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Saper conversare: 5 consigli per trasformarsi in ottimi “parlatori”

Può succedere di essere invitati a una festa, ma di non conoscere quasi nessuno a parte il padrone di casa.

Tutt’attorno, gli invitati chiacchierano amabilmente, e ci si sente in imbarazzo. Se vi è capitato di trovarvi in questa poco piacevole situazione, siete in buona compagnia.

Per molte persone, soprattutto i più timidi, socializzare con gli sconosciuti può diventare un’impresa quasi impossibile, specie dopo il lungo periodo nel quale abbiamo dovuto limitare al massimo i contatti interpersonali a causa della pandemia di Covid-19.

In realtà, però, padroneggiare l’arte della conversazione non è poi così difficile, e può rivelarsi un grande vantaggio.

Ma come fare per diventare degli amabili chiacchieroni? Ecco alcuni consigli molto utili.

 

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1. BENESSERE IN AUMENTO

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«A prima vista la chiacchierata informale, detta “small talk”, potrebbe sembrare un’attività superflua, ma è invece essenziale per cementare il senso di appartenenza a un gruppo sociale», spiega lo psicologo Maurizio Brasini, fondatore dello studio di Psicologia e Psicoterapia Psiconet di Roma.

«Secondo alcuni studiosi evoluzionisti, la conversazione frivola deriverebbe direttamente dall’attività di “grooming” con cui i gruppi di primati si spulciavano a vicenda, comportamento da cui nacque la comunicazione e, in seguito, il linguaggio».

Una azione che serviva proprio a cementare i legami sociali e a cercare alleati tra i membri del gruppo.

Discorsi evolutivi a parte, sull’argomento la scienza parla chiaro: lo small talk aumenta il benessere, l’autostima e il buon umore. In uno studio pubblicato nel 2013 sulla rivista Social Psychological and Personality Science, i ricercatori della British Columbia University di Vancouver (Canada) hanno reclutato alcune persone in procinto di entrare in un bar, ordinando ad alcuni di scambiare qualche parola con il barista e ad altri di ordinare un caffè senza interagire ulteriormente.

Ebbene, il primo gruppo ha riferito di aver lasciato la caffetteria con un umore migliore, sentendosi un po’ più in sintonia con la propria comunità.

Non bastasse, i risultati dello studio suggeriscono che sebbene molti individui siano spesso riluttanti a iniziare una banale conversazione con un estraneo, il risultato finale della loro interazione li rende quasi sempre soddisfatti, a prescindere dalle differenze caratteriali tra introversi ed estroversi.

 

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2. TENTAR NON NUOCE ED ESSERE CURIOSI

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I benefici psicologici della socializzazione sono quindi indubbi, ma superare l’iniziale imbarazzo non è sempre una passeggiata.

«Va detto: la figuraccia non è mai esclusa del tutto. Ma bisogna esporsi e uscire dalla propria “confort zone”, dato che i benefici sono di solito maggiori dei rischi», continua l’esperto.

«È uno dei pilastri della terapia cognitiva: se ci si fa bloccare dall’eccessiva timidezza si può infatti cadere nel cosiddetto “self reinforcing loneliness loop”, un circolo vizioso che potrebbe finire per isolarci sempre di più».

Tornando quindi all’esempio della festa, se dovessimo decidere di non partecipare, fermati dal fatto di non conoscere nessuno, non solo saremmo esclusi dall’evento, ma anche dalle discussioni successive che lo rievocano, finendo due volte nell’angolo.

Se invece ci decidessimo ad accettare l’ipotetico invito, la preoccupazione dei più introversi sarebbe quella di ricevere bruschi rifiuti da parte di potenziali interlocutori.

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Anche in questo caso, però, si tratta di un blocco psicologico privo di ragioni reali. A dimostrarlo è stata, tra le altre, una ricerca pubblicata sul Journal of Experimental Psychology, in cui gli studiosi dell’Università di Chicago hanno analizzato i comportamenti sociali dei pendolari ne gli affollati mezzi pubblici cittadini.

Malgrado la maggior parte delle persone pensasse di essere percepita come uno scocciatore se iniziava un dialogo con uno sconosciuto, si è dovuta ricredere una volta rotto il ghiaccio, notando che i compagni di viaggio erano quasi sempre ben disposti a conversare.

Ma come si fa, in concreto, a imbastire una piacevole conversazione? A detta degli esperti, il segreto sta nello stimolare l’interesse del potenziale interlocutore. «L’elemento cruciale che ci consente di avvicinarci al prossimo è una sincera curiosità nei suoi confronti», conferma Brasini.

«Chi è animato da un’attitudine giocosa e da un pizzico di gusto per l’avventura è infatti spesso in grado di entrare immediatamente in sintonia con gli altri».

Sarà dunque il genuino interesse a spingerci a un gradevole scambio di battute, facendoci partire col piede giusto. In generale, per ottenere tale risultato bisognerebbe evitare esclamazioni scontate (il classico “Come va?”), che si risolvono spesso in un “vicolo cieco” (“Bene grazie”), invitando invece l’interlocutore a condividere una sua opinione.

Prendendo parte a manifestazioni come mostre o concerti, per esempio, un buon approccio è quello di comunicare le nostre impressioni sull’artista o sull’opera, contando sul fatto che anche l’altra persona potrebbe essere interessata al tema.

