James Cook: eroe o megalomane?

James Cook deve gran parte della sua fama al fatto di avere ridefinito i confini del mondo.

Grazie alle sue tre esplorazioni nel Pacifico, Cook offrì al vecchio mondo una conoscenza più ampia di quelle remote terre orientali.

Esplorando in lungo e in largo un oceano che si estende per quasi un terzo dell’intera superficie terrestre, disegnò le mappe di luoghi lontani, da sud a nord, dalla Nuova Zelanda fino alle coste delle stretto di Bering.

Come dichiarò uno dei suoi ufficiali, al ritorno dalla terza esplorazione: “ora, finalmente, conosciamo i confini dell’intero globo”.

Abilissimo navigatore, Cook era anche un uomo di forte carisma e profonda umanità, caratteristiche che gli consentirono di passare alla storia come il più grande esploratore del suo tempo.

I diari di bordo descrivono Cook come un comandante capace di conquistarsi con facilità la fiducia degli abitanti delle isole sulle quali approdava. Andava loro incontro disarmato e con le mani tese in segno di amicizia.

Ma dal suo diario di bordo sono scomparse le pagine che raccontano gli ultimi giorni alle Hawaii, prima che lui e alcuni dei suoi marinai cadessero vittime di un’aggressione degli indigeni.

Sono pagine decisive, spiega Glyn Williams, per capire chi era davvero l’uomo che gli inglesi considerano il più grande navigatore che il mondo abbia mai conosciuto.

 

1. Venerato quasi come un dio

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Quando, all’inizio del 1780, si diffuse la notizia della morte di Cook, avvenuta presso le isole Owhyee (il nome primitivo delle Hawaii), l’intera Inghilterra fu presa dallo sgomento.

La tensione crebbe di giorno in giorno, fino a quando le navi fecero ritorno in patria e fornirono il racconto degli ultimi giorni di vita del capitano.

Il resoconto inviato all’ammiragliato (via terra, attraverso la Russia) il 10 gennaio 1780 era stato redatto da Charles Clerke, capitano in seconda, che morì di lì a poco.

Riferiva che le navi “Resolution” e “Discovery” avevano attraversato un arcipelago sconosciuto, battezzato dallo stesso Cook Isole Sandwich (che in seguito sarebbero state ribatezzate col nome definitivo di Hawaii) e che nel 1779, sulla rotta del ritorno, avevano attraccato all’isola principale delle Hawaii, prima di approdare alla baia di Kealakekua.

L’accoglienza della popolazione indigena era stata, come aveva annotato Clerke, “la più calorosa che avessimo mai avuto”. Durante le settimane di permanenza sull’isola, i pontili traboccavano di carne di maiale e di frutta, e ogni volta che Cook scendeva a terra, gli veniva riservata la massima devozione, “quasi fosse un Dio”.

 

Tuttavia,a causa di un problema all’albero di trinchetto della “Resolution”, gli inglesi furono costretti a far rientro alla baia. Fu in quel momento che i rapporti con la popolazione dell’isola iniziarono a incrinarsi. La notte del 13 febbraio, la lancia della “Discovery” venne rubata.

Il mattino seguente, Cook e dieci dei suoi marinai scesero sull’isola per prendere il “re” Kalani’opu’u in ostaggio e, dopo un violento alterco con alcuni “nativi molto violenti”, Cook aprì il fuoco.

Ne seguì una reazione da parte degli indigeni armati di pietre, bastoni e pugnali e, prima che riuscissero a raggiungere la nave, Cook e alcuni suoi marinai vennero uccisi (sotto). 

 

La relazione di Clerke era molto concisa ed è plausibile che il capitano in seconda non ne sapesse molto di più. 

Il Conte di Sandwich, ministro della marina Britannica, riassunse brevemente il racconto di Clerke e lo consegnò alla stampa, annunciando che il capitano Cook aveva perso la vita “nel corso di una colluttazione con una folta schiera di ribelli indigeni”. 

Già tre mesi prima che la “Resolution” e la “Discovery” rientrassero in Inghilterra (nell’ottobre del 1780), l’ammiragliato aveva stabilito che sarebbe stato pubblicato un resoconto autorizzato del viaggio.

Sotto, il Cook's Cottage, la casa paterna di James Cook.

 

2. Le sue memorie furono un best seller

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Il decesso prematuro di Cook, 18 mesi prima della fine della spedizione, pose il problema della paternità del resoconto.

Nonostante ciò, si decise di pubblicarlo lo stesso, per assecondare il desiderio del pubblico e dare testimonianza di una spedizione tanto importante.

In tal modo si evitava anche che finissero sul mercato versioni non autorizzate, cosa che l’ammiragliato temeva molto.

La pubblicazione venne affidata a John Douglas, canonico di Windsor e St. Paul, già curatore dell’edizione del diario della seconda esplorazione di Cook, che doveva ora affrontare l’arduo compito di raccontare un’esplorazione conclusa senza il suo comandante.

