Mussolini: chi furono i coprotagonisti della sua ascesa?

Crisi economica, scioperi, paura, malcontento, debolezza politica… tutti ingredienti di un mix esplosivo che favorì l’ascesa dell’“uomo forte”.

Mussolini da capo di un piccolo movimento in breve arrivò a governare il Paese, su incarico del re e con la fiducia del Parlamento.

Ma chi furono i coprotagonisti (gerarchi, militari e intellettuali compiacenti) della sua ascesa? Scopriamoli insieme.

 

1. GIOVANNI GENTILE: LIBRO E MOSCHETTO

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L’ideologia fascista, alla ricerca di una dignità culturale, si appoggiò a vari intellettuali per legittimare i suoi valori fondanti.

Il personaggio di maggior prestigio ad aderire al movimento fu Giovanni Gentile (1875-1944), filosofo, docente universitario e pedagogista, esponente del neoidealismo italiano che fondò insieme a Benedetto Croce la rivista La critica (1903).

Nel 1922, dopo la Marcia su Roma, ebbe l’incarico di dirigere il ministero della Pubblica Istruzione. L’anno successivo si iscrisse al Partito fascista e nel 1925 redasse il Manifesto degli intellettuali fascisti.

Durante la dittatura, tra il 1925 e il 1929, ricoprì importanti cariche: contribuì alla riforma costituzionale, fondò l’Istituto fascista di cultura, fu direttore scientifico dell’Enciclopedia italiana (la Treccani) e della Normale di Pisa.

Gentile mise la sua firma anche su quella che Mussolini definì “la più fascista delle riforme”, quella della scuola, attuata dal 1923 con una serie di decreti e senza discussione in Parlamento.

 

La riforma ideata da Gentile, che coinvolgeva ogni ordine e grado del sistema scolastico, si poneva l’obbiettivo di essere lo specchio di una società rigidamente gerarchica, in cui i docenti erano obbligati a giurare fedeltà al regime.

Dopo gli esami di quinta elementare si poteva accedere all’avviamento professionale o alla scuola media (che avrebbe dato accesso al liceo). Dal 1929, alle elementari, fu adottato un libro di testo unico, approvato dalle autorità centrali.

Fra le materie studiate, oltre all’innovativa educazione fisica, c’era anche la “mistica fascista”. Negli Anni ’30 fu introdotto l’insegnamento della cultura militare per i bambini, mentre alle bambine era prescritto lo studio della puericultura.

Alle superiori si privilegiò l’insegnamento delle materie umanistiche: infatti, il liceo classico, dove si formava la futura classe dirigente, era considerato superiore allo scientifico. Scomparvero dai programmi le lingue e gli autori stranieri, mentre i discorsi di Mussolini divennero oggetto di studio.

Venne istituito anche l’esame di Stato a fine liceo, con quattro prove scritte e l’orale. Nel complesso la riforma mirava a far sì che dalle scuole uscissero cittadini ubbidienti e indottrinati.

 

2. PAPA PIO XI: UN PAPA SPROVVEDUTO, MA NON TROPPO...

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Il fascismo nacque come movimento anticlericale, ma procedette a braccetto con la Chiesa, che individuò nel regime uno strumento per la riconquista cristiana della società.

Papa Pio XI (1857-1939) intravide nell’uomo (come disse) “che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”, cioè in Mussolini, la possibilità di riscattare l’autonomia persa con l’unificazione italiana.

Il papato era in declino: dal 1870 i territori pontifici erano proprietà del nuovo Stato, e mentre i palazzi vaticani cadevano a pezzi, il pontefice era ininfluente in politica.

Fu in questo clima che l’11 febbraio 1929, Mussolini, arrivato al palazzo del Laterano a Roma, fu accolto con entusiasmo da Pio XI.

 

I motivi dell’intesa erano duplici: il duce puntava al riconoscimento ufficiale dal Vaticano (per neutralizzare il Partito popolare di don Sturzo). Mentre la Chiesa ambiva a tornare Stato sovrano.

Mussolini firmò i controversi Patti lateranensi, che concedevano al papa un territorio indipendente e una donazione di 750 milioni di lire e un miliardo in titoli.

