Samurai: guerrieri invincibili e custodi della tradizione nipponica

Guerrieri invincibili e custodi della tradizione nipponica, i samurai sono noti in tutto il mondo grazie al cinema e alla letteratura che ne hanno tramandato le eroiche gesta.

Non sempre, però, libri e film rispecchiano la vera storia di questi uomini che per secoli hanno condizionato il potere in Giappone, come spiega nel suo libro Samurai. Una breve storia (Il Saggiatore) Michael Wert, professore di Storia dell’Asia Orientale alla Marquette University (Wisconsin, USA), specialista di storia del Giappone moderno.

I samurai rimangono figure leggendarie che incarnano l’ideale del guerriero onorevole, con il loro codice d’onore, le abilità marziali e la loro impronta indelebile sulla storia e la cultura del Giappone.

La loro eredità continua a ispirare e affascinare sia nel Giappone che nel resto del mondo, preservando la loro memoria come esempio di coraggio e dedizione.

1. I guerrieri dell'VIII secolo. Shogun e shuganato

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I guerrieri giapponesi antenati dei samurai risalgono alla fine dell’VIII e all’inizio del IX secolo, quando il primo Stato giapponese adottò la struttura amministrativa e l’organizzazione militare della dinastia cinese Tang (618-907).

All’esercito di leva si affiancarono guerrieri specializzati, cioè una milizia in grado di garantire al governo diverse attività militari e di polizia sul territorio, ricevendo in cambio rendite sulle tenute e il diritto di riscuotere tasse dai loro abitanti.

Inizialmente questi guerrieri non avevano una vera e propria organizzazione. "Alcuni si riunivano in bande armate, fondate su legami di parentela, lealtà personale o nemici comuni.

Altri cooperavano per conto di famiglie nobili che vivevano nella capitale, per funzionari provinciali o per signorotti locali”, scrive Wert nel suo saggio.

Le cose cambiarono quando salì al potere lo shogun Minamoto Yoritomo (1147-1199), un dittatore politico e militare uscito vincitore della Guerra Genpei (1180-1185), in cui clan rivali di guerrieri nipponici si erano scontrati per prendere le redini del Giappone.

Come sottolinea lo storico Wert, al termine del conflitto “l’imperatore non ebbe altra scelta che riconoscere Yoritomo guerriero dominante del Giappone, nominandolo commissario, cioè shugo di tutte le province.

Riconobbe il suo diritto di nominare guerrieri come amministratori delle tenute in tutto il Paese”.

Nacque così il primo shuganato, cioè un regime dittatoriale guerriero che avrebbe governato il Giappone fino al 1868, influenzando l’ascesa e la caduta dei diversi imperatori che si susseguirono.

2. Un clan chiuso ed esclusivo. Il suicidio rituale: l’harakiri

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A partire dal XII secolo, dunque, i samurai (termine che deriva dal giapponese samurau o saburau e che significa “essere al servizio di”) assunsero sempre più le sembianze e le caratteristiche di un gruppo sociale esclusivo e chiuso come un clan, distante dal governo centrale di Kyoto.

Che fossero al servizio di un governatore di una provincia (cioè un daimyo, il feudatario locale che rispondeva allo shogun) o presso un nobile famiglia, essi alternavano periodi belligeranti ad altri in cui svolgevano attività quotidiane come la riscossione delle tasse (attività molto remunerativa) o anche la semplice agricoltura.

Inizialmente non tutti godevano di una posizione sociale ed economica rilevante, ma ben presto la situazione cambiò. Infatti, dopo aver respinto i tentativi di invasione (nel 1274 e nel 1281) di Kublai Khan, nipote di Gengis Khan e leader dei mongoli, i samurai diventarono pedine fondamentali nelle lotte interne che dilaniarono il Giappone dal XIII e XIV secolo.

Il loro ruolo divenne importante e decisivo. Grazie alle alleanze tra clan, infatti, i samurai potevano gestire il potere nipponico cambiandone i vertici, mentre scendevano sul campo di battaglia anche per i propri interessi personali e non solo in favore del daimyo a cui erano legati.

Espandere e difendere il proprio territorio di competenza diventò uno degli obiettivi principali di ciascuno di essi e tutti adottarono uno stile di vita caratterizzato da una filosofia articolata e suggestiva.

Esemplari, a tale riguardo, suonano ancora oggi le indicazioni tramandate negli insegnamenti di Hojo Soun, un guerriero del XV secolo: “I suoi precetti si diffusero in tutti i ranghi militari e nelle terre sotto il suo dominio”, scrive Wert che riporta nel suo saggio alcuni dei suoi più aforismi.

Fa parte di questa filosofia anche l’harakiri (foto sotto), l’iconico suicidio che per ragioni diverse – evitare la pena capitale in caso di condanna, protestare per un’ingiustizia subita o anche manifestare il proprio cordoglio per la morte del signore presso il quale servivano – i samurai potevano attuare con la propria spada squarciandosi il ventre.

3. La via del cavallo e dell’arco. I primi archibugi

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Parlando di armi, esistono alcuni miti da sfatare e uno riguarda proprio la mitica katana, la spada comunemente associata ai guerrieri giapponesi.

In realtà, per un lungo periodo le armi principali scelte dai guerrieri furono l’arco e le frecce e non la spada: “L’espressione ‘la via del cavallo e dell’arco’ percorsa da questi antichi e gloriosi guerrieri (kyuba no michi) si riferiva alle arti militari in senso ampio, a dimostrazione del fatto che il tiro con l’arco a cavallo fosse un’attività largamente diffusa”, commenta Wert.