Per la narrazione degli eventi successivi alla morte di Cook, si basò principalmente sul diario di bordo del capitano James King, che comandò la “Discovery” dopo la morte di Cook.

A causa di continui ritardi, dovuti soprattutto alla realizzazione delle incisioni a mano, passarono quattro anni prima che l’opera potesse vedere la luce. Nel frattempo, come l’ammiragliato aveva temuto, saltarono fuori numerosi resoconti non autorizzati.

Quello che ebbe maggior successo fu scritto dal luogotenente della “Discovery”, John Rickman, che descriveva Cook come una figura molto più rude e aggressiva rispetto a quella del comandante umano e pacifico delle prime esplorazioni.

 

Nelle pagine di Rickman, il Capitano era descritto come un uomo dal temperamento violento e facile all’ira, vendicativo verso l’equipaggio e talmente pieno di sé da costringere gli indigeni delle Hawaii a venerarlo come un dio.

Le versioni non autorizzate tendevano ovviamente al sensazionalismo, e un lettore della rivista “Monthly Review” si fece portavoce dell’opinione generale rifiutando simili “attacchi ingiustificati, petulanti e gretti sul conto del nostro grande navigatore”.

Finalmente, nel giugno del 1784, apparve il resoconto autorizzato del terzo viaggio di Cook, col titolo “a Voyage to the Pacific Ocean. Undertaken by the Command of his Majesty, for Making Discoveries in the Northern Hemisphere” (“esplorazione nell’oceano Pacifico con la supervisione di Sua Maestà, alla scoperta dell’emisfero settentrionale”).

Si trattava di tre volumi in quarto, di 1.617 pagine, e includevano un atlante e 87 mappe. La dedica recitava: “alla memoria del più esperto e noto navigatore che questa nazione e il mondo intero abbiano mai conosciuto”.

L’opera fu un best-seller e quasi tutte le copie vennero vendute il giorno stesso della pubblicazione. Chi non riuscì ad accaparrarsene una copia, si accontentò di edizioni “economiche”, o ne lesse gli stralci pubblicati sui quotidiani.

Sotto, mappa di Terranova disegnata da James Cook, pubblicata da Thomas Jefferys nel 1775.

 

3. Il mistero “della perdita di alcune pagine” manoscritte di Cook

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Nell’edizione ufficiale Douglas descrisse la calorosa accoglienza riservata a Cook quando sbarcò alla baia di Kealakekua, di come gli venne offerta la sacra veste rossa e di come, scortato dai sacerdoti che intonavano canti in onore del dio “Erono”, venne condotto al santuario per ricevere in dono un maiale.

Erono (o Lono) era il dio hawaiano della luce, della pace e della fertilità.

La descrizione della morte di Cook si basava sul racconto di King, senza alcun accenno alla versione di Clerke o di coloro che indicavano come fatale la scelta di Cook di aprire il fuoco per disperdere la folla.

La versione autorizzata, invece, si soffermava principalmente sul momento in cui Cook, dando le spalle ai suoi aggressori, si era rivolto ai suoi marinai ordinando loro di cessare il fuoco. E concludeva: “Non è improbabile che la sua umanità... gli sia stata fatale”.

Proprio questa immagine venne immortalata da John Webber, il pittore ufficiale della spedizione. La versione autorizzata della terza spedizione di Cook per mano di Douglas sancì definitivamente la fama del Capitano.

In una nota successiva alla pubblicazione del libro, Douglas affermò: “Il grande pubblico non ha idea di quanto mi sia debitore”. In effetti, recenti studi hanno confermato che egli apportò molte modifiche al diario di bordo, al fine di esaltare le qualità dell’esploratore.

 

Ritocchi del genere erano piuttosto frequenti all’epoca, ma ciò che è importante sottolineare è che nel diario di Cook non vi era traccia delle sue ultime settimane di vita e della permanenza alle Hawaii.

Il racconto si interrompe all’improvviso, a tre quarti del foglio, alla data 6 gennaio 1779, più di una settimana prima dello sbarco alla baia di Kealakekua.

Anche il diario personale di Cook, che copre i dieci giorni successivi, si interrompe al 17 gennaio, giorno in cui il Capitano approdò alla baia e venne condotto al santuario dai sacerdoti indigeni.

Sia il diario di bordo che quello privato vennero conservati dalla famiglia Douglas fino al 1872, anno in cui furono trasferiti al British Museum (per essere successivamente spostati alla British Library).

 

Quando le navi fecero ritorno in Inghilterra, venne segnalata “la perdita di alcune pagine” manoscritte di Cook, nel passaggio dall’ammiragliato a Douglas. È plausibile che si trattasse proprio delle pagine conclusive dei diari del Capitano.

