Senso di inadeguatezza: come affrontarlo e risolverlo

È la sensazione di non valere, al proprio operato, bensì alla propria di essere inferiori agli altri e di non essere mai all’altezza della situazione.

Si chiama senso di inadeguatezza ed è un disturbo contrassegnato da ipercriticità verso sé stessi, timore di sbagliare, paura del giudizio altrui, vergogna dei propri difetti e mancato riconoscimento del proprio valore.

Il senso di inadeguatezza compromette la qualità della vita. La paura di sbagliare e di essere criticati porta infatti a evitare le situazioni, i confronti e i progetti, in quanto ogni osservazione è vissuta come un giudizio lapidario che potenzia la sensazione di non valere.

«Il disturbo comporta un’estensione per la quale le osservazioni vengono vissute non come una critica persona», spiegano gli esperti.

Tramite un meccanismo totalizzante, ogni più piccolo appunto viene esteso al valore complessivo della persona, che si percepisce non per quello che è, ma per ciò che ha fatto, e di conseguenza pensa che se ha fatto uno sbaglio è lei stessa uno sbaglio.

1. Si cerca di piacere a tutti. Fattore naturale o disturbo?

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Nelle relazioni interpersonali questi soggetti sono ipersensibili alla critica e temono sempre che gli altri pensino negativamente di loro. L’intollerabile pensiero di non essere apprezzati li porta a cercare di compiacere sempre il prossimo.

Comportandosi come camaleonti, cercano di adattarsi al colore dell’altro e di essere come l’altro vuole per evitare di essere giudicati negativamente e abbandonati.

Per lo stesso meccanismo di compiacenza, nel partner e nelle amicizie scelgono persone che li facciano sentire speciale e accettato. Ma basta che qualcuno li disapprovi una volta perché il meccanismo estensivo li faccia sentire disapprovati in toto.

Interrogarsi sulle proprie risorse dinanzi a una nuova sfida è naturale, soprattutto se c’è una reale fragilità in un campo specifico. È il caso per esempio di chi inizia da zero un corso di inglese o una nuova attività.

Al tempo stesso, però, simili sfide possono essere percepite come occasioni motivanti per crescere. È anche normale sentirsi a disagio di fronte a persone di livello gerarchico superiore o che mettono in soggezione.

Il senso di inadeguatezza diventa però un disturbo quando è pervasivo, cioè quando è presente con continuità in tutte le situazioni e condiziona la vita. Davanti alle sfide (colloqui, selezioni di lavoro eccetera) si tende a pensare di non farcela e a vedersi perdenti nel confronto con gli altri.

Spesso il senso di inferiorità viene esternato verbalmente (si balbetta, si chiedono conferme agli altri) o a livello corporeo (si suda, si arrossisce). Altre volte la tensione celata sfocia nell’ansia o nei disturbi depressivi.

Generalmente, essendo parte della personalità, il disturbo si estende a quasi tutti i campi della vita. Si può distinguere fra lavoro e vita personale e relazionale. Sul lavoro questi soggetti sono in perenne soggezione verso i colleghi e i superiori e sono insicuri nella loro stessa mansione, timorosi di sbagliare e di non essere all’altezza dei loro compiti.

In amore e nelle relazioni interpersonali si sentono invece inadeguati sotto tutti gli aspetti (estetico, culturale, lavorativo) e quindi non apprezzabili e non amabili.

2. Le cause

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Il senso di inadeguatezza ha una dimensione multifattoriale. È favorito dal meccanismo competitivo della società odierna, che fa della performance, dell’adeguatezza agli standard e dei risultati i suoi valori.

Tuttavia, affonda le radici nell’infanzia. Spiegano gli psicologi: «Di solito, chi ne soffre è cresciuto o in una famiglia con genitori severi e giudicanti che nutrivano grandi aspettative nei confronti dei loro figli, oppure, al contrario, con genitori poco protettivi e poco supportanti.
Nel primo caso il bambino avrà interiorizzato la sensazione di essere amato non tanto di un amore incondizionato, quanto per i suoi risultati.

Questa dimensione di approvazione delle capacità e dei risultati – piuttosto che della persona – verrà portata avanti nella vita, strutturando una personalità improntata al senso di inadeguatezza, alla paura del giudizio e alla bassa stima di sé.
Il soggetto crescerà quindi con l’idea di essere sempre giudicato. Nel secondo caso il bambino si sentirà di scarso valore perché non sostenuto e valorizzato e da adulto svilupperà un senso di inadeguatezza».

Due estremi che sfociano nello stesso risultato: bassa autostima e paura del giudizio altrui. In altri casi il disturbo origina da esperienze traumatiche di maltrattamento, abuso, bullismo o prevaricazione da parte degli insegnanti, che inficiano il soggetto del suo valore.

3. Come gestire i casi lievi

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Il primo passo è acquisire la consapevolezza del disturbo, smascherando l’ipercriticità verso sé stessi e la tendenza al perfezionismo (volto a scongiurare errori frustranti).

Si cercherà di riflettere e di individuare in quali ambiti ci si senta più fragili, lavorando nel contempo sulla consapevolezza dei propri punti forti.

La riflessione aiuta a ridimensionare le lacune e a vederle come mancanze specifiche, non estendibili a tutta la persona.

Si ridimensioneranno poi i giudizi negativi ricevuti sul proprio operato, senza allargarli alla totalità di sé stessi e senza più considerare lo sguardo e la mimica del prossimo come segni di giudizio e disappunto.

Infine, si lavorerà sull’autostima, riconoscendo le proprie risorse, migliorando le abilità e tollerando i difetti, che non sminuiscono il valore della persona nella sua interezza.

Sarà utile ripercorrere la propria vita alla ricerca di esperienze traumatiche o negative che ci abbiano fatto perdere la fiducia in noi stessi e ovviamente, lavorare ai punti deboli che causano insicurezza nei diversi ambiti della nostra vita.

Andrà inoltre eliminata l’eccessiva compiacenza verso gli altri in nome di una maggiore autenticità.

4. Quando serve la psicoterapia

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Se il disturbo è più intenso è necessario rivolgersi a uno psicoterapeuta i quali consigliano l’approccio sistemico-relazionale, che oltre alla persona considera le sue relazioni e l’ambiente che ha generato in lei risorse e criticità.

Il senso di inadeguatezza è un problema prettamente relazionale, tant’è vero che ci si sente inadeguati per via del confronto con gli altri.

Questo orientamento terapeutico tiene in grande considerazione sia l’ambiente dell’infanzia, sia quello della famiglia attuale ed è pertanto in grado di individuare e comprendere tutti gli aspetti che hanno originato il disturbo e lo mantengono in vita.

Le prime 2-3 sedute sono di consultazione, poi si lavora sulle lacune individuate, aiutando la persona a ripensarsi e a comportarsi diversamente a livello relazionale. Si ripercorrono cioè le situazioni in un’altra ottica, dando loro un significato differente. Chi soffre di senso di inadeguatezza si pone sempre nel ruolo dell’inadeguato; va quindi mutato il modo del paziente di porsi nelle relazioni.

Vediamo alcuni consigli per gestire il senso di inadeguatezza:
- Sviluppare la consapevolezza è un passo fondamentale per comprendere il motivo per cui ci sentiamo inadeguati. Prenditi il tempo di esplorare le tue emozioni e riflettere sulle situazioni che scatenano questi sentimenti. Identificare le radici del tuo senso di inadeguatezza ti permette di affrontarlo in modo più mirato.
- Dare il giusto peso ai giudizi esterni è cruciale. Ricorda che il giudizio di una persona riguarda spesso solo un aspetto specifico o un comportamento, non la tua intera identità. Impara a separare il giudizio esterno dalla tua autostima e non lasciare che influisca negativamente sulla tua percezione di te stesso.

- Costruire una buona opinione di te stesso richiede tempo e sforzo. Sii gentile e tollerante verso te stesso, accettando i tuoi difetti come parte normale dell'essere umano. Riconosci le tue abilità e competenze, e sii consapevole delle risorse che puoi sfruttare per affrontare le sfide. Impara a volerti bene e a credere nella tua capacità di affrontare le difficoltà.
- Migliorarsi è un processo continuo. Utilizza il giudizio esterno come uno stimolo per crescere e migliorare, ma mantieni anche un sano equilibrio. Considera le critiche costruttive come opportunità per svilupparti e aumentare le tue competenze. Sii autocritico in modo positivo e usa le tue fragilità come spunti per crescere personalmente e professionalmente.
- Infine, non aver paura di chiedere aiuto se il senso di inadeguatezza diventa profondo e persistente. Un percorso di crescita personale, come la consulenza o la terapia, può offrire un supporto prezioso per comprendere le cause profonde e affrontare il senso di inadeguatezza in modo più efficace.





5. Mitigare i sintomi

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Utili anche le tecniche corporee come il Training autogeno, che mitigano i sintomi fisici legati agli stati di inadeguatezza riducendo il livello di attivazione corporea.

Nel caso di precedenti esperienze traumatiche (incidenti, lutti, maltrattamenti) si potrà ricorrere all’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), una tecnica di elaborazione dei traumi che mira a ridimensionare gli eventi traumatici in modo che cessino di essere pervasivi e di condizionare il paziente.

Si aiuta il paziente a integrare le memorie traumatiche per far sì che vengano archiviate e non più attivate nel corso della vita.

La terapia si basa sulla stimolazione bilaterale dei due emisferi cerebrali attraverso appositi movimenti oculari o movimenti specifici indicati dal terapeuta, con cui si ottengono l’integrazione delle informazioni drammatiche e l’elaborazione del ricordo, che viene confinato al passato e cessa di essere invasivo.

Fare disastri non significa essere un disastro! “Rossi, Lei è un vero disastro!”. In una persona fragile, un giudizio così lapidario da parte del capufficio può incidere sull’autostima e acuire il senso di inadeguatezza.
Non si tratta infatti di un’osservazione sul lavoro svolto, ma della denigrazione totalitaria della persona. Gli psicologi consigliano di riformulare il pensiero così: «Non sono un disastro se sbaglio un lavoro, poiché io, come persona, non sono quel lavoro e quell’errore non deve definire la mia persona. È il capufficio che sbaglia. Non sono uno sbaglio o un disastro, semmai ho fatto uno sbaglio o un disastro».








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