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5 imperdonabili errori militari

In battaglia l’elemento umano, il genio, l’intuizione o anche l’imperizia, l’imprudenza e l’ottusità sono spesso ben più determinanti dei mezzi, della tecnologia e del numero di uomini a disposizione.

L’errore di valutazione di un singolo comandante, infatti, può far precipitare le intere sorti della guerra, come ci dimostrano vari episodi della storia militare di tutti i secoli.

E non sono solo gli inetti a compiere errori fatali, ma anche geni della strategia bellica, come per esempio Napoleone Bonaparte

D’altronde, come disse Robert McNamara, segretario della Difesa americano durante la guerra in Vietnam, «Non conosco nessun comandante che non abbia mai sbagliato».

L’esito di una battaglia molto spesso dipende non dai mezzi a disposizione, ma dalle valutazioni tattiche dei comandanti. Ecco gli errori che hanno cambiato la storia.

 

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1. Mussolini e la campagna di Grecia (1940): fretta e invidia condannano l’esercito italiano

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Spezzeremo le reni alla Grecia”. Così affermò Mussolini il 18 novembre 1940, pochi giorni dopo l’immotivato attacco al neutrale paese ellenico: la realtà, invece, non poteva essere più diversa.

A spingere il Duce non erano tanto ragioni di ordine militare o politico quanto il desiderio di bene impressionare l’alleato tedesco; Mussolini, infatti, desiderava acquisire prestigio militare e controbilanciare le sfolgoranti vittorie di Hitler.

È con questi presupposti dunque che l’Italia si apprestò a una campagna scriteriata, inanellando un errore dopo l’altro: nonostante i generali consigliassero l’impiego di 20 divisioni dopo una preparazione di circa tre mesi, Mussolini in dieci giorni organizzò la partenza di sole otto divisioni.

Nell’elaborazione di una strategia, inoltre, il Duce si basava su supposizioni personali (suffragate dai consigli del genero, il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano), tutte errate.

Secondo lui, i greci, corrotti dai soldi di Ciano, non avrebbero combattuto contro l’invasore italiano (mentre, al contrario, essi difesero strenuamente la patria); gli inglesi, impegnati in Nord Africa, non sarebbero intervenuti in difesa della Grecia (Winston Churchill invece lo ritenne subito prioritario).

La Bulgaria avrebbe occupato parte della Grecia orientale (mentre il sovrano bulgaro, lo zar Boris III, non volle entrare nel conflitto); le truppe albanesi, parte delle divisioni italiane dopo la conquista dell’Albania, avrebbero combattuto al fianco degli italiani (invece gli albanesi disertarono quasi subito).

Come prevedibile, l’intervento italiano si risolse in un nulla di fatto e i tedeschi furono costretti a intervenire in Grecia, ritardando di cinque, fatali settimane l’attacco all’Unione Sovietica.

Nella foto sotto, il Duce Benito Mussolini, al centro con le mani in tasca, assieme ai gerarchi fascisti al fronte durante la campagna italiana di Grecia. A causa degli esiti disastrosi della guerra, Mussolini avvicendò al comando addirittura tre generali: Visconti Prasca, Soddu e Cavallero. Anche il cambio al vertice, tuttavia, fu inutile.

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2. Crasso a Carre (53 a.C.): la sua ambizione porta i Romani al massacro

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Quando le scelte di un condottiero sono guidate solo dall’ambizione personale, è facile compiere errori irreparabili.

Accadde a Marco Licinio Crasso, protagonista di una delle più clamorose sconfitte dell’esercito romano.

Nel 53 avanti Cristo, Crasso, l’uomo più ricco di Roma e triumviro assieme a Pompeo e Cesare, decise di guadagnare prestigio militare conquistando il regno dei Parti in Oriente (a differenza di Pompeo e Cesare, infatti, Crasso era noto soprattutto per il suo fiuto economico e per la sua fama di spregiudicato speculatore).

Con un esercito ritenuto imbattibile di circa 40mila legionari, Crasso avanzò attraverso il deserto siriano in una marcia lunga ed estenuante e incontrò i Parti nella piana di Carre (oggi Harran, in Turchia).

Qui i Romani si schierarono a quadrato preparandosi a dare battaglia corpo a corpo; i Parti, però, erano abilissimi cavalieri e sapevano addirittura scagliare frecce contro il nemico galoppando all’indietro (il cosiddetto “tiro alla partica”).

Nella piana, diecimila cavalieri Parti circondarono il quadrato romano e i soldati di Crasso divennero il facile bersaglio delle loro temibili frecce. Fu una disfatta ingloriosa che segnò la storia di Roma nei secoli a venire: morirono, praticamente senza combattere, 20mila Romani, tra cui lo stesso Crasso.

on la morte di Crasso, inoltre, Pompeo e Cesare si liberarono del rivale.

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3. Crécy (1356): la scelta delle armi sbagliate determina la sconfitta dei francesi

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Nella battaglia di Crécy (1356), una delle più importanti della guerra dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia, i cavalieri vennero sconfitti rovinosamente e lo scontro segnò la fine di un’epoca: dopo Crécy, infatti, le armi diventarono più importanti dell’abilità degli uomini.

Il 26 agosto 1346, circa 12mila arcieri inglesi, armati di arco lungo (longbow), sconfissero l’esercito francese di Filippo VI, composto da quasi 60mila uomini.

Le micidiali frecce inglesi provocarono un bagno di sangue; pur riuscendo a proteggersi grazie alle loro armature, i cavalieri venivano disarcionati dai cavalli, feriti ai fianchi, e morivano schiacciati, impedendo per di più l’avanzata dei compagni, subissati da una pioggia di frecce.

A Crécy morirono 10-30mila uomini, molti dei quali appartenevano alla nobiltà; tra questi vi fu anche re Giovanni di Boemia, alleato dei francesi, che, pur essendo cieco, si fece legare al proprio cavallo e si lanciò all’attacco in un ultimo, quanto inutile, gesto di coraggio.

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4. Napoleone a Waterloo (1815): sottovaluta il clima ponendo così fine al suo sogno imperiale

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Napoleone Bonaparte fu certamente uno dei più brillanti condottieri moderni (per alcuni studiosi è addirittura il più grande stratega militare della storia), come dimostrato nella fulminea campagna d’Italia del 1796 o nella battaglia di Austerlitz del 1805, ritenuta il suo capolavoro tattico.

Tuttavia, la sua genialità lo portò talvolta a sottovalutare gli aspetti logistici e il fattore climatico-ambientale (il caldo prima e il freddo poi giocarono un ruolo decisivo nella campagna di Russia del 1812).

Nel 1815 a Waterloo, un piccolo e fino ad allora sconosciuto borgo a sud di Bruxelles, il sogno di Napoleone si spense proprio per questo.

La conformazione irregolare del terreno, un susseguirsi di collinette e affossamenti, gli impedì di valutare correttamente la posizione dei nemici, mentre la pioggia caduta in mattinata, oltre a rallentare l’inizio della battaglia, rese il terreno fangoso impedendo così alle palle di cannone di rimbalzare al di là del crinale, dove si trovavano le truppe inglesi di Wellington.

La trasmissione degli ordini, inoltre, fu faticosa a causa della visibilità incerta (il fumo dei cannoni ricopriva la collina) e della distanza tra i diversi luoghi della battaglia.

Infine, nello scontro decisivo, Napoleone si affidò alle persone sbagliate: i generali Grouchy e Ney, due militari passati ai Borboni durante il suo esilio all’Elba e in seguito perdonati, non avevano esperienza di comando. La loro inefficienza si rivelò fatale.

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5. Von Moltke e la battaglia della Marna (1914): il suo piano fallisce perché troppo precipitoso

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Il piano dell’Alto comando tedesco, guidato dal generale Helmuth von Moltke, prevedeva di attaccare la Francia non superando il confine franco-tedesco, ma invadendo a ovest il neutrale Belgio e irrompendo così a Parigi.

Questa manovra aggirante era stata pensata già nel 1905 dal generale Alfred von Schlieffen e quindi era obsoleta; Von Moltke, inoltre, diminuì il numero delle truppe impegnate nell’invasione poiché non riteneva sicuro lasciare sguarnita la frontiera.

L’avanzata tedesca, dopo qualche rallentamento dovuto alla resistenza belga, sembrò sulle prime inarrestabile: il 5 settembre i tedeschi erano ormai a una sessantina di chilometri da Parigi e i comunicati parlavano di “vittoria totale”.

Ci si era, però, mossi fin troppo velocemente tanto che i rifornimenti faticavano ad arrivare e i soldati erano stremati.

I tedeschi sottovalutarono la situazione e si diressero a est di Parigi inseguendo il British Expeditionary Force, un piccolo ma agguerrito contingente inglese; fu a questo punto che i francesi fecero il cosiddetto “miracolo della Marna” (nome del fiume che scorre a est della capitale, dove organizzarono la controffensiva).

Concentrando le truppe, trasportate con i treni e addirittura i taxi parigini, bloccarono l’avanzata nemica. L’errore di Von Moltke mise fine ai sogni tedeschi di una rapida vittoria in terra francese; si combatté per altri quattro anni, in una guerra di posizione che costò milioni di vittime.

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Note

La vittoria più strana: i cavalieri vincono uno scontro navale!

Ciò che accadde il 23 gennaio 1795 al largo di Den Helder, porto settentrionale dei Paesi Bassi situato 80 chilometri a nord di Amsterdam, è un caso unico nella storia militare.

La flotta olandese si trovò improvvisamente bloccata dai ghiacci a causa di un repentino abbassamento della temperatura.

L’esercito rivoluzionario francese, impegnato contro la coalizione dei nemici della Rivoluzione (Gran Bretagna, Russia, Austria, Prussia, Regno di Sardegna, Repubblica delle Sette Province Unite, cioè gli attuali Paesi Bassi), venne a saperlo e pensò di approfittarne.

Da Amsterdam, dove si trovavano i francesi, partì subito un distaccamento di cavalieri e di fanti.

Nella notte del 23 gennaio, dopo aver fasciato gli zoccoli dei cavalli in modo da non svegliare per il rumore i marinai olandesi, i cavalleggeri francesi dalla costa si lanciarono verso le navi e le abbordarono, supportati dal fuoco della fanteria.

Presi alla sprovvista e bloccati tra i ghiacci, agli olandesi non restò che arrendersi, consegnando ai rivoluzionari a cavallo una flotta in mare.

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