Ma si avanzò anche il sospetto che fosse stata una scelta degli ufficiali di bordo, o dell’Ammiragliato, di eliminare quelle pagine. Si ipotizzò inoltre che fosse stato proprio lo stesso Douglas a “censurare” alcune parti che avrebbero potuto screditare la figura di Cook.

Infatti i lettori inglesi, perlopiù evangelici, avrebbero avuto grandi difficoltà ad accettare l’idea che il loro più grande navigatore pretendesse di essere adorato come una divinità.

Resta il fatto che nessuno dei membri della spedizione affermò mai, nelle proprie memorie, che Cook fosse adorato come un Dio. Tutti utilizzarono giri di parole, ad esempio “gli si avvicinarono come per adorarlo”, ma nessuno arrivò mai direttamente alpunto.

Mancando una testimonianza diretta del Capitano, non sapremo mai se egli subì la venerazione degli indigeni o addirittura la sollecitò.

 

4. Il diario misteriosamente interrotto

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È difficile credere che il diario di bordo sia stato deliberatamente distrutto, dato che in troppi avevano interesse a possederlo.

Resta da spiegare, però, il motivo per cui Cook interruppe la narrazione così improvvisamente.

Nelle sue ultime note, il grande navigatore scrisse che il 17 gennaio 1779, appena sbarcato,“Touahah (il sacerdote Koa) mi prese per mano e mi condusse ad un grande Morai (santuario), insieme ad altri cinque o sei indigeni dell’isola”.

Si suppone che Cook abbia scritto questa annotazione la sera stessa, subito dopo aver fatto ritorno sulla “Resolution”. Ma si interruppe poche righe dopo. Non sappiamo quando riprese in mano la penna e la ragione di quella brusca interruzione.

È inverosimile che Cook non abbia più annotato gli eventi successivi a quel giorno (non aggiornare il diario di bordo era inconcepibile per un navigatore), ma è certo che molte delle pagine sono scomparse.

 

Sia Douglas che l’Ammiragliato hanno delle evidenti colpe in questa vicenda. Douglas si appropriò di documenti che non gli appartenevano, mentre l’ammiragliato non si preoccupò di riprenderseli.

Se mai ci fu una cospirazione, fu quella del silenzio: nessuno dei protagonisti si spese abbastanza per chiarire la causa della scomparsa di quei documenti.

In particolare, appare strano che James King, autore dell’ultimo volume del racconto ufficiale, affermasse di aver visto “il manoscritto il giorno dopo la morte del Capitano”, ma non abbia mai avuto nulla da dire riguardo all’intera faccenda.

La scomparsa delle memorie del capitano permise a Douglas, al re e all’ammiragliato di raccontare la permanenza di Cook alle Hawaii come a loro più conveniva.

L’edizione di Douglas era una vera e propria apologia più che il racconto di un’esplorazione che presentava molti lati oscuri. Fu questa “congiura” a far sì che Cook apparisse come l’eroe-martire, immagine che solo negli ultimi anni è stata messa in discussione.

Sotto, una versione ritagliata del dipinto originale di Cleveley che è stato scoperto nel 2004 e raffigurerebbe il Capitano Cook come un uomo violento.

 





5. Una vita in mare

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James Cook nacque a Marton, nello Yorkshire, nel 1728 e, prima di arruolarsi nella Royal Navy nel 1755, lavorò per qualche tempo al porto di Whitby sulle navi carboniere.

Dopo aver prestato servizio nell’esercito durante la guerra dei sette anni contro la Francia, Cook si impegnò per cinque estati (1763-1767) a tracciare le mappe della costa dell’isola di Terranova, per poi assumere il comando della prima spedizione nel Pacifico (1768-71).

Ufficialmente il suo incarico era quello di osservare il transito di Venere (il pianeta) da Tahiti, ma non perse l’occasione di esplorare le coste semisconosciute della nuova Zelanda e dell’australia orientale.

Questo importante traguardo venne superato nel corso della seconda spedizione (1772-5) quando, avvicinandosi come mai nessuno prima al Polo sud e disegnando le mappe del Tonga e della Georgia del sud, riuscì a dimostrare che lì finiva il mondo e che non esisteva nessun continente più a sud.

 

Fu evidentemente l’esplorazione navale più perfetta della storia, durante la quale non si contò nemmeno un morto.

Nel 1776, Cook salpò per il terzo viaggio, alla volta del Pacifico settentrionale, deciso a scoprire il passaggio a nord-ovest.

Purtroppo fallì nell’impresa, ma riuscì a compiere la prima esplorazione accurata della costa dell’america nord-occidentale e a scoprire le isole Hawaii.

Proprio qui, “il più grande navigatore d’Europa” (come venne definito dall’ammiragliato), trovò la morte il 14 febbraio 1779.

Sotto, le rotte dei viaggi di James Cook. Il primo viaggio è mostrato in rosso, il secondo in verde, il terzo in blu.

 








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