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Quei Longobardi che hanno fatto l’Italia

Una nuova autostrada per collegare Milano a Bergamo e a Brescia ci ha potato indietro nel tempo.

E cioè alla fine del VI, inizio VII secolo dopo Cristo, quando in buona parte d’Italia dominavano i Longobardi.

Durante i lavori di questo tratto autostradale denominato Brebemi, è venuta alla luce, vicino a Fara Olivana (provincia di Bergamo), una delle più grandi necropoli del popolo dalle “lunghe barbe”: la definizione Longobardi viene infatti dalla latinizzazione del germanico antico di lang-bart (lunga barba, appunto).

I guerrieri di Alboino unirono la Penisola sotto un unico regno “federale”, dal Nord a Benevento. Ecco cos’hanno lasciato.

1. Un popolo di guerrieri

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All'inizio della discesa in Italia, i Longobardi erano una casta di duri guerrieri.

Poi il clima culturale del Bel Paese li trasformò in contadini, commercianti, artigiani, banchieri e persino giuristi, quasi tutti con vertiti al cristianesimo e alla lingua latina.

La necropoli longobarda di Fara Olivana conta ufficialmente 105 tombe, in maggioranza di combattenti, ma anche di donne dell’alta società.

Quelle maschili hanno permesso il ritrovamento di scudi, spade costituite con tecniche raffinate per renderle taglienti e resistenti, pugnali e lance che costituivano il corredo dei guerrieri, in molti casi con raggiunta di zanne di cinghiale, animale totemico che nella cultura germanica dava forza vitale.

Alcune spade risultano spezzate, un gesto volontario che dimostra come i Longobardi, al pari di altri popoli antichi, temevano il ritorno dei morti come fantasmi: meglio allora rendere inefficaci le anni dei defunti.

Le sepolture femminili presentano fibule, collane, pendagli e altri oggetti preziosi, assieme a parecchie croci d’oro in cui figurano anche animali, segno di sincretismo, ovvero un’ibridazione religiosa fra i culti germanici originari, pagani, e il cristianesimo di adozione.

Una sfera di vetro trovata vicino al femore di una donna fa pensare a un talismano da portare nell’aldilà. La necropoli, che si estende su almeno 2.500 metri quadrati, fu ricca di reperti, una nuova conferma del peso che i Longobardi ebbero nella nostra Penisola.

2. L'Italia unita

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L'Italia della dominazione longobarda è stata messa recentemente in luce dall'Unesco che ha inserito come patrimonio dell’umanità otto località, ben distribuite nella Penisola da nord a sud:

1) il monastero di Torba a Gornate Olona (Varese);

2) il Tempietto di Cividale del Friuli;

3) il Borgo longobardo di Castelsaprio nel bresciano;

4) il monastero di S. Giulia a Brescia;

5) a Campello del Clitunno (Perugia) è longobardo il sacello del Tempietto;

6) la navata centrale della chiesa di San Salvatore, fatta ristrutturare dal duca di Spoleto, longobardo, nell'VIII secolo;

7) La chiesa di San Michele Arcangelo a Monte S. Angelo in Puglia. L’eroe San Michele, l’uccisore del drago, era molto popolare fra i Longobardi;

8) La chiesa longobarda di Santa Sofia a Benevento.

Perché a ben vedere i Longobardi, spesso trascurati dai libri di scuola, non furono solo stranieri dominatori e tanto meno “barbari”: si integrarono bene con la popolazione locale, dopo il vuoto lasciato dalla caduta del'Impero romano di Occidente, fino a romanizzarsi: divennero “italici”.

Non solo. Potrebbe sembrare un'eresia - abituati come siamo a celebrare il Risorgimento del XIX secolo - ma bisogna riconoscere che i primi a tentare di fare l'Italia, riuscendoci in buona parte, furono proprio i Longobardi.

Nel loro periodo migliore, nell'VIII secolo, la loro influenza si estendeva in un territorio che andava da Cividale del Friuli fino al ducato di Benevento, che copriva anche parte della Calabria.

Persino l'Istria, italiana fra la Prima e la Seconda guerra mondiale, era in mano loro. I re longobardi, residenti a Pavia, si facevano chiamare Gratia Dei rex totius Italiae (Per grazia di Dio re di tutta l'Italia) oltre a Rex Longobardorum.

