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Templari: 5 misteri ancora da svelare

I Templari erano un Ordine Cavalleresco Monastico che segnò la storia Medioevale, influenzando moltissimo la cultura, il pensiero, la religiosità del tempo e lasciando delle tracce indelebili.

Essi nacquero con lo scopo di proteggere i pellegrini in TerraSanta (ma non solo!)

Protagonisti delle imprese cristiane in Terrasanta, questi cavalieri non cessano di affascinare.

Ecco le leggende più accattivanti sul loro conto e gli enigmi che ancora attendono risposta!

1. La cappella di Rosslyn

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Pochi chilometri a sud di Edimburgo è situata la cappella di Rosslyn, intitolata a San Matteo perché terminata il 21 settembre 1450, nel giorno a lui dedicato, dopo quattro anni di lavori.

Questa splendida costruzione in stile gotico, eretta per volere di William Sinclair I, corrisponde solo parzialmente al progetto iniziale che prevedeva un edificio molto più grande; attualmente è visibile la cappella, con il coro e la navata, chiusa a ovest da un muro, mentre all’esterno, verso oriente, è situata la cripta.

Gli studiosi interessati all'aspetto esoterico dell’Ordine del Tempio sostengono che la cappella di Rosslyn contenga simboli e collegamenti con l’antica cavalleria templare.

Innanzitutto i nobili Sinclair, appartenenti al ramo scozzese di una famiglia di origine normanna (Saint Clair), sarebbero stati imparentati con il fondatore e primo maestro templare, Hugues de Payns, attraverso il suo matrimonio con Caterina Sinclair.

Inoltre alcuni membri del clan vestirono effettivamente il mantello templare, come William e suo padre Henry, anche se non avevano una buona considerazione dell’Ordine: interrogati il 15 dicembre 1309, nell’abbazia di Holyrood a Edimburgo, testimoniarono contro di esso affermando che se i templari fossero stati dei bravi cristiani non avrebbero mai perso la Terrasanta.

Un secolo e mezzo più tardi il conte William Sinclair I desiderò ricordare con orgoglio l’appartenenza dei suoi antenati all’Ordine collocando, a sinistra dell’ingresso della cappella, il suo grande sepolcro in pietra, molto sobrio, con la raffigurazione di una “spada templare” e dell’albero della vita sulla lastra di copertura, e l’iscrizione “William de St. Clair Knight Templar” su uno dei lati.

Dal punto di vista esoterico sono i simboli ad avvicinare la cappella al Tempio, primo fra tutti il bassorilievo sul pilastro di destra della porta sud, che sembrerebbe un cavaliere con un’altra persona sul dorso del proprio cavallo, come raffigurato nel controsigillo dell’Ordine; alcuni, però, vedono un angelo al posto della seconda figura.

In ogni caso tutto l’interno è costellato di strane figure, quasi un universo simbologico dove è facile per gli appassionati di esoterismo trovare significati ricollegabili all’Ordine, a partire dalle numerose croci, presunte templari, e quelle “crenelate”, appartenenti alla famiglia Sinclair.

Tra gli elementi architettonici spiccano due alte colonne chiamate Jachim e Boaz, come quelle in bronzo fatte costruire da mastro Hiram nel Tempio di Salomone: chiaro riferimento al luogo di nascita dell’Ordine e collegamento con la massoneria, che da quel luogo traeva le sue origini moderne.

Collegata alla massoneria e al misterioso Graal, per alcuni conservato dai templari, è anche la colonna detta dell’”Apprendista”, in ricordo della disputa fra un mastro costruttore e un suo allievo.

L’architetto, per realizzare una colonna con una particolare decorazione, andò a Roma per studiare qualche nuova tecnica; l’allievo, intanto, avendo sognato la soluzione, costruì la colonna all’insaputa dell’altro.

Al ritorno il maestro, vedendo la perfezione del lavoro, fu preso da un moto di gelosia e uccise il giovane: un epilogo violento che ricorda, in senso contrario, la vicenda di mastro Hiram e la costruzione del Tempio di Salomone.

Recenti cronache, inoltre, raccontano che la stessa colonna sarebbe stata scandagliata esternamente con un metal detector, rilevando a metà altezza un oggetto non identificato, che molti ritengono possa trattarsi del Calice del Graal: la ricerca, però, si è interrotta poiché non sono state rilasciate autorizzazioni per proseguire.