Le battaglie, infatti, si svolgevano essenzialmente tra guerrieri a cavallo, accompagnati da soldati di fanteria, che si fronteggiavano o cercavano di disarcionare i cavalieri dell’avversario.

Le prime schermaglie della battaglia erano principalmente costituite da un fitto lancio di frecce verso i cavalieri avversari o contro i fanti dei nemici. “Gli armamenti”, prosegue Wert, “comprendevano picche (chiamate anche lance), alabarde, balestre, scudi, asce, grossi mazzuoli, lunghe armi a rastrello (conosciute come artigli d’orso) e persino pietre”.

Ma la spada? C’era, ma fino al XIV secolo non veniva usata spesso: pesante e poco maneggevole, era impiegata per colpire le zampe dei cavalli avversari oppure per affrontare il nemico in uno scontro corpo a corpo, ma non era l’arma preferite dai samurai.

A partire dal XV secolo giunsero in Giappone anche i primi rudimentali archibugi che i samurai utilizzavano nelle loro battaglie per attaccare. In combattimento indossavano un’armatura costituita da placche di legno laccato intrecciate insieme con qualche rinforzo metallico sul petto e imbracciavano uno scudo di legno.

“Gli elmi variavano a seconda dello status del guerriero. Erano realizzati con diversi materiali, tra cui ferro, acciaio, piastre di metallo rivettate insieme”, segnala Wert.

Le sfarzose armature che si possono oggi ammirare nei musei di tutto il mondo in realtà furono usate dai samurai per le parate militari oppure in esposizione in casa.

4. L’importanza della religione. Quando deposero le armi

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I samurai non erano però unicamente dediti alla guerra: lo dimostra l’addestramento al quale erano sottoposti, che spesso avveniva in ambienti buddhisti o shintoisti, evidenziando uno stretto legame tra guerra e religione.

Non è raro, infatti, trovare armi di samurai con incisioni in sanscrito di testi religiosi che si suppone li proteggessero dal male: “Per un guerriero che si apprestava al combattimento, le invocazioni e le immagini del buddhismo esoterico contavano più della meditazione zen. Studiavano incantesimi o li imparavano da altri guerrieri e monaci”, dice Wert.

Tra gli dei che i samurai veneravano figurano il buddhista Marishiten (che porta un assortimento di armi nelle sue sei mani mentre cavalca un cinghiale) e Hachiman: se questi dei apparivano in sogno prima della battaglia era un buon presagio.

L’addestramento iniziava a 3 anni! La vita di un futuro samurai richiedeva un serio e costante impegno sin dalla più tenera età: a 3 anni si iniziava l’addestramento e fino ai 7 anni, completata l’alfabetizzazione, si imparava a non avere paura della morte, a obbedire al proprio signore e a praticare esercizi per il controllo della mente e del corpo (kata).

Negli anni successivi il futuro samurai doveva esercitarsi con arco, frecce e spada (in legno e metallo leggero) per essere pronto all’esordio in battaglia, che poteva avvenire anche a 12 anni, combattendo nelle retrovie. I samurai apprendevano anche a leggere e conoscere i testi classici cinesi e i racconti di guerra giapponesi, nonché i principi dell’etica e il significato dell’essenza guerriera.

Molti samurai, inoltre, erano appassionati di poesia, che serviva loro soprattutto per dimostrare di conoscere la letteratura classica cinese e giapponese. Fu sempre grazie ai samurai che presero piede in Giappone la tradizionale cerimonia del tè e il teatro.

Quando le guerre interne del Giappone lasciarono il posto a una pacificazione (iniziata nella seconda metà del 1500 e giunta all’apice nel corso del 1800 con l’apertura del Paese verso l’Occidente e la modernizzazione della società), i samurai non ebbero più ragione di esistere.

Molti di loro deposero le armi e vennero assorbiti nella società civile diventando burocrati, insegnanti, artisti o contadini. Nel 1869 la loro casta fu definitivamente abolita, segnando la fine di un’epoca e l’inizio di un mito.

In combattimento (foto sotto) i samurai indossavano un’armatura costituita da placche di legno laccato intrecciate insieme con rinforzi metallici sul petto. Gli elmi erano realizzati in ferro, acciaio, piastre di metallo rivettate insieme.





5. Quattro principi fondamentali per essere un buon samurai

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Ecco alcuni degli insegnamenti della filosofia dei samurai. A scriverli fu Hojo Soun, un guerriero del XV secolo:

- “Alzatevi al mattino presto. Se vi svegliate tardi, i vostri servitori saranno negligenti e non vi saranno utili. I vostri affari pubblici e privati saranno in disordine. Il vostro signore vi abbandonerà. Pensateci bene”.

- “Non pensate di dover avere spade e vestiti eleganti come tutti gli altri. Assicuratevi solo che non appaiano sciatti; è sufficiente. Sarete ridicolizzati se prenderete in prestito ciò che non avete o vi sforzerete troppo per queste cose”.

- “Scegliete buoni amici tra coloro che sono bravi a scrivere, e a imparare in generale. Gli amici sbagliati, da escludere, sono quelli che giocano a go, shogi (una forma di scacchi), che suonano il flauto o lo shakuhachi (un flauto di bambù). Non c’è da vergognarsi a ignorare queste attività. Sono semplici modi per passare il tempo libero. Il bene e il male di un uomo sono determinati dalle amicizie che coltiva”.

- “Sicuramente dovreste conoscere le vie della cultura (bun) e della guerra (bu), oltre alle arti militari (letteralmente, ‘arco e cavallo’); non c’è bisogno di aggiungere altro. Fin dall’antichità, la regola vuole che la cultura civile si trovi sulla sinistra e l’apprendimento militare sulla destra; devono essere esercitati entrambi”.








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