Come affrontare con fiducia le avversità nel mondo del lavoro (e non solo)

Tutti sappiamo che la vita è costellata di problemi. Affrontando e superando gli imprevisti che troviamo sul nostro cammino maturiamo e ci evolviamo a livello personale.

Gli ostacoli, quindi, vanno visti come un’opportunità di crescita, strumenti per migliorare le nostre capacità di adattamento. Anche le esperienze più traumatiche e difficili, se affrontate con lo spirito giusto, sono in grado di stimolare uno sviluppo interiore positivo.

A prescindere dall’atteggiamento che adotteremo in risposta agli eventi stressanti, dobbiamo sempre ricordare che è sbagliato rassegnarsi e che non dobbiamo mai cadere nell’illusione che la vita sarà tutta in discesa.

Questa errata aspettativa ha la grave conseguenza di rendere ogni problema, anche il più piccolo, un ostacolo insormontabile o comunque molto più difficile da superare.

In Psicologia Clinica si riconosce questo atteggiamento con il termine specifico di Disturbo dell’Adattamento, una sindrome caratterizzata da un sovraccarico di stress legato ad alcuni cambiamenti significativi della vita di una persona.

La sua percezione è quella di non avere le risorse necessarie per far fronte alle rinnovate richieste dell’ambiente, andando così incontro al fallimento.

Tale discrepanza è all’origine dell’ansia e del conseguente umore depresso, sintomi che, data l’intensità e la pervasività, provocano una notevole compromissione del normale funzionamento lavorativo e sociale e che, per tale motivo, non vanno sottovalutati, ma affrontati tempestivamente per evitare che possano sfociare in un vero e proprio episodio depressivo.

 

1. La resilienza

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Gli eventi che possono innescare una reazione di adattamento disfunzionale sono molteplici, per esempio un lutto, la separazione, il divorzio, le malattie, la prigione, la perdita del lavoro o un fallimento economico.

Occorre sottolineare che tali vissuti non si originano solo in presenza di eventi avversi, ma anche conseguentemente ad alcuni cambiamenti (promozione lavorativa, matrimonio, nascita di un figlio, ecc.), i quali, pur essendo considerati eventi lieti, non sono tuttavia privi di un notevole impatto sulla vita di un individuo, sotto l’aspetto pratico ed emotivo.

Essi richiedono, infatti, la riorganizzazione delle proprie abitudini, l’acquisizione di nuove competenze e la mobilitazione di maggiori energie psicofisiche. Può accadere a chiunque di attraversare un periodo difficile a seguito di questi accadimenti e non bisogna provarne colpa o vergogna.

La capacità chiave necessaria per rialzarsi dopo le “batoste” a cui la vita a volte ci espone è la resilienza, ovvero il processo di adattamento alle avversità, a un trauma, a una tragedia, a una minaccia, o a fonti significative di tensione.

Il termine è stato adattato in Psicologia, studiando i bambini che hanno subito gravi traumi e scoprendo che queste sofferenze non sempre definiscono il destino dei futuri adulti.

Il neologismo “resilienza” deriva infatti dal campo della fisica, dove indica la capacità di un materiale di resistere a forze dinamiche, come colpi o urti, assorbendo l’energia prodotta deformandosi in modo elastico e riuscendo ad ammortizzare il colpo.

Ciò non vuol dire che una persona non viva difficoltà o angosce. Il dolore emotivo e la tristezza sono comuni negli individui che hanno patito grandi avversità o traumi nella propria vita, ma attraverso la resilienza sono in grado di superarli riuscendo a dare un nuovo senso alla propria vita e limitando il dolore. La resilienza, inoltre, indica anche la capacità di ricostruire un ambiente individuale, sociale e fisico, dove poter “vivere bene”.

Esistono alcune caratteristiche mentali e comportamentali che possono aiutare lo sviluppo della resilienza e un rapido recupero della serenità; una di queste è senz’altro l’ottimismo, la disposizione stabile e generalizzata dell’individuo ad aspettarsi risultati positivi in tutti gli ambiti di vita, mantenendo però saldo un forte realismo ed evitando inutili fantasticherie. L’ottimismo serve a tutelarsi dal disagio, dalla sofferenza fisica, psicologica, incrementando allo stesso tempo il benessere dell’individuo.

Inoltre, grazie a questa caratteristica, è possibile mantenere una maggiore lucidità: in virtù di una visione più positiva, e tesa a sminuire gli ostacoli, questi non sono più percepiti come insormontabili. È più facile, infatti, per le persone ottimiste, vedere l’aspetto positivo di ogni evento, e questo le predispone a ricercare aiuto, appoggio sociale.

La persona pessimista, al contrario, tende a biasimare se stessa e gli altri evitando di lavorare sul problema. Grande importanza riveste l’autostima. Credere in sé aiuta ad affrontare i problemi: si è meno soggetti alle critiche e non si è condizionati dalle proprie insicurezze o dalla paura del fallimento.

La sicurezza ci rende in qualche modo più forti e ci stimola ad affrontare anche le situazioni più drammatiche. La flessibilità è altrettanto importante. In un mondo in rapida e continua evoluzione, risulta fondamentale la capacità di adattarsi a situazioni estreme (le restrizioni durante il periodo di pandemia Covid, la guerra, l’aumento del costo della vita, ecc.) .

Per trovare la calma occorre accettare che non si può avere il controllo su tutto; anche se non possiamo gestire determinate situazioni, potremo sempre e comunque decidere come agire e reagire.

Un altro fattore che facilita il recupero del benessere è senza dubbio il supporto sociale: avere una base solida di affetto, solidarietà (parenti, amici o caregivers) può fare la differenza. Avere qualcuno accanto ci rende più sicuri e pronti ad affrontare nuove sfide, inoltre, essere ascoltati ci permette di sfogare e superare il nostro dolore.

2. Interventi mirati per sviluppare la capacità di sopportare le avversità

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L’American Psychological Association suggerisce 10 mosse per potenziare e sviluppare maggiore resilienza:

- Impariamo a parlarci con amore.
Interrompiamo l’autocritica e l’autocommiserazione; non guardiamoci allo specchio per cercare difetti o fare paragoni con altre persone. Dobbiamo essere in grado di eliminare il dialogo interiore negativo, sostituendolo con pensieri più realistici e positivi. Impariamo a parlare con noi stessi infondendoci coraggio, sottolineando i nostri punti di forza, cercando tutto il bello che c’è in noi. Impariamo a dirci semplicemente: «Mi voglio bene».

- Evitiamo di vedere una crisi o un evento stressante come qualcosa di intollerabile e inaffrontabile.
Cerchiamo opportunità di scoperta e crescita dopo perdite o crisi. Consideriamo le crisi come momenti di cambiamento e di conoscenza personale.
Non possiamo evitare che accadano eventi che producono tensioni o che ci intristiscono, possiamo però cambiare il modo d’interpretarli scegliendo come agire o reagire.
Dobbiamo dare a noi stessi l’opportunità di conoscerci meglio continuando a investigare i nuovi aspetti che emergono della nostra persona.

- Accettiamo le situazioni che non possiamo cambiare.

- Sviluppiamo obiettivi realistici e concentriamoci sul loro raggiungimento anche se, talvolta, ci appaiono come piccoli risultati.

- Sviluppiamo sicurezza in noi stessi. Prendiamo decisioni, non rimaniamo immobili.
In situazioni avverse occorre agire anziché ignorare i problemi e le tensioni. Focalizziamoci solo sulle cose che possiamo fare, che possiamo cambiare e che possiamo migliorare, lasciando perdere tutto il resto.
Dedichiamo tutto il tempo e le energie a ciò che è sotto il nostro diretto controllo, lasciamo andare i rancori, la rabbia, il dolore e la paura perché non servono e non aiutano.

- Permettiamo a noi stessi di vivere le emozioni.
Sperimentare e vivere i turbamenti interiori è la cosa più sana e naturale che possa esistere nella prevenzione e nella cura delle malattie. Aggrapparsi alle emozioni per molto tempo, però, non ci permette di essere liberi.
Evitando la totale dipendenza, riusciremo a prevenire anche blocchi o patologie future. Anche se in un primo momento di sconforto è naturale e sano lasciare che il cuore prevalga, perché è il modo istintivo in cui il nostro corpo affronta gli eventi dolorosi, escludere il raziocinio è deleterio.

- Manteniamo buoni rapporti con i nostri familiari, amici e con le persone che frequentiamo.
È importante creare legami di qualità, accettare l’aiuto e l’appoggio che ci viene dato e di conseguenza la nostra vulnerabilità come esseri umani che hanno bisogno di affetto e, a volte, di sostegno.

- Manteniamoci nel qui e ora.
Quando si attraversa un momento di difficoltà è facile lasciarsi travolgere dalla nostalgia di un passato migliore, o fuggire in avanti posticipando le “cose” che dovremmo fare, ma questo atteggiamento ci impedisce di agire nel presente.
Senza perdere la speranza in un futuro migliore, è meglio vivere per qualche tempo “alla giornata”, cercando di ottimizzare le risorse e identificando quei piccoli passi che, gradualmente, ci porteranno fuori dal momento di crisi.

- Identifichiamo ciò che realmente desideriamo.
Spesso un momento di crisi è l’occasione per lasciar andare qualcosa di noi. I momenti di dolore ci invitano a fermarci per riflettere e rinnovarci. Ma per permettere alle nuove parti di noi di venire alla luce è necessario abbandonare ciò che appesantisce e non serve più alla nostra crescita.
Cosa dobbiamo lasciar andare? Emozioni, ruoli, aspettative, situazioni, modi di essere, abitudini? Molto spesso sono proprio le aspettative irrealistiche, o mal riposte, a causare le più grandi delusioni e sofferenze emotive.

- Curiamo il corpo e la mente con esercizio fisico, un’alimentazione sana e uno stile di vita regolare, imparando a soddisfare le nostre necessità e le nostre emozioni.
Scopriamo nuovi interessi e creiamo dei rituali quotidiani che alimentino una mentalità positiva e aiutino a riportare in noi il baricentro della nostra vita.

3. Delusioni nel mondo del lavoro

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Una delle situazioni che più frequentemente sono all’origine di stress e difficoltà è il mancato conseguimento di una promozione o un riconoscimento lavorativo a lungo atteso.

In questi casi emergono intense emozioni negative che si susseguono e si sovrappongono: in primo luogo l’incredulità e la delusione, unite a un senso di ingiustizia che a sua volta può generare intensi vissuti di rabbia verso i superiori, il collega premiato, l’intera azienda o anche verso se stessi.

Si diventa suscettibili e irritabili e si tende a interpretare in chiave negativa e persecutoria qualsiasi comportamento degli altri colleghi.

Tutto l’impegno che era stato investito nel proprio lavoro, e nell’obiettivo di migliorare la propria posizione, viene sostituito da un senso di svogliatezza, apatia, dissociazione; ci si sente un corpo estraneo all’interno di un ambiente che, fino a poco tempo prima, era così famigliare.

In alcuni casi si arriva anche a sviluppare un desiderio di vendetta arrivando addirittura (nei casi estremi) a sabotare dall’interno gli obiettivi dell’azienda, mettendo seriamente a rischio la propria posizione lavorativa.

Con il perdurare di questo stato d’animo, possono comparire marcati stati ansiosi, attacchi di panico, disturbi psicosomatici e depressivi che si ripercuotono spesso anche sulla sfera affettiva e sociale.

4. Reagire attivamente

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Tralasciando momentaneamente le situazioni estreme, è bene ricordare che esistono alcuni modi per reagire alla delusione evitando una significativa compromissione del proprio benessere. Vediamo insieme quali possiamo mettere in campo.

- Non agiamo impulsivamente.
È meglio lasciar passare almeno una notte prima di discutere con qualcuno. La delusione potrebbe essere troppo “fresca” e rischierebbe di farci agire in maniera sbagliata, impedendoci di instaurare una conversazione produttiva sui motivi per cui non abbiamo ottenuto la promozione.

- Parliamo con il nostro superiore.
Una volta “digerito” l’amaro boccone, chiediamo un confronto. Anche se non abbiamo ottenuto questa promozione, potrebbero esserci altre opportunità all’interno dell’azienda, inoltre potrà darci consigli specifici per migliorare le nostre probabilità di successo.
Manteniamo un tono amichevole e colloquiale, evitando di metterci sulla difensiva o di assumere un atteggiamento inquisitorio; in questa fase dovremo capire quali possono essere state le nostre lacune e quali sono le capacità o esperienze che possiede il candidato scelto.

- Accettiamo la sconfitta con dignità.
Restiamo cortesi con il collega promosso e congratuliamoci con lui appena lo incontriamo. Trattiamolo come vorremmo essere trattati noi se avessimo ottenuto questa opportunità. Manteniamo un atteggiamento amichevole ed evitiamo di mostrarci freddi o svalutanti. Molto probabilmente questa persona non ha colpe specifiche e non c’è nulla di personale nei nostri confronti.

- Affrontiamo il rifiuto con maturità e comprensione.
Se qualcuno ci chiede come stiamo, rispondiamo semplicemente che siamo delusi, ma che non molliamo e ci riproveremo. Evitiamo di fare pettegolezzi o di sfogare la nostra frustrazione con i colleghi.
Ai superiori potrebbe giungere notizia del nostro atteggiamento, con il rischio di compromettere ulteriormente la nostra posizione. È sicuramente maturo e signorile accettare l’insuccesso e riconoscere i meriti di colui che è stato premiato.

- Ascoltiamo un interlocutore esterno.
Chiediamo a un collega fidato, qualcuno sincero, come siamo visti nell’ambiente di lavoro. Potrebbero essere commenti difficili da digerire, ma si tratta di informazioni importanti per migliorare la nostra immagine eliminando gli atteggiamenti deleteri.

- Miglioriamo le nostre competenze.
Chiediamo al superiore di assegnarci un progetto in cui potremmo implementare le nostre capacità o, in alternativa, chiediamogli se conosce dei corsi di aggiornamento che potrebbero farci migliorare. Così facendo mostreremo propositività e spirito costruttivo.

- Proponiamo nuove idee. Dimostriamo loro che siamo ancora interessati a promuovere l’azienda e a far valere la nostra intraprendenza.





5. Ipotecare il futuro

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Durante le prime fasi di rifiuto e cocente delusione, le ultime persone che vorremmo vedere sono i nostri colleghi di lavoro. Tuttavia è essenziale evitare di isolarsi e venire percepiti come rifiutanti.

Sforziamoci di frequentare gli eventi sociali legati al lavoro, almeno quelli più importanti o quelli più gradevoli.

In alcuni casi, la mancata promozione potrebbe essere un’occasione per riflettere lucidamente sul proprio contesto lavorativo e sull’effettiva possibilità di realizzare le nostre ambizioni.

Se crediamo di non avere possibilità di crescita nella società in cui lavoriamo, potrebbe essere giunto il momento di cercare un altro impiego, ma senza cedere all’impulsività. In alcuni casi, uno spostamento in un nuovo reparto può preludere a un aumento di grado.

Proviamo a parlare con la nostra rete di contatti per conoscere le opportunità di lavoro, inviando e-mail ad amici e vecchi colleghi chiedendo se possono suggerirci impieghi per cui potremmo essere buoni candidati.

Tuttavia, fintanto che ci troviamo in una fase di stress, occorre affrontare le giornate lavorative pianificandole accuratamente dandosi delle priorità e concentrandosi solo su quelle, per non avere l’impressione di venire travolti dalle incombenze.

Se si presenta un problema, affrontiamolo lucidamente con una strategia che implica la valutazione delle diverse soluzioni possibili e del rapporto vantaggi/svantaggi di ciascuna di esse.

Per gestire l’ansia, oltre a un’eventuale terapia farmacologica, può essere molto utile imparare una tecnica di rilassamento. Ne esistono diverse, alcune più fisiche altre più filosofiche, ma tutte insegnano a reagire ai turbamenti emotivi in modo antagonista.

Occorre inoltre ricordare che non dobbiamo permettere al lavoro di assorbire completamente la nostra vita; non dobbiamo trascurare gli affetti, che costituiscono una grande fonte di autorealizzazione e benessere, ed è necessario riappropriarsi gradatamente di tutte quelle attività che abbiamo interrotto e che invece costituiscono un’importante fonte di svago e distensione. Il lavoro è importante, ma non è tutto.








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