Per metterla a proprio agio, potremmo persino azzardare qualche innocuo complimento, purché sia sincero e non inopportuno. L’importante è rimanere autentici e non avere paura di osare o di confrontarsi con persone all’apparenza molto diverse.

 

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3. EMPATICI

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Una volta “messa in moto” la chiacchierata, mantenerla in vita non è sempre facile.

Il rischio è quello di riempire i momenti morti con discorsi “a senso unico”, che potrebbero allontanare il nostro interlocutore e farci apparire noiosi.

Sciolto il velo di timidezza, bisogna anche mantenere un minimo di discrezione: svelare troppi particolari su noi stessi potrebbe far sentire a disagio chi abbiamo davanti.

«Molto spesso ciò ci impedisce di mostrare empatia nei confronti degli altri», aggiunge Brasini. «Esistono però metodi, utilizzati per esempio dai venditori professionisti, per produrre artificialmente la sensazione di sintonia, modulando il tono della voce e replicando i movimenti dell’altro.
Ma bisognerebbe essere davvero molto abili. Per questo, essere spontanei è decisamente meglio: le persone in genere percepiscono la falsità».

Al fine di evitare imbarazzanti monologhi, gli esperti ritengono che ascoltare sia importante tanto quanto parlare. Per capire se la conversazione sta ingranando bene, per esempio, occorre “drizzare le antenne” e osservare le reazioni dell’interlocutore.

Al riguardo, la psicologa Susan Krauss Whitbourne, dell’Università del Massachusetts (Usa), consiglia di controllare i segnali non verbali, come la postura, il contatto visivo e i movimenti delle mani, tutti indizi che possono farci capire se l’argomento suscita autentico interesse.

Se l’interlocutore dà segno di voler “scappare” o di non gradire l’argomento significa che qualcosa non funziona.

Nel caso ci accorgessimo di questo, basterà cambiare registro. Non tutti sono disposti a discutere di politica, religione o sesso con uno sconosciuto al primo incontro, meglio temi più frivoli.

 

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4. UTILE “ARSENALE”

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Uno degli elementi fondamentali che accomuna i conversatori più abili sta proprio nella capacità di dialogare con chiunque trovandosi sempre a proprio agio, spaziando con estrema naturalezza da una materia all’altra.

Secondo Whitbourne, «Avere familiarità con gli eventi di attualità è il modo migliore di possedere abbastanza temi da sollevare in qualsiasi conversazione, ma gli argomenti non devono essere troppo impegnativi».

Rimanere informati sugli ultimi avvenimenti, dalla cronaca alla moda, passando per lo sport, ci permetterà dunque di avere un “arsenale” di riserva a cui attingere per trovare spunti di discussione e individuare eventuali passioni in comune.

Non è quindi necessario essere esperti su tutto per scambiare due chiacchiere, ma una conoscenza superficiale di molti temi è spesso più che sufficiente.

 

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In fondo, l’arte della conversazione è un po’ come lo sport: nessuno primeggia senza mettersi alla prova. Secondo gli esperti, cercare di avere interazioni in ambienti diversi è poi un ottimo metodo per affinare le proprie qualità, ponendo le domande giuste e soprattutto acquisendo la necessaria sicurezza di sé.

“Allenarsi” a conversare non è solo un modo di passare piacevoli momenti di compagnia nel tempo libero, ma può anche migliorare le prestazioni professionali. È questo il risultato di uno studio dell’Università del Michigan, che ha analizzato i benefici cognitivi dello small talk sul luogo di lavoro.

A un primo gruppo di partecipanti è stato chiesto di dedicare dieci minuti del proprio tempo a chiacchierare amichevolmente con i colleghi per conoscerli meglio, mentre un secondo gruppo si è concentrato su “dialoghi competitivi”, ovvero su discussioni esclusivamente basate sugli obiettivi lavorativi. Successivamente, entrambi gli insiemi sono stati sottoposti ad alcuni test cognitivi.

Il risultato? I ricercatori hanno notato che chi si era impegnato in chiacchiere frivole otteneva risultati significativamente migliori, in particolare nell’area del cervello deputata al “funzionamento esecutivo”, che controlla la concentrazione, la pianificazione e la definizione delle priorità. Insomma, saper conversare è ben più che un semplice passatempo. Provare per credere.

 

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5. CINQUE CONSIGLI PER TRASFORMARSI IN OTTIMI “PARLATORI”

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1. Via la paura.
Non bisogna farsi dominare dalla timidezza, ma cercare di essere sciolti e rilassati quando si socializza.

2. Essere curiosi.
La curiosità è il motore di ogni conversazione che si rispetti: usandola si riesce a stimolare l’interesse degli interlocutori.

3. Informarsi.
Essere informati sugli ultimi eventi di attualità, anche superficialmente, può fornire un utile “arsenale” per ampliare il dialogo.

4. Allenarsi.
Avere più interazioni sociali in ambienti diversi è un ottimo metodo per affinare le proprie qualità ed essere più sicuri di sé.

5. Ascoltare.
Bisogna osservare le reazioni dell’interlocutore in modo da notare se sembra interessato al tema o se preferisce cambiare argomento. E adeguarsi.

 

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