Altre sculture, poi, dovrebbero rappresentare piante del nuovo continente, il cactus e le pannocchie di mais, in ricordo del viaggio del conte Henry, effettuato nel 1398 sulle rotte tracciate dai templari qualche tempo prima.

2. I cavalieri nel Nuovo Mondo

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Quando, il 3 agosto 1492, Cristoforo Colombo partì dal porto di Palos de la Frontera, sulle vele delle sue tre caravelle facevano bella mostra di sé delle grandi croci rosse, simbolo dell’Ordine del Cristo che in qualche modo aveva sostenuto l’impresa, benché la parte finanziaria fosse stata coperta dal re di Spagna, dal Banco di San Ciorgio di Genova e dal fiorentino Giannotto Berardi, banchiere dei Medici e socio di Amerigo Vespucci.

Questo Ordine militare era nato nel 1319, dietro richiesta di re Dinis I a papa Giovanni XXII, sulle ceneri del soppresso Ordine del Tempio, in modo da raccogliere sotto una nuova insegna i templari presenti in Portogallo.

Le finalità erano le medesime, ossia combattere i musulmani nella Penisola iberica; con la fine della Reconquista, nel 1492, l’Ordine del Cristo impiegò gran parte delle sue ricchezze in sostegno delle esplorazioni sulle nuove rotte marittime.

Per evidenziare la prosecuzione degli ideali templari, anche l’Ordine del Cristo si fregiò di una croce rossa, la stessa che campeggiò sulle vele di tutte le caravelle portoghesi che, tra il XV e il XVII secolo, partiranno alla scoperta e conquista di nuove terre in Asia, Africa e nelle Americhe.

Secondo alcuni studiosi, però, la strada per il nuovo continente era stata già tracciata dai templari che, oltre oceano, erano alla ricerca di risorse economiche per finanziare la guerra in Terrasanta e nella Penisola iberica: l’argento estratto dalle miniere messicane sarebbe stato trasportato in Europa, grazie alla flotta del Tempio, e scaricato nel porto atlantico di La Rochelle, dove l’Ordine era ben presente.

Le carte nautiche utilizzate dai templari, attraverso l’Ordine del Cristo, sarebbero poi giunte nelle mani di Cristoforo Colombo, che avrebbe potuto così “scoprire” ufficialmente le nuove terre oltre l’oceano, issando le vele con la croce rossa in segno di riconoscenza.

Ma la presenza dei templari in America, oltre a ciò, sarebbe testimoniata anche dall’esistenza di numerose tracce che ricondurrebbero all’Ordine del Tempio, come le numerose croci, di varia forma e dimensione, ritrovate in diverse parti del nord e nel sud del continente americano.

La traccia templare segnerebbe anche la particolare costruzione esistente a Newport, nel Rhode Island, circa cento chilometri a sud di Boston: si tratta di una torre circolare che poggia su un portico a base ottagonale e che, a detta degli esoteristi, ricalcherebbe la pianta delle chiese del Tempio. Per alcuni è forse un mulino, mentre altri ricercatori prediligono l’ipotesi templare, assegnando alla torre la funzione di faro. 

Indagini su resti trovati all’interno, eseguite con il radiocarbonio, daterebbero al XVII secolo il manufatto, ma secondo la tradizione la costruzione sarebbe stata eseguita per volere del conte Henry Sinclair, proprietario della cappella di Rosslyn, che nel 1398 avrebbe attinto al tesoro templare, nascosto proprio nei suoi possedimenti scozzesi, per finanziare una spedizione composta da dodici vascelli e duecento-trecento uomini di equipaggio, con l’obiettivo di attraversare l’oceano e sbarcare sulle coste dell’attuale Massachusetts. 

È comunque quasi certo che i templari conoscessero l’esistenza di altre terre situate al di là del “grande mare”. L’Oceano Atlantico era stato già attraversato nei secoli precedenti dai vichinghi di Erik il Rosso, stabilitisi in Groenlandia, mentre i figli Leif e Thorvald avevano esplorato il Labrador e Terranova (chiamata Vinland) e avevano risalito il fiume San Lorenzo.

