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Quando il capo è un incubo: ecco come difendersi

Autorevole, intelligente, disponibile all’ascolto e in grado di valorizzare le idee dei dipendenti: è questo il capo dei sogni.

La dura realtà però è un’altra: nelle aziende e nelle organizzazioni, le leadership eccellenti sono più vicine all’eccezione che alla regola.

È molto più frequente ritrovarsi un superiore prepotente e arrogante, sentirsi un po’ come Fantozzi alle prese con il visconte Cobram. il “direttore totale”.

E questo per una ragione molto semplice: chi raggiunge un ruolo di potere quasi mai lo ottiene perché è una persona competente, brillante e con ottime capacità di leadership.

Più spesso ci arriva perché è bravissimo a farlo credere. Senza esserlo.

Inoltre, come ha sostenuto recentemente Adrian Fumham, docente di psicologia dell’University College di Londra e studioso delle dinamiche di management in The dark side of leadership (“Il lato oscuro del comando”), ai vertici delle aziende spesso siedono persone un po’… disturbate. Soprattutto sul piano dell’ego.

Quando il capo è un incubo non ascolta, maltratta e offende chi lavora con lui. Ma vuole essere adulato. Ecco come difendersi.

1. Come Narciso e i tratti vincenti

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  • Come Narciso
    Già nel 2003 due coach americani, David Dotlich e Peter Cairo, pubblicarono un libro sull'argomento (Why CEOs Fail ovvero “Perché gli amministratori delegati falliscono") attribuendo gran parte dei tracolli aziendali ai "tratti narcisistici" di chi occupava le posizioni di potere.
    Nella mitologia greca, Narciso era il fanciullo che si innamorava della propria immagine riflessa in uno stagno e passava il resto della vita a contemplarsi, fino a morirne.
    Il mito che serviva a mettere in guardia chi è troppo concentrato su di sé da possibili conseguenze dannose, fu ripreso da Sigmund Freud, che ne diede un’interpretazione ancora oggi alla base di un quadro clinico considerato molto invalidante, il disturbo narcisistico di personalità.
  • Tratti vincenti
    Molti leader, pur non soffrendo del disturbo vero e proprio, ne presentano alcune caratteristiche.
    Per esempio la grandiosità e l’eccessiva fiducia nelle proprie capacità. Chi è narcisista pensa di essere speciale e in grado di fare qualsiasi cosa.
    E mosso dalla “illusione del decatleta”: la convinzione di potersi cimentare in qualsiasi campo e ai massimi livelli.
    Chi presenta questi tratti (statisticamente più frequenti negli uomini che nelle donne) diventa più facilmente un capo, sia perché fa di tutto per ottenere una posizione di comando, sia perché sa convincere tutti di meritarla.
    Brillante, affascinante, mosso da un’ambizione sconfinata e da un’autostima ipertrofica, che lo porta a sopravvalutare i suoi talenti e a esagerare le proprie competenze, raggiunge i suoi obiettivi grazie al meccanismo della “profezia che si autoavvera”: è talmente sicuro di ottenere potere e successo che lo ottiene sul serio, anche perché la gente tende a pensare che una tale convinzione debba pur avere un fondamento.
    Insomma: chi è narcisista “si vende bene”, e poiché chi assegna i ruoli di leadership spesso lo fa sulla base di un'impressione generale, basata più sull’intuito che su analisi approfondite della personalità e della preparazione, la probabilità che un narcisista finisca per trovarsi a capo di un’azienda è tutt’altro che rara.
    E sul breve termine, la scelta può anche rivelarsi giusta. Del resto un certo grado di narcisismo è essenziale per un leader: l’energia, l’entusiasmo, gli aspetti istrionici e competitivi, la capacità di prendere iniziative e imporre visioni possono essere quello che ci vuole per dare una scossa a un’azienda in fase stagnante.

2. Fascino, carisma e autodistruttività

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  • Fascino e carisma
    La sicurezza in se stessi conferisce carisma.
    Dotato di ottime capacità dialettiche, il “capo narciso” è sempre il primo a parlare in un gruppo di persone, e lo fa con un fervore contagioso, perfino quando dice falsità o scempiaggini.
    Inoltre è molto abile nel mettersi in buona luce, poiché tende ad amplificare i propri successi e a scaricare le colpe di eventuali fallimenti sugli altri, risultando convincente perché è lui il primo a esserne convinto.
    Grazie a tutto ciò, è anche molto probabile che riesca a costruirsi, almeno in un primo tempo, uno stuolo di (sinceri) ammiratori.
  • Autodistruttivi
    L'idillio non dura a lungo, però, e prima o poi i nodi vengono al pettine. La leadership delle personalità narcisiste si caratterizza per il declino delle performance.
    Ben presto, infatti, vengono a galla i loro limiti.
    Pur sembrando colti e preparati, in realtà non lo sono affatto: la loro è una headline intelligence, cioè un'intelligenza superficiale, che si ferma ai titoli (headline) senza approfondire i contenuti, che fa scena ma è priva di sostanza.
    Inoltre non hanno la propensione all’impegno propria delle persone davvero valide.
    Incapaci di riconoscere i propri limiti e convinti di sapere fare bene tutto, poi, ignorano i feedback negativi, quindi non sono in grado di apprendere dagli errori (che non riconoscono) e più in generale dall'esperienza.
    Ma soprattutto i narcisisti sono incompetenti sul piano relazionale: con i dipendenti sono sprezzanti, sfruttatori, conflittuali. Finiscono così per portare le persone a dare il peggio di sé.
    Né si accorgono di essere detestati. Anzi, pur trattando male i dipendenti, si aspettano di essere accolti con il tappeto rosso: del resto il mondo è il loro palcoscenico.

3. Seggiolone presidenziale e cosa fare se capita a voi

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  • Seggiolone presidenziale
    Paradossalmente, tuttavia, la loro autostima è tanto smisurata quanto fragile
    Ipersensibili alle critiche, si sentono profondamente umiliati se qualcuno si azzarda a rilevare le loro lacune o a sottolineare i loro errori, esplodendo in accessi di rabbia incontenibile.
    Come un bambino di un anno scalpita nel suo seggiolone per ricevere attenzione e getta a terra cibo e posate quando non ottiene quello che vuole, così il leader narcisista pretende ammirazione e rispetto, aspettandosi dagli altri solo elogi, complimenti e indulgenza per le proprie intemperanze.
    Il riferimento all'infanzia non è casuale: si ritiene che chi è narcisista da bambino non sia stato amato in modo appropriato, ed è questa la ragione per cui, da adulto, continua a cercare ammirazione e approvazione.
    Può essere stato amato troppo, da genitori che l’hanno caricato di aspettative: da adulto si sente così obbligato a mantenere le promesse.
    Oppure è stato un bambino gravemente trascurato: il successo è quindi un modo per riscattarsi, per ribaltare la convinzione, mai del tutto sopita, di non valere nulla.
  • Se capita a voi
    Che fare, dunque, se ci si trova ad avere un capo con queste caratteristiche? La prima regola è non reagire mai alle sue provocazioni.
    Cosa non facile, perché il suo stile comunicativo può essere abrasivo, sadico e logorante: facile, dunque, sentirsi svalutati. Ma ripagarlo con la stessa moneta è rischiosissimo. È bene invece imparare a modulare la propria reattività: se ci si sente provocati, è essenziale mantenere autocontrollo e conservare tranquillità nel dialogo, evitando di amplificare la tensione.
    È possibile, invece, manifestare le proprie idee con fermezza ma in maniera pacata, atteggiamento che permette di guadagnare il suo rispetto.
    Talvolta il capo (specie se maschio nei confronti di dipendenti donne) usa la seduzione come strumento di potere, generando rabbia o paura in chi ne subisce le attenzioni. L’atteggiamento giusto, in questo caso, è l'ironia: fate capire chiaramente che non siete disponibili con una battuta, senza mostrare stizza o fastidio.
    Può essere un modo per conquistare la sua stima e bloccarne gli atteggiamenti prevaricatori.

4. Automotivarsi anche se c'è da capirlo a volte

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  • Automotivarsi
    È poi importante abituarsi a rinunciare a lodi e riconoscimenti.
    Potreste essere un membro importante del team, avere avuto un ruolo chiave nel perseguire obiettivi fondamentali: il vostro capo non ve lo dirà mai.
    Evitate di prenderla sul personale: fa così con tutti. Per mantenere salda la vostra autostima è bene che impariate a motivarvi e a riconoscere i vostri meriti da soli.
    Con lui però vale il contrario: se ambite a un aumento o a una promozione, o semplicemente volete essere ascoltato, riconoscergli valore può spianarvi la strada.
    Senza esagerare, però, per non alimentare la sua già smisurata autostima.
    Infine: non aspettatevi che nel lavoro vi dia una direzione chiara. In genere si aspetta che voi sappiate già che cosa dovete fare, per cui se avete qualche dubbio è meglio parlarne con lui per essere sicuri di non avere sottovalutato gli obiettivi.
    Anche perché, se poi sbagliate qualcosa, vi renderà la vita impossibile.
  • C'è da capirlo a volte
    - GIOCO DURO. Il ruolo del capo, però, è più scomodo di quanto sì creda.
    La crisi che investe tutti i settori fa sì che gli obiettivi organizzativi siano sempre più difficili da raggiungere, aumentando tensione e senso di frustrazione, con ritmi sempre più frenetici.
    Così, chi sta al vertice spende tutte le energie nel lavoro: non ha orari, è sempre reperibile, non stacca mai la spina.
    Ha i riflettori puntati, è sempre sotto la lente di ingrandimento di chi lavora per lui e deve dare il buon esempio ma può anche diventare il capro espiatorio di tutte le difficoltà. Infatti, a lui spettano le decisioni difficili e la responsabilità di scelte da cui dipende il destino dell’intera organizzazione.
    - SOLITUDINE. Per uno studio dell’Università Bocconi, l’83% dei dirigenti si dice consapevole delle conseguenze che le proprie decisioni hanno sui sottoposti (anche se solo il 59% dei dipendenti crede che questo sia vero).
    Un bel peso, a cui si può aggiungere un forte senso di solitudine. Specie quando ha attorno una corte di yes man che lo compiacciono solo per interesse o per evitare reazioni negative.
    Succede meno nelle organizzazioni moderne, dove le decisioni vengono condivise e si incoraggia il confronto aperto e sincero a tutti i livelli. Dà risultati migliori ma per il “povero” capo c’è il rovescio della medaglia.
    Quando le persone si sentono libere di far valere le proprie idee, possono nascere duri scontri che aumentano il carico emotivo del leader incaricato di gestirli.





5. Ingredienti per un leader efficace

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IL CAPO IDEALE
 Se siete stati fortunati, è possibile invece che abbiate come superiore un leader davvero capace, che oltre a vendersi bene sa mantenere le promesse.

Queste sono alcune caratteristiche del capo ideale.

  • Autostima: crede in se stesso e nelle proprie capacità. Ma è anche realista sui propri limiti.
  • Consapevolezza: ha le idee chiare ed è in grado di trasmetterle; ha una buona comprensione e gestione delle proprie emozioni.
  • Competitività: ama le sfide perché lo stimolano a raggiungere prima e meglio i risultati.
  • Rispetto: riconosce il valore degli altri e apprezza chi si esprime con lui in modo chiaro e diretto, anche in caso di verità scomode. Non ama, invece, l’adulazione.
  • Sensibilità: intravede le potenzialità altrui ed è bravo a valorizzarle per perseguire gli obiettivi del team. Condivide ogni successo con gli altri, sottolineando il ruolo e l’importanza di tutti.
  • Umiltà: accetta i consigli e i feedback negativi; è in grado di riconoscere i propri errori e di fare tesoro dei loro insegnamenti.
  • Responsabilità: sa assumersi i propri meriti, ma anche le proprie colpe. Un buon leader, infatti, si riconosce soprattutto da come gestisce le situazioni critiche e i fallimenti.







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