la fortuna aiuta gli audaci”, gli ordinò invece di dirigersi in direzione di Stabia, dove il suo amico Pomponio aveva una casa e la situazione era migliore.

Lì poté riposare e persino dormire, rassicurando i compagni con grande calma. Alle prime ore del giorno i militari si svegliarono e decisero di uscire, coprendosi la testa con dei cuscini legati con dei nastri per proteggersi dalla pioggia di cenere. Scesero sulla spiaggia per vedere se fosse possibile la fuga via mare.

Fu lì che Plinio il Vecchio morì, probabilmente a causa dell’ultimo flusso piroclastico, anche se alcuni hanno ipotizzato che il decesso fosse dovuto semplicemente a una patologia cardiaca di cui soffriva.

Plinio il Giovane, che aveva preferito non accompagnare lo zio nella sfortunata spedizione, chiuse il suo resoconto dell’episodio con queste toccanti parole, che riassumono il senso di sollievo dopo la catastrofe: «Finalmente la caligine si attenuò e svanì come se fosse fumo e nebbia; quindi fece giorno e apparve anche il sole, ma era scolorito, come avviene di solito quando è in eclisse. Agli sguardi ancora tremanti tutto si mostrava cambiato e ricoperto da un profondo strato di cenere, come se avesse nevicato».








Note

CRONOLOGIA

IL GIORNO FATIDICO

24 agosto, ore 13: il Vesuvio erutta il 24 agosto del 79 d.C. Una nuvola di gas e cenere oscura il cielo sopra Pompei.

25 agosto, ore 1: alle prime ore del mattino del 25, la prima colata piroclastica del Vesuvio si abbatte su Ercolano.

ore 6.30: una terza colata piroclastica raggiunge il suburbio di Pompei, seppellendo le ville fuori dalle mura.

ore 7.30: altri due flussi piroclastici colpiscono Pompei, uccidendo coloro che sono ancora in città.

ore 8: l’ultima colata piroclastica si estende ulteriormente dal cratere su un’area molto più grande delle precedenti.

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