Terapia Forestale (Forest Therapy): camminare nel bosco fa bene alla salute

Una passeggiata in una foresta, contemplando il paesaggio e respirando l’aria ricca di essenze, riduce l’ansia, fa bene al cuore e alle difese immunitarie e pare avere effetti positivi sul sonno. Si chiama terapia forestale e ha una solida base scientifica.
Sono sempre più numerosi gli studi che attestano come la frequentazione dei boschi sia fonte di benessere e abbia effetti documentati sulla psiche soprattutto per quanto riguarda l’ansia, ma anche sul sistema cardiocircolatorio e su quello immunitario.
La forest therapy, cioè la “terapia forestale”, è una disciplina che studia gli effetti preventivi e terapeutici delle foreste sulla salute, sulla base di solide evidenze scientifiche.

1. Una terapia

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Attraversare un bosco, per la maggior parte di noi, è qualcosa di temporaneo, quasi “accidentale”, perché l’obiettivo è un altro: per esempio raggiungere la cima di una montagna o un crotto dove ci attende una conviviale tavolata.

Oppure il bosco è semplicemente la cornice entro cui svolgere altre attività, come la raccolta di funghi o di bacche selvatiche, praticare alcuni sport o vivere “avventure” tra ponti tibetani e altre strutture che stanno purtroppo trasformando alcune foreste in luna park. È un modo “consumistico” di porci di fronte a questo elemento della natura.

Ci serviamo del bosco per i nostri scopi, senza pensare che il nostro passaggio lascia un segno: qualche animale scappa dal suo territorio sentendo il nostro odore e i rumori molesti che producono certe attività e si sottraggono all’ecosistema frutti o funghi alterandone l’equilibrio significativamente se siamo in tanti in una zona ristretta e così via.

Attraversare il bosco quindi non dovrebbe essere un’azione scontata, ma consapevole e piena di significato, e la scienza ci può aiutare a trovarlo.

Sono sempre più numerosi gli studi che attestano come la frequentazione dei boschi sia fonte di benessere e abbia effetti documentati sulla psiche soprattutto per quanto riguarda l’ansia, ma anche sul sistema cardiocircolatorio e su quello immunitario.

La forest therapy, cioè la “terapia forestale”, è una disciplina che studia gli effetti preventivi e terapeutici delle foreste sulla salute, sulla base di solide evidenze scientifiche. Nel 2020 l’ONU l’ha riconosciuta come una pratica di medicina preventiva.

L’approccio scientifico è molto importante e questa pratica, oltre che somministrata con l’aiuto di clinici, deve fondarsi su conoscenze derivanti da rigorosi studi sperimentali. Implica che a quanti seguono una terapia forestale sia obbligatorio spiegare quali sono le caratteristiche del bosco in cui essa viene praticata e come rispettarne la biodiversità per evitare che un nuovo “turismo della salute” arrechi danni irreparabili alla natura.

2. Lo studio CNR-CAI

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Una ricerca sperimentale condotta dall’Istituto per la BioEconomia del CNR (CNR-IBE) e dal Club Alpino Italiano (CAI), assieme alle Università di Parma e Firenze, all’Azienda unità sanitaria locale di Reggio Emilia e con il sostegno del Centro di riferimento regionale per la fitoterapia (CERFIT) di Firenze, ha indagato l’effetto dei monoterpeni – componenti degli oli essenziali emessi dalle piante e abbondanti nelle foreste – nel ridurre i sintomi dell’ansia.

Lo studio, che è stato pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, ha considerato 39 siti italiani tra montagna, collina e parchi urbani.

In base all’analisi di dati ambientali e psicometrici raccolti nel corso delle campagne svolte nel 2021 e nel 2022, è stato individuato e isolato l’effetto specifico dell’esposizione ai monoterpeni, in particolare all’alfa-pinene, sulla riduzione significativa dei sintomi di ansia.

Sono state identificate non solo soglie di esposizione, ma anche la correlazione tra la diminuzione dei sintomi e la quantità di monoterpeni inalati. I risultati mostrano che, oltre una data soglia di concentrazione di monoterpeni totali o anche del solo alfa-pinene, i sintomi di ansia diminuiscono a prescindere da tutti gli altri parametri, sia ambientali sia individuali.

Poiché questi composti sono emessi dalle piante, possiamo ora assegnare un valore terapeutico specifico a ogni sito verde, anche condizionato alla frequentazione in momenti diversi dell’anno e del giorno.

I monoterpeni sono per esempio molto più abbondanti nelle foreste remote che nei parchi urbani, sebbene con un notevole grado di variabilità: un prossimo passo sarà mappare e prevedere le relative concentrazioni. 

Lo studio ha valutato centinaia di partecipanti, coinvolti in sessioni standardizzate di terapia condotte in siti di tutta Italia, applicando metodi statistici della ricerca clinica.

Combinando sessioni di terapia forestale condotte da psicologi professionisti con tecniche avanzate di statistica, si è potuto dimostrare che, in certe condizioni, l’aria della foresta è davvero terapeutica: un traguardo importante per la progressiva adozione di pratiche sanitarie verdi.

3. Nei boschi italiani e piante balsamiche

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La pratica della terapia forestale deriva dallo Shinrin-yoku (“bagno nella foresta”) e nasce in Giappone, dove, dagli anni Ottanta, il Governo nipponico finanzia progetti di ricerca che studiano la possibilità di migliorare il benessere collettivo attraverso un più forte contatto con gli ambienti forestali.

La terapia comprende una passeggiata lenta nell’ambiente naturale e la contemplazione del paesaggio, tutto focalizzato sull’attenzione consapevole dei sensi all’interno del contesto forestale.

C’è un futuro per possibili applicazioni cliniche anche in Italia? Sì. I risultati ottenuti ci forniscono criteri oggettivi per individuare e qualificare anche in Italia stazioni di terapia forestale destinate a prestazioni cliniche.

È stato anche costituito un gruppo di lavoro interistituzionale e interdisciplinare per studiare gli aspetti “terapeutici” e “forestali” della terapia forestale in Italia. Per esempio, poiché è consolidato il legame tra stati di ansia e rischio cardiovascolare, questo ambito nell’immediato futuro sarà materia di ulteriori ricerche.

Sarà di certo capitato a molti di noi di osservare una bruma leggermente azzurrognola aleggiare al di sopra delle chiome degli alberi: è il cosiddetto effetto Tyndall – che prende il nome dal fisico irlandese che per primo lo studiò nella seconda metà dell’800 –, provocato da particelle sospese nell’aria che diffondono la luce.

Oggi sappiamo che in un bosco queste particelle sono composti organici volatili (COV) emessi dalle piante. Gli scienziati hanno identificato più di mille diversi COV forestali, ma quasi la metà delle emissioni è dovuta a un composto chiamato isoprene e il 35-40 per cento a vari terpeni, tra cui alfa-pinene e d-limonene, di cui sono molto ricche le conifere.

Le foglie sono la principale fonte di emissione diretta in atmosfera, soprattutto nei climi temperati come il nostro o sub-artici, in particolare nella stagione calda.

Per le piante i COV sono una difesa contro gli erbivori e i microrganismi patogeni, ma rap- presentano anche dei segnali di comunicazione che circolano tra una pianta e l’altra e possono attrarre gli insetti impollinatori. Sono infatti dei composti bioattivi, con un’attività biologica.

4. Molteplici effetti

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Diversi studi di laboratorio, condotti su cavia o su modelli cellulari, evidenziano come alcuni COV possano modulare il rilascio di varie citochine (molecole prodotte dalle cellule in risposta a uno stimolo), di varie sostanze mediatrici dell’infiammazione e di neurotrasmettitori.

Per questo si è ipotizzato che alcuni COV possano ridurre l’infiammazione e il dolore, migliorare il tono dell’umore, diminuire i livelli di ansia con benefici dimostrati anche sul “tecnostress” (lo stress correlato a un uso eccessivo dei dispositivi del sonno e forse anche potenziare il sistema immunitario.

Studi preliminari suggeriscono infatti che la terapia forestale è associata a una riduzione dei biomarcatori dell’infiammazione e a una stimolazione di alcune funzionalità del sistema immunitario, come per esempio la stimolazione del numero e dell’attività dei linfociti natural killer (NK) che riconoscono e distruggono cellule tumorali o infettate da virus.

Va sottolineato che l’entità di tutti questi effetti può essere più ridotta e limitata durante una breve passeggiata nel bosco perché la concentrazione dei COV è generalmente inferiore a quella indotta negli esperimenti di laboratorio.