3. Il regno di Alboino e la sintesi delle culture

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  • Il regno di Alboino
    Scesi per la prima volta in Italia nel 568, guidati da Alboino, diedero subito vita a un regno indipendente e “federale” su gran parte dell’Italia continentale e peninsulare.
    “Federale” nel senso che era articolato in vari ducati, di solito rispettosi del potere centrale.
    La fara, termine che figura ancora oggi nei nomi di diversi paesi del Nord (come Fara Olivana, Fara d’Adda e Fara Novarese), era una unità urbanistica che si basava sul clan, abitata quindi da più famiglie colegate fra loro.
    La casta dei guerrieri era all'apice della piramide sociale, poi vi erano gli aldii, che godevano di una certa autonomia, gli schiavi affrancati e gli schiavi veri e propri.
  • La sintesi delle culture
    Mescolandosi con la popolazione italica, con il matrimonio o con accordi economici, i Longobardi a un certo punto si distribuirono su diversi livelli sociali, tra i poveri come tra i romanici ricchi.
    Da cristiani ariani e in parte ancora pagani, i Longobardi divennero poi cattolici, capaci di sostenere gli operosi monasteri benedettini, all’avanguardia nelle tecniche agricole.
    Anzi, ne fondarono alcuni tra i più importanti, come quello di Bobbio in provincia di Piacenza.
    Adottarono il latino, ma molte parole della loro lingua madre restarono in uso entrando poi nel volgare italiano e nei dialetti. Oggi si contano circa 300 termini di origine longobarda: la Lombardia era una volta la Longobardia.
    Di origine longobarda sono parole come stamberga, balcone, palco, panca, guanto, fiasco, palla, strale, stambecco, schiena, milza, foresta, melma, guerra.
    Nomi propri come Aldo, Alfonso e Alberto vengono da loro.
    La “sala” era la loro cascina con recinto e stalla: esistono oggi toponimi longobardi che la ricordano, come Sala Baganza, in provincia di Parma.
    A Milano i Longobardi restarono per 2 secoli e diversi termini dialettali lo testimoniano: mùchala, cioè smettila, deriva da “mozzare” in longobardo, oppure baùsha, pieno di sé, ha origine da baushen, cioè “gonfiato”. Cosi come totich (inciampare), sgurà (lavare a lucido) o cadrega (sedia).

4. Più progresso

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Una cosa è sicura: l’unione fra elementi germanici e italici pose solide radici per lo sviluppo successivo dell’Italia.

Paolo Diacono (720-799 d.C.), monaco, storico e poeta italico di origine longobarda scriveva:
«C’era questo di meraviglioso nel regno dei Longobardi: non esistevano violenze, non si tramandavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava: non c’erano furti, non c’erano rapine, ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore».

Forse un po’ troppo nostalgico, questo riassunto, ma sul piano giuridico i Longobardi furono innovatori.

Il re Rotari promulgò un editto nel 643 in cui si abolivano la pena di morte e la faida (altra parola longobarda), prevedendone la sostituzione con il risarcimento in denaro. C’erano tabelle di risarcimento per ogni tipo di offesa.

La pena di morte venne mantenuta solo per regicidio, diserzione e uxoricidio. Le mogli venivano dunque difese dalla violenza dei mariti, cosa poco scontata all’epoca.

Vi era poi il diritto di protezione e tutela del capo di una fara verso tutti i componenti del gruppo famigliare.



5. Fermati dal Papa

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I Longobardi avevano fatto l’Italia di allora soprattutto a spese dei Bizantini che dovettero lasciare i loro insediamenti.

Con la conquista di Ravenna, nel 751, al re longobardo Astolfo mancava solo Roma per completare l’unità della penisola (nella foto accanto Re Astolfo fa una donazione all'abate Anselmo per fondare l'abbazia di Nonantola, portale dell'abbazia di Nonantola, XII secolo) .

Come nel Risorgimento, il vescovo di Roma che aveva sovranità anche su consistenti territori dell’Italia centrale, non era d’accordo con l’idea dell’élite longobarda-italica di una nazione unica.

Era in ottimi rapporti con i Franchi che chiamò in suo soccorso prima che i Longobardi potessero aprire la loro “breccia di Porta Pia”. Papa Stefano II fece arrivare dalla Francia i soldati di Pipino il Breve che sconfissero Astolfo.

Un re longobardo successivo, Desiderio, prima si accordò con il Papa, poi ritornò alla carica. Arrivò allora in aiuto del pontefice il figlio di Pipino, il grande Carlo Magno, che conquistò nel 774 la capitale Pavia.

Cosi fini l’Italia longobarda. Si perse forse l’occasione di fare dell'Italia uno dei primi grandi Stati europei, non uno dei più recenti e ritardatari.

«I Longobardi si stavano assimilando all'Italia e avrebbero potuto trasformarla in una nazione, come i Franchi stavano facendo in Francia» scrisse Indro Montanelli nel suo libro L'Italia dei secoli bui. «Ma in Francia non c’era il Papa. In Italia, si».






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