In cambio, la Chiesa normalizzava i rapporti con l’Italia vedendo riconosciuto il cattolicesimo come religione di Stato.

Grazie a un dittatore, nacque lo Stato del Vaticano. L’alleanza fra i due restò salda fino alla proclamazione delle leggi razziali.

In seguito, il papa lavorò a un discorso di condanna all’antisemitismo, ma morì prima di poterlo pronunciare.

 

3. ALFREDO ROCCO: IL “PADRE” DEL CODICE PENALE

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Mussolini voleva trasmettere l’immagine di una società pulita e laboriosa, dove tutto funzionava alla perfezione, senza criminalità e dissenso.

Il culto del fascista modello, infatti, andava a braccetto con il rispetto della legge e dell’autorità.

E l’uomo che rese possibile lo Stato di polizia immaginato dal duce fu il giurista Alfredo Rocco (1875-1935), che ricoprì il ruolo chiave di ministro di Grazia e Giustizia dal 1925 al 1932.

Fu quindi un docente universitario, rettore dell’Università La Sapienza di Roma dal ’32 al ’35, a mettere nelle mani di Mussolini gli strumenti formali per affinare la sua dittatura: Rocco fu infatti l’artefice delle leggi eccezionali, o “fascistissime”, che prevedevano uno smisurato aumento di potere del capo del governo e dei prefetti, la soppressione di tutti i partiti e delle associazioni di opposizione, la chiusura degli organi di stampa avversi al regime e l’istituzione di un Tribunale speciale, usato allo scopo di reprimere qualsiasi forma di dissenso politico.

A Rocco dobbiamo però anche il nostro Codice penale, detto appunto “codice Rocco”, introdotto nel 1930 e tuttora in vigore, seppur rivisto.

Dopo la Seconda guerra mondiale, infatti, si decise di mantenerne valido l’impianto, ma di apportare significative riforme. La pena di morte, per esempio, fu abolita, il diritto di sciopero, come anche la libertà di culto, invece furono sanciti dalla Costituzione.

 

4. ITALO BALBO: UN FASCISTA TUTTO D’UN PEZZO

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Quarto di cinque figli, nato da una modesta famiglia romagnola di maestri elementari, Italo Balbo (1896-1940) fu uno dei gerarchi che godettero di maggiore popolarità in Italia e all’estero.

A 25 anni s’iscrisse al Partito nazionale fascista e dopo aver guidato la violenta spedizione punitiva contro San Lorenzo, unico quartiere della capitale che cercò di bloccare la Marcia su Roma (1922), rivestì fino al 1924 la carica di comandante della milizia.

Dal 1929 Mussolini gli affidò il prestigioso incarico di ministro dell’Aeronautica.

Sempre in camicia nera, con la propaganda nel sangue, sfruttò il mito del volo per promuovere spettacolari imprese da aviatore a cui partecipò in prima persona, come le due crociere transatlantiche di idrovolanti dall’Italia al Brasile (1930) e agli Usa (1933).

Raggiunse una popolarità tale da essere considerato come un rischioso rivale politico per Mussolini, e fu probabilmente per questo che dal 1° gennaio 1934 venne promosso a governatore della Libia.

Balbo governò la Libia come un despota paternalista dalle grandi ambizioni. Riempì Tripoli di statue romane e fontane illuminate, in soli 12 mesi portò a termine la costruzione della “via Balbia”, una strada litoranea che si stende per 1.822 km, chiuse i campi di concentramento e svuotò le prigioni.

Ironia della sorte, però, durante una ricognizione aerea, Balbo fu abbattuto per errore dalla contraerea italiana. Lo stesso Mussolini ne rimpianse la perdita, ma non mancarono i sospetti sul duce come mandante del fatale incidente.

 





5. GABRIELE D'ANNUNZIO E ARNALDO MUSSOLINI

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- GABRIELE D'ANNUNZIO: UN DANDY ALLA CORTE DI MUSSOLINI
Quello tra il duce e lo scrittore esteta Gabriele D’Annunzio (1863-1938) fu un rapporto molto ambiguo.
Da una parte a Mussolini faceva comodo promuