6 leader rivelatisi inaspettatamente grandi

“Se le vostre azioni ispirano altri a sognare di più, imparare più, fare di più e trasformare di più, voi siete un leader”.

Ci sono persone che rispondono davvero all’altisonante descrizione dell’ottocentesco sesto presidente degli Stati Uniti, John Quincy Adams.

Persone che sembrano nate per questo: guidare uomini e nazioni, grazie al proprio carisma e a spiccate doti di comando.

Ma ce ne sono anche altre che, invece, a volte senza neppure volerlo, si trovano più o meno costrette ad assumere quel ruolo, in risposta a eventi imprevedibili.

Genesi di uomini e donne, più o meno comuni, che hanno saputo indossare la maglia del leader.

1. MASANIELLO - Il "Robin Hood" partenopeo

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"Questo Masaniello è pervenuto a segno tale di autorità, di comando, di rispetto e di ubbidienza, in questi pochi giorni, che ha fatto tremare tutta la città con li suoi ordini, li quali sono stati eseguiti da' suoi seguaci con ognipuntualità e rigore: ha dimostrato prudenza, giudizio e moderazione; insomma era divenuto un re in questa città", scriveva nel 1647 l'arcivescovo di Napoli a papa Innocenzo X.

Ma chi era quel Masaniello (1620-1647) degno di tanta ammirazione?

Tommaso Aniello d'Amalfi (detto Masaniello: contrazione di Maso, diminutivo di Tommaso, e di Aniello) era un pescivendolo napoletano, salito alla ribalta per aver capeggiato una rivolta popolare.

Tommaso, venuto alla luce in una misera abitazione vicino a piazza del Mercato, crebbe qui, tirando a campare tra i banchi di frutta e pesce, vessato, come ogni napoletano, dalle tasse sui beni di prima necessità che il governo del viceré imponeva.

Così, a furia di subire, il 7 luglio 1647 il bel Masaniello, temperamento focoso e stoffa da capopopolo, guidò una rivolta. Il pretesto era il rifiuto degli ortolani di pagare l'ennesima tassa ai ministri corrotti, ma l'idea di una sollevazione si era fatta largo già da tempo nell'animo dei popolani.

Con i compagni diede fuoco ai palazzi nobiliarie ai registri delle imposte. Le prigioni, svuotate, furono riempite dai figli dell'aristocrazia.

Dopo aver ottenuto l'eliminazione delle gabelle, pretese il riconoscimento della parità di diritti tra nobili e popolani. In pochi giorni il pescivendolo pronunciava discorsi, emanava proclami, legiferava, dava udienza a inviati reali e delegati del popolo, poteva persino porre il veto agli ordini del viceré.

Ma presto cominciò a essere ossessionato dall'idea di un complotto per toglierlo di mezzo. Nel frattempo, infatti, si era fatto parecchi nemici.

A tradirlo fu la persona di cui più si fidava, il suo "maestro"don Giulio Genoino, sacerdote dagli ideali rivoluzionari, che in tempi non sospetti lo aveva addestrato alla rivolta. Il 16 luglio 1647 Masaniello fu ucciso, poi decapitato e trascinato per le strade, infine gettato nei rifiuti.

2. ABRAHAM LINCOLN E GIORGIO VI

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- ABRAHAM LINCOLN - Self made man
La parabola di Abraham Lincoln (1809- L1865) va di pari passo con il mito dell'American Dream.
Lincoln, nato in una casa di tronchi del Kentucky, era un ragazzo di campagna, figlio di pionieri erranti inglesi, braccianti e analfabeti.
La famiglia, in cerca di fortuna, si trasferì nell'indiana dove il futuro presidente, incoraggiato dalla matrigna, studiò da autodidatta (amava i classici, dalle fiabe di Esopo a Robinson Crusoe) e pose le basi del suo talento per l'arte oratoria.
Resteranno infatti nella Storia i suoi discorsi, su tutti quello di Gettysburg (1863), sull'importanza della libertà e della democrazia, pronunciato durante la Guerra di secessione.
La voglia di emergere lo portò a studiare legge, fino a diventare avvocato, ma la sua passione fu la politica. Nel 1834 si unì al Partito liberale. In seguito, cominciò a maturare ideali sempre più radicali, come l'abolizione della schiavitù e l'applicazione del suffragio universale.

Dal 1854 si dedicò solo alla politica, aderendo alla coalizione abolizionista, poi confluita nel Partito repubblicano.
Lincoln, alto un metro e novanta, ma goffo e impacciato nel fisico, con il viso scarno e rugoso, ormai era un legale di successo e non aveva rivali nelle arringhe in tribunale.
Dal palco dei comizi sprizzava carisma e conquistava il pubblico, aggregando anche le fazioni più lontane tra loro; per questa sua dote entrò nella rosa dei candidati presidenziali.
Nel 1860 fu eletto 16° presidente degli Stati Uniti.
Dopo la sua elezione, Lincoln fu contrastato dagli Stati schiavisti del Sud, in uno scontro che culminò nella Secessione, da cui scaturì la guerra civile americana (1861-1865). Rieletto nel 1864, non lesinò gli sforzi per aiutare il Sud nella ricostruzione.
Ironia della sorte, il 14 aprile 1865, giorno in cui pronunciò un discorso a favore degli aiuti agli ex Stati secessionisti, fu assassinato da un sudista.

 

 

- GIORGIO VI - Un antieroe sul trono
Albert (1895-1952), detto Bertie, secondogenito del re Giorgio V e della principessa Mary di Teck, era considerato l'anello debole della famiglia.
Aveva solo un anno in meno rispetto al primogenito David, ma sembrava separarli un abisso. Il futuro principe Edoardo, ribelle e determinato, sembrava un eroe bello e maledetto, mentre "Bertie" era il classico "impiastro": timido e insicuro.
Cagionevole di salute fin dalla prima infanzia, Albert soffriva di mal di stomaco, aveva una piccola malformazione alle ginocchia e, cosa ancor più grave per un uomo pubblico, era balbuziente.
Da ragazzo entrò come cadetto nella Royal Navy, ma non ebbe mai un ruolo di primo piano nella Prima guerra mondiale, perché in quegli anni era piegato dall'ulcera.
Dopo una gioventù nell'ombra, a 28 anni Albert attirò per la prima volta l'attenzione su di sé per la "singolare"scelta di sposare la giovane Elizabeth Bowes-Lyon, esponente di un’antica famiglia di origine scozzese, ma considerata di basso rango per lui.
Una decisione poco convenzionale che il futuro re tuttavia portò avanti, rifiutandosi di rinunciare al suo amore per la ragion di Stato.
Nel 1936, inaspettatamente, Edoardo Vili abdicò in favore di Bertie per poter sposare l'ereditiera americana, già divorziata e risposata, Wallis Simpson.
Bertie, pur riluttante e preoccupato, nel 1937 accettò la corona diventando il grande re Giorgio VI che tutti ricordano per aver affiancato Churchill durante la Seconda guerra mondiale, rimanendo al suo posto anche nel 1940-41, quando Londra fu bombardata da Hitler, diventando così il simbolo della resistenza al nazismo.
Non solo il sovrano riuscì a tenere alto il morale alle truppe con i suoi memorabili discorsi, dopo aver sconfitto la balbuzie grazie alla logopedia, ma si guadagnò un posto nella storia britannica anche dopo la guerra.
Sotto il suo regno infatti venne estesa l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini (il welfare state), avviata la nazionalizzazione di ferrovie ed energia elettrica e innalzata l'età dell'obbligo scolastico.

3. RUTH WILLIAMS KHAM - Un amore che cambiò la Storia

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Lady Khama, o meglio Mohumagadi Mma Kgosi (in lingua tswana “regina madre") era una semplice impiegata di nome Ruth Williams (1923-2002), quando conobbe l'uomo con cui avrebbe combattuto e vinto la battaglia contro l'apartheid in Botswana.

Ma facciamo un passo indietro. Era una notte di inizio estate, in una Londra ancora devastata dalla Seconda guerra mondiale, quando la giovane andò al ballo che avrebbe cambiato la sua vita.

Qui conobbe il giovane Seretse Khama (1921-1980), erede al trono dell'allora protettorato britannico del Bechuanaland (oggi Botswana) e, ignara del suo ruolo, se ne innamorò.

Ruth non poteva sapere che a soli quattro anni Seretse era già re (con suo zio Tshekedi Khama reggente). Il giovane si era formato in Sudafrica, aveva proseguito gli studi di legge a Oxford e poi era approdato a Londra per diventare avvocato.

E proprio nella capitale inglese entrò in scena Ruth, di famiglia borghese, volitiva e indipendente, ausiliaria nella Raf durante la Seconda guerra mondiale e poi impiegata presso i Lloyd's di Londra (fu definita in seguito dai giornali, in tono sprezzante, "la dattilografa della City").

Dopo essersi frequentati per un anno a suon di jazz (passione comune), il 29 settembre 1948 si sposarono.

Ma portare a casa quel matrimonio fu un'impresa: dopo il veto dello zio reggente e la disapprovazione del padre della ragazza, persino il vescovo si rifiutò di acconsentire alle nozze, ma i due riuscirono lo stesso a sposarsi con rito civile a Kensington (Londra).

Ma il peggio doveva ancora arrivare, perché quelllrriverente unione interrazziale scatenò una furiosa reazione in Sudafrica e tra i capi tribù del protettorato del Bechuanaland.

L'ostinazione di Ruth nel portare avanti la sua coraggiosa storia d’amore divenne quindi il simbolo della lotta al potere coloniale e alle leggi sulla segregazione. Il governo sudafricano, infatti, aveva da poco varato le leggi sull’apartheid, che tra le altre cose vietavano i matrimoni misti.

Il primo ministro Malan fece pressione sul governo britannico perché destituisse Seretse Khama, e Londra decise che non voleva mettersi contro la potente nazione del Commonwealth.

Il Sudafrica, infatti, oltre ad aver appoggiato la Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale, rappresentava un alleato degli occidentali nella lotta contro l'espansione del blocco sovietico.

E siccome il Botswana, pur essendo un Paese povero, vantava giacimenti di diamanti e uranio, il governo di Sua Maestà fece di tutto per non perdere il controllo del protettorato.

Nel frattempo a Londra, la campagna denigratoria contro Ruth proseguiva: i giornalisti la seguivano e la spiavano anche mentre era in casa; un reporter addirittura descrisse la sua abitudine di tingersi le unghie di rosso, come prova della sua dubbia moralità.

Una volta tornata nel Bechuanaland la coppia continuò a subire forti ritorsioni, finché nel 1951 ne fu ordinato l'esilio in Gran Bretagna, dove vennero trattenuti altri cinque anni. I coniugi riuscirono a tornare in Africa nel 1956, ma in cambio il principe dovette rinunciare al trono.

L'inossidabile coppia non si arrese: grazie all'appoggio della moglie, nel 1961 Sereste Khama fondò il Partito democratico del Bechuanaland e nel 1965 vinse le elezioni, diventando il primo presidente dello Stato che cambiò nome in Botswana.

Approvò una nuova Costituzione che aprì la strada all'indipendenza dai britannici, sancita il 30 settembre 1966. Sempre sostenuto da Ruth, diede prova di buon governo, sviluppando una delle economie africane con la crescita più rapida al mondo, i cui profitti furono investiti per riformare sanità, istruzione e infrastrutture.

Quando Ruth morì, nel 2002, ventidue anni dopo il marito, fu sepolta di fianco a lui. La loro vita ha ispirato il film A United Kingdom - L'amore che ha cambiato la storia (2016).

4. CRISTIANO X DI DANIMARCA - Resistenza passiva

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Nel 1940, quando la Danimarca venne occupata dai nazisti, il re Cristiano X (1870-1947) si arrese il giorno dopo l'invasione senza opporre resistenza: sapeva di non poter schierare un esercito a difendere i suoi confini, così scelse di lasciare mano libera ai tedeschi per evitare un inutile massacro.

La Germania s'impegnò a mantenere l'indipendenza della Danimarca, che divenne così uno Stato neutrale sotto il controllo del Reich.

Hitler immaginava il conservatore Cristiano X, settantenne, come una marionetta nelle sue mani alla guida di un regno fantoccio. Ma si sbagliava.

Il monarca fu l'unico in Europa a opporsi apertamente alle leggi razziali, impedendo che nelle sue città venissero creati ghetti: tutti gli ebrei furono dichiarati cittadini danesi.

Appena si affacciò l'ipotesi di usare una stella di David per distinguere gli ebrei, l'anziano monarca dichiarò: "Se verrà utilizzata quella stella, allora la metteremo tutti".

A differenza degli altri sovrani nordeuropei, Cristiano scelse di non andare in esilio, ma restò saldo sul trono nella reggia di Copenaghen, continuando a girare a cavallo per le strade della città occupata, senza curarsi degli invasori.

Il 15 settembre 1943, il Fuhrer, stufo di essere "preso in giro" dall'anziano monarca, ordinò la deportazione degli ebrei anche dalla Danimarca.

Ma quando il 1° ottobre scattò il rastrellamento era troppo tardi, la popolazione danese, infatti, si era già mobilitata per trasferire gli ebrei con pescherecci clandestini verso la neutrale Svezia.

In questo modo quasi 8mila ebrei danesi vennero salvati dai campi di concentramento. Per questo motivo lo Stato d'Israele conferì il titolo di "Giusto tra le nazioni" alla resistenza danese.





5. GOLDA MEIR - Una nonna al servizio delle istituzioni

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A soli sei anni Golda Mabovk: (1898- 1978) fu costretta a scappare dall'ucraina per sfuggire ai pogrom, le persecuzioni antisemite che in quegli anni terrorizzavano i villaggi ebraici dell'impero russo.

Per mettere in salvo lei e la sorella, nel 1906, la madre decise di raggiungere il marito che era andato a cercare fortuna come falegname a Milwaukee (Usa).

Golda, cresciuta negli Stati Uniti, dovette lottare contro i genitori per continuare gli studi e a 15 anni iniziò la sua esperienza politica nel movimento laburista sionista.

Nel 1921 si trasferì con il marito in un kibbutz (fattoria collettiva) pressoTel Aviv, con l'idea di porre le basi di una nuova società ebraica. Alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo la Shoah, quando si crearono le condizioni, la Meir fu, nel 1948, tra i trenta firmatari che sancirono la fondazione del nuovo Stato.

Da quel momento la sua vita fu dedicata al consolidamento d'Israele, prima come ministro del Lavoro (’49-'56), poi degli Esteri (’56-'66). In questo periodo adottò il cognome Meier, derivato da quello del marito.

Nel 1966, a causa di un linfoma uscì dalla scena politica, ma per pochi mesi. Fu infatti richiamata a ricoprire il ruolo di segretario generale del Partito laburista: “Era l'unica chiamata a cui non potevo non rispondere", dichiarò.

Il 2 gennaio 1968 decise nuovamente di lasciare la politica per dedicarsi al ruolo di nonna, ma anche questa volta, l'improvvisa morte, a causa di un attacco cardiaco, del premier Levi Eshkol, la riportò di prepotenza sulla scena.

Il 17 marzo 1969 fu nominata Primo ministro di Israele e rimase in carica cinque "esplosivi" anni. Un'epoca segnata dalla strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, a cui la Meir rispose con l'operazione "Ira di Dio", affidata al generale Aharon Yariv.

Lo scopo dell'operazione era eliminare, suscitando la maggiore eco mediatica possibile, i terroristi palestinesi.

Una task force composta da 15 uomini del Mossad, il servizio segreto israeliano, avrebbe dovuto sopprimere una trentina di membri di Settembre Nero e di Al-Fatah in Europa e in Medio Oriente. Ma la prova più dura per la Meir doveva ancora arrivare.

Nel 1973 Israele, attaccato a sorpresa da Egitto e Siria, si trovò impreparato e subì molte perdite umane prima di vincere la guerra, chiamata dello Yom Kippur, la più importante festività ebraica, in corso durante l’attacco.

Nel 1974, nonostante fosse stato riconosciuto che il Primo ministro non aveva alcuna responsabilità nell'iniziale esitazione a rispondere all'aggressione,a 76 anni, rassegnò le dimissioni da premier e si ritirò definitivamente dalla vita politica.








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