Verso il X secolo lo stesso Leif e sua madre si erano convertiti al cristianesimo e sotto Pasquale II (1050-1118) era stata creata la diocesi di Cardar (oggi Igaliku), con Erik come primo vescovo di Groenlandia (1112-1113).

Vista la loro presenza alla corte papale, in qualità di dignitari presso il pontefice, i templari avranno certamente incontrato i vescovi di Groenlandia, apprendendo da loro l’esistenza di altre terre verso occidente.

3. I templari e la massoneria

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Dopo il processo, che agli inizi del Trecento portò allo scioglimento dell’Ordine del Tempio, per molti secoli ci si dimenticò dei cavalieri templari, oscurati dalla damnatio memoriae voluta dalla Chiesa.

Intorno agli inizi del XVIII secolo, con l’Illuminismo e con il fiorire di nuove teorie filosofiche, si formò una diversa concezione del rapporto fra uomo, Dio e Universo: quest'ultimo veniva immaginato come una grande costruzione dello spirito voluta da Dio, verso la quale l’uomo doveva tendere attraverso la purificazione di sé.

In questa allegoria, che è la base della massoneria moderna, il Creato era paragonato a un tempio, progettato da Dio nelle vesti di architetto e costruito dall’uomo come muratore, in francese macon, da cui “massoneria”.

Per evitare confusioni, a questo proposito, l’arte moratoria medievale venne chiamata “massoneria operativa”, mentre la filosofia che vi si collegava prese il nome di “massoneria speculativa”, nel senso di “riflessione filosofica”.

Il tempio concreto e reale, a cui fare riferimento, fu individuato in quello di Salomone, a Gerusalemme, antica sede dell’Ordine del Tempio: nel 1736, in una loggia di Parigi, lo scozzese André Michel de Ramsay pronunciò infatti il Discorso sui cavalieri crociati alle logge francesi, in cui si sosteneva l’origine della massoneria moderna da quella medievale, in possesso dei segreti dell’architettura sacra del Tempio di Salomone.

Si iniziava così, in maniera velata, a riscoprire la storia dell’Ordine del Tempio che, a detta di alcuni, aveva finanziato le compagnie di muratori incaricate di costruire le cattedrali gotiche.

Altre fonti, poi, parlano di templari che, per sfuggire ai soldati del re, trovarono rifugio nelle “logge” medievali, ossia negli edifici in cui venivano riposti gli attrezzi di lavoro e dove si riunivano i muratori; il termine fu poi mutuato dalla massoneria moderna per indicare i luoghi di adunanza degli affiliati.

Altri collegamenti fra le due Istituzioni provengono dalla Scozia, regione in cui il tesoro del Tempio sarebbe nascosto nella cappella di Rosslyn: le cinque casse provenienti da La Rochelle sarebbero prima transitate per la località scozzese di Kilwinning, dove nel 1140 era nata una loggia operativa e secoli più tardi sorgerà quella settecentesca.

Nel secolo “dei lumi", contemporaneamente alla nascita della massoneria, si accende un nuovo interesse per l’Ordine del Tempio, che genera il fenomeno del neo-templarismo.

Esso presenta molti punti in comune con la massoneria: le origini comuni nel Tempio di Salomone, un’etica cavalleresca e, secondo alcuni, anche il possesso di conoscenze iniziatiche finalizzate alla perfezione spirituale.

Nel 1705 il principe Filippo II d’Orléans, sulla base di un documento noto come Civada transmissionis, ricostituì l’antico l’Ordine del Tempio, assumendone la carica di gran maestro.

Si trattava di un atto per mezzo del quale Jacques de Molay, ultimo maestro legittimo, avrebbe trasmesso la sua carica a un fantomatico personaggio di nome Jean- Marc Larmenius, primo di una lunga serie di maestri occulti: sfortunatamente, per la maggior parte degli storici il documento è un falso, comunque privo di legittimità dal momento che il magistero era una carica elettiva.

Nonostante ciò, fiorirono in tutta Europa associazioni neo-templari, con rituali più o meno di stampo massonico e finalità di diversa natura, che affermavano di essere la diretta discendenza dell’antico Ordine.

L’interesse per i templari passò anche in America: nel 1919 alcuni ufficiali statunitensi, appartenenti all’Ordine dei cavalieri di Colombo, filiazione americana della massoneria, acquistarono il portale della chiesa di Saint Jacques de Beaune (Borgogna), dove Jacques de Molay era entrato nell’Ordine del Tempio, per trasportarlo a Boston; ora è conservato nel Metropolitan Museum of Art di New York.

