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Quando la scienza copia dalla natura

Gechi, ragni, gufi, api: gli scienziati si ispirano a loro per creare nastri adesivi potenti, tessuti tecnici e treni ad alta velocità.

Non è una novità: l’aveva già fatto Leonardo.

Si chiama biomimicry, in italiano biomimetica, ed è la scienza per lo sviluppo tecnologico che si ispira agli animali e al mondo della natura per cercare soluzioni sostenibili e al tempo stesso altamente performanti.

Già in passato illustri inventori e scienziati studiarono il comportamento di animali e piante per trovare le soluzioni a problemi ingegneristici e inventare nuovi macchinari.

Leonardo Da Vinci fu tra i massimi scienziati che fece della natura una fonte inesauribile d’ispirazione.

È verosimile che la sua avveniristica vite aerea, una macchina volante a elica simile al moderno elicottero, gli sia stata suggerita dai semi di acero, che cadono dolcemente dagli alberi con un movimento rotatorio grazie all’inconfondibile paio di ali.

Ancor prima Aristotele annotava nella Historia animalium le più sorprendenti prodezze degli animali, spianando così la strada alla zoologia e alle molteplici ricerche che nel tempo ci hanno permesso di svelare quali caratteristiche anatomiche e strutturali consentano a insetti, pesci, rettili e uccelli di raggiungere performance elevate: quelle che oggi si cerca di riprodurre con la tecnologia.

Vediamo alcuni casi dove la scienza copia dalla natura!

1. Dalle zampe del geco allo scotch senza colla

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Studiando l’anatomia delle zampe dei gechi, rivestite da centinaia di microscopici uncini (grandi appena qualche millesimo di millimetro), i ricercatori dell’Università di Manchester e dell’Istituto di microelettronica di Chernogolovka in Russia hanno dato il via alla produzione sperimentale di uno scotch privo di colle e ultrapotente che permette di sfruttare le forze d’interazione elettrostatiche (forze di Van der Waals) per aderire con estrema efficacia a qualsiasi superficie, vetro, specchio o soffitto che sia.

Più di recente i ricercatori dell’Università di Kiel (Germania), sempre ispirandosi alla microstruttura delle zampe del geco, sono riusciti a mettere a punto un sottile film di silicone di appena 0,34 millimetri di spessore e ricoperto su un lato da ben 29mila microscopici “peletti” per centimetro quadrato.

Questo film può aderire alle superfici umide e scivolose ed essere rimosso senza lasciare alcun residuo. Il suo riutilizzo, assicurato per tempi lunghissimi, non è però illimitato ed è strettamente correlato al deterioramento delle microcomponenti.

Mentre le setole naturali del geco si rinnovano ciclicamente, garantendo all’arto prestazioni sempre ai massimi livelli, infatti, in laboratorio questo risultato appare ancora difficilmente raggiungibile.

2. In laboratorio i ragni tessono tele al grafene

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Studiando la struttura delle proteine della seta dei bachi e dei ragni, ricca di proteine (come l’elastina e altre speciali sequenze amminoacidiche) e capace di supportare un carico di rottura paragonabile a quello dell’acciaio, diversi ricercatori hanno introdotto nell’industria tessile sorprendenti accorgimenti per rendere i filati sempre più leggeri e resistenti.

In questo filone di ricerca vanno inquadrate le applicazioni pratiche delle super-ragnatele in carbonio tessute dai ragni allevati nei laboratori del Bio-inspired and graphene nanomechanics Institute dell’Università di Trento.

Si tratta di una ricerca sperimentale, ma le possibili applicazioni della scoperta potrebbero portare a realizzare tessuti dalle eccezionali proprietà, che alla naturale elasticità della seta del ragno uniscono anche la resistenza del grafene, il materiale del futuro realizzato con sole molecole di carbonio dalle qualità di super-conduttore ultra-resistente.

L’uso di questi filati bioingegneristici potrebbe estendersi dal campo medico e chirurgico sino a quello industriale e aerospaziale. Per riuscirci i ricercatori di Trento hanno vaporizzato gli ambienti dove alcuni ragni erano mantenuti con acqua intrisa di grafene.

I ragni hanno così iniziato a tessere ragnatele al grafene che, sottoposte a test di resistenza, hanno di gran lunga superato le performance delle fibre annodate finora realizzate. Questo approccio potrà essere esteso anche ad altri organismi vegetali e animali, come i bachi da seta, per realizzare nuovi materiali bionici.

3. Turbine silenziose come il volo dei gufi

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Il volo silenzioso dei gufi, rapaci notturni capaci di giungere sulla preda totalmente inosservati, ha ispirato gli ingegneri meccanici del Key laboratory of bionic engineering dell’Università di Changchun, in Cina, che hanno realizzato delle turbine ultra-silenziose.

Rispetto alle ali di altri uccelli, quelle dei rapaci riescono infatti a muoversi senza che la turbolenza generata dall’attrito dell’aria sull’ala stessa possa essere in qualche modo avvertita.

Ciò avviene grazie a due elementi:
- il primo sta nella presenza di una serie di micro-uncini che rivestono le estremità delle penne e che aiutano a frammentare il getto d’aria in tante micro-turbolenze. Queste ultime, scivolando sulla superficie dell’ala verso l’estremità, poi si frangono sulla frangia flessibile che riveste il bordo dell’ala e che frammenta ulteriormente le micro- turbolenze riducendo il rumore;
- il secondo elemento è che i piumini soffici che ricoprono le zampe dei rapaci e in parte anche l’ala assorbono ogni ulteriore rumore.

4. La velocità aumenta se il “muso” del treno è come il becco del martin pescatore

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Il coloratissimo martin pescatore, uccellino che cattura i pesci in picchiata, è stato d’ispirazione per la realizzazione di treni ultra-veloci.

Negli anni 90 l’ingegnere giapponese Eiji Nakatsu, appassionato di birdwatching, ha intuito che il suo lungo becco, sproporzionato rispetto al resto del corpo, fosse indispensabile per evitare la formazione di increspature nell’acqua quando l’uccello si scaglia con precisione e velocità sul pesce al di sotto del pelo dell’acqua.

Così ha ridisegnato il “muso” dei treni ad alta velocità rendendoli estremamente affusolati, proprio come se vi fosse montato un becco di martin pescatore.

Questo accorgimento ha permesso non solo di ridurre il rumore generato dalle onde sonore prodotte dall’urto del treno contro l’aria, ma anche di abbassare il consumo di energia (poiché viene ridotto l’attrito) e allo stesso tempo di aumentare la velocità.



5. L’inquinamento? Si rileva con le api

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Le api possono essere impiegate per il monitoraggio ambientale.

I ricercatori dell’Università statale di Milano, guidati da Annamaria Costa, hanno sperimentato un nuovo progetto a basso costo per la rilevazione dell’inquinamento dell’aria nei centri urbani, sfruttando le api, insetti allevati dall’uomo.

Hanno posizionato un’arnia in un parco nel centro della città (il parco Sempione) e poi hanno misurato quotidianamente il Pm10 (le particelle di inquinamento con un diametro fino a 10 micron, cioè fino a 10 millesimi di millimetro) rimasto intrappolato nella “pelliccia” delle api.

Hanno così scoperto una correlazione diretta tra le quantità di Pm10 rilevato e l’inquinamento dell’aria della zona intorno all’arnia. Le api hanno infatti un raggio d’azione di circa 3 km.

Posizionando le arnie in più punti strategici della città, è quindi possibile misurare in modo efficace la qualità dell’aria, economizzando sui costi di produzione, manutenzione e smaltimento delle comuni centraline elettroniche.






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