Inoltre, la variabilità nella composizione dei COV nell’ambiente naturale e diversi fattori fisiologici incidono molto sulla reale disponibilità dei COV nel nostro organismo. In ogni caso, anche l’azione di rilassamento psicofisico indotta dalla permanenza nella foresta ha comunque effetti benefici.

In queste esperienze non è solo coinvolto l’olfatto che percepisce le sostanze emesse dalle chiome degli alberi, bensì tutti e cinque i sensi sono stimolati in modo sinergico. È la conclusione a cui è giunta, per esempio, una meta-analisi (analisi statistica che riassume i dati provenienti da diversi studi) condotta da ricercatori dell’Università di Parma e del Politecnico di Milano.

Secondo i dati raccolti, infatti, la prevalenza di colori come il verde, il blu e il marrone, assieme alle sagome arboree ripetute nello spazio, determina, nella corteccia cerebrale, stimoli che percepiamo come “familiari” da un punto di vista evoluzionistico, con un conseguente effetto anti-stress.

Inoltre, i suoni della foresta – prodotti dal vento tra le foglie, dal canto degli uccelli, dallo scorrere dell’acqua di un torrente – hanno un’azione rilassante. Secondo studi condotti sul senso del tatto, toccare il legno o le foglie di una pianta può stimolare indirettamente il sistema nervoso parasimpatico con un effetto anti-stress misurabile.

Infine è coinvolto anche il gusto: assaggiare i prodotti commestibili del bosco (bacche, frutti, erbe) può migliorare il nostro contatto con la natura, a patto che sappiamo riconoscere quali sono edibili.





5. Un aiuto contro l’asma e il dolore cronico, il sonno e la memoria

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Gli effetti positivi sembrano riguardare anche la durata e la qualità del sonno. Era già noto alla scienza che chi vive nei centri urbani ha un rischio il 20 per cento più elevato di sviluppare depressione, stress, ansia e disturbi del sonno rispetto a chi vive in campagna.

Ma ora si aggiungono i dati derivanti dagli studi di terapia forestale. Una ricerca coreana, per esempio, ha riscontrato un aumento dell’efficienza e del tempo totale di sonno in un gruppo di pazienti oncologici sottoposti a 6 giorni di terapia forestale.

Non solo. Sembra che i composti organici volatili che inaliamo quando passeggiamo nel bosco apportino benefici anche ai processi psicologici e cognitivi.

Da alcune ricerche è per esempio emerso che l’attività elettrica cerebrale di soggetti che passeggiano in una foresta, confrontata con quella di chi passeggia per il medesimo tempo in città, presenta dei segnali indice non solo di un maggiore stato di rilassamento e calma (ritmo alfa), ma anche di maggiore allerta e attenzione (ritmo beta) per lo svolgimento di compiti cognitivi.

Uno studio italiano sulla terapia forestale, che ha coinvolto diverse università e istituti di ricerca oltre che il CNR-IBE e il CAI, è stato condotto presso il lago di Misurina (Belluno), un’area densamente boscosa delle nostre Alpi, ricca soprattutto di conifere, con una bassissima concentrazione di inquinanti atmosferici.

La ricerca ha valutato se l’esposizione all’aria della foresta possa influenzare la funzione polmonare negli adolescenti (15-17 anni) asmatici. I primi risultati sembrano indicare che l’inalazione dei monoterpeni emessi dalle chiome degli alberi potrebbe avere un effetto positivo sull’asma, anche se sono necessari ulteriori approfondimenti per confermare i primi dati emersi.

Stare nel bosco allevia anche il dolore cronico! Uno studio della Inje University di Seoul ha indagato gli effetti di due giorni di terapia forestale su soggetti affetti da dolore cronico diffuso. Lo studio coinvolgeva due gruppi: uno sperimentale e uno di controllo.

Sono stati misurati diversi parametri tra cui la variabilità della frequenza cardiaca, l’attività dei linfociti natural killer, la percezione soggettiva del dolore, il livello di depressione, la qualità della vita.

I risultati hanno mostrato una sensibile diminuzione nella percezione dell’intensità del dolore, un miglioramento dei sintomi depressivi e della qualità della vita.








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