4. Il Bafometto, idolo misterioso

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Nell’ordine di arresto dei templari, inviato da Filippo il Bello alle sue guardie, si affermava che essi adoravano “un idolo che ha la forma della testa di un uomo con lunga barba, la qual testa essi baciano e venerano durante i loro capitoli provinciali: ciò non è noto a tutti i confratelli, ma soltanto al gran maestro e agli anziani”: in sostanza un idolo senza nome, la cui descrizione era molto poco dettagliata.

Durante gli interrogatori uno dei testimoni, fra’ Raoul de Gizy, disse di aver visto questo idolo, così spaventoso e terribile da sembrare un maufé o maufez, termine in volgare francese che indicava il demonio: un altro templare, Gaucerand de Montpesant, parlò di un idolo che aveva la forma di un Baffomet, intendendo forse una figura diabolica.

Da queste e altre testimonianze, per errori di trascrizione degli atti inquisitoriali, l’idolo venne indicato come bafumetz o baphomet, che per alcuni poteva anche essere la corruzione del nome Maometto, a indicare che i templari erano diventati seguaci dell’Islam.

In effetti, molti cronisti dell’epoca utilizzavano questo termine per indicare il Profeta musulmano, come il conte Anseimo di Ribemont il quale, a proposito dell’assedio di Antiochia del 1098, scriveva che gli abitanti della città invocavano Baphometz; anche il trovatore templare Ricaut Bonomel, nel XIII secolo, ne parla in questi termini nel suo componimento Ira et dolor.

Se dunque si trovò un nome per l’idolo, rimase incerta la sua forma, poiché durante il processo ci fu una quantità di descrizioni così diverse le une dalle altre da rendere difficile un’identificazione precisa.

D’altra parte gli inquisitori non potevano basarsi altro che sull’ordine di arresto, in cui si parlava genericamente di una “testa d’uomo dalla lunga barba”; dal canto loro i templari, non avendolo visto, inventavano particolari e dettagli, più che altro per far contenti i loro aguzzini.

Ecco quindi che si ebbe una testa con quattro piedi, due davanti ai lati della faccia e due dietro, mentre un’altra testa era dipinta su una tavola; i materiali spaziavano dal legno all’oro, dall’argento al rame, anche se qualcuno disse di averla vista di legno, ma con l’esterno dorato o argentato.

Durante alcuni processi, come quello di Firenze, le differenze furono minime, quasi che i templari volessero adeguarsi a un modello, forse già stabilito dagli stessi inquisitori, che aveva la testa dalle fattezze umane, capelli neri e ricci, gola e collo dorato; qualcuno disse che era di colore bianco, altri che era di metallo o con una barba corta.

Molte testimonianze, inoltre, sia pure con qualche differenza, precisarono che questo idolo aveva dei poteri magici, essendo in grado di salvare i templari, di portare ricchezze all’Ordine e di far fiorire gli alberi e germinare la terra.

Nelle perquisizioni effettuate nei conventi e nelle proprietà dei templari non venne mai trovato un idolo del genere, tranne pochi reliquiari a forma di testa; durante il processo tenutosi a Cipro, nel quale non venne applicata la tortura, i templari precisarono che l’unica testa da loro venerata era quella di Santa Eufemia.

Alcuni studiosi ravvisano una rappresentazione del bafometto nella figura dipinta sulla tavola conservata a Templecombe (Comble Templariorum), anche se da altri viene accostata alla Sindone.

Alla metà degli anni Quaranta del secolo passato, nel piccolo villaggio vicino Salisbury, dove i templari si erano insediati nel 1185, la signora Molly Drew trovò nella legnaia un pannello di legno: su una facciata era dipinta, in rosso e blu, l’immagine di una testa barbuta e dai lunghi capelli, priva di aureola, con bocca e occhi aperti.

Nel 1987 la tavola fu sottoposta a un’indagine con il radiocarbonio, che accertò un intervallo di tempo compreso fra il 1280 e il 1440, con datazione intermedia al 1360, che metterebbe in discussione l’esistenza del pannello in epoca templare, senza però escluderla completamente.



5. La Sindone e i templari

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Una delle più grandi reliquie della cristianità è sicuramente la Santa Sindone, giunta da Costantinopoli fino a Torino, dove è custodita, attraverso numerose peripezie che vedono protagonisti, così sembrerebbe, anche i cavalieri templari.

All’indomani della conquista della capitale dell'impero bizantino, avvenuta nel 1204 in seguito alla Quarta Crociata, i vincitori spogliarono la città degli oggetti più preziosi di cui era immensamente ricca: tra gli altri, i quattro cavalli di bronzo, ora conservati nel museo della basilica di San Marco a Venezia, che in origine abbellivano l’ippodromo di Costantinopoli.

Tra le numerose reliquie, trafugate in Europa come bottino di guerra, figura anche la Santa Sindone, portata in Francia da uno dei capi della spedizione, il borgognone Othon de la Roche, che come ricompensa della sua partecipazione ricevette il ducato di Atene, oltre a impadronirsi anche “della più bella reliquia che esistesse a Costantinopoli”, almeno stando alle cronache del tempo.

Verso il 1205 Othon inviò il Sacro Telo in Francia a suo padre Pons II il quale, preoccupato dalla custodia di una così preziosa reliquia, la donò ad Amedeo di Trémelav, arcivescovo di Besangon.

Il 6 marzo 1549 un fulmine cadde sulla chiesa di Santo Stefano, dove era stato collocato il Lenzuolo, provocando un grave incendio che distrusse arredi e molte reliquie che vi erano conservate; in questa occasione si persero le tracce anche del Sacro Telo, non è chiaro se perché bruciato dal fuoco o perché sottratto da qualcuno che approfittò della confusione.

In ogni caso, una Sindone apparve nel 1356, quando i canonici di Lirey, in Champagne, la ricevettero in dono da parte di Goffredo I di Charny, il quale l’avrebbe avuta dalla seconda moglie, Jeanne de Vergy, pronipote di Isabelle de Ray (de la Roche), a sua volta discendente di Othon de la Roche, primo proprietario del Sacro Lenzuolo.

Da questo momento inizia la complessa storia della Sindone, anche con la comparsa di un secondo Lenzuolo, poi distrutto durante la Rivoluzione Francese, differente dal primo nelle dimensioni e nell’immagine dell’uomo raffigurato.

Inoltre la reliquia cambia di proprietà: per salvarla dalle distruzioni della Guerra dei Cent’anni, i canonici di Lirey la consegnano a Umberto di Villersexel, conte de la Roche, e a sua moglie Margherita, figlia di Goffredo II di Charny, la quale cedette la Sindone a Ludovico di Savoia, nel 1453, in cambio del castello di Varambon; i Savoia la custodirono inizialmente nel maniero di Chambéry, per poi portarla nel 1578 a Torino.

L’Ordine del Tempio non sembra essere collegato a queste vicende, anche perché molte si svolsero in periodi successivi alla sua soppressione; è però interessante notare come molti personaggi provengano da famiglie imparentate fra di loro, da cui discendevano illustri cavalieri templari.

A quella dei de la Roche, iniziale proprietaria della Sindone, appartennero Amaury, maestro dell’Ordine in Francia dal 1265 al 1272, e Philippe, precettore de La Rochelle, oltre a numerosi altri cavalieri citati negli atti del processo di Parigi.

Geoffroy de Charny, precettore di Normandia che morì sul rogo insieme a Jacques de Molay, era zio paterno di quell’omonimo che donerà la Sindone ai canonici di Lirey. In ultimo, il vescovo di Besangon, Amedeo di Trémelav, discendeva dal quarto maestro del Tempio, Bernard, che morirà nel 1153 durante il tragico assedio di Ascalona.

Oltre a queste curiose coincidenze familiari, nel tempo vennero formulate anche teorie fantasiose, soprattutto sull’identità dell’Uomo della Sindone, supponendolo un maestro dell’Ordine del Tempio: per alcuni potrebbe essere stato Guglielmo di Beaujeu, morto nel 1291 durante il grande assedio di Acri; altri sostengono si tratti dell’ultimo maestro templare, avvolto nel sudario prima di essere arso sul rogo.

Le ferite sul corpo sarebbero giustificate con i colpi ricevuti in battaglia, per Guglielmo, e con le torture, per Jacques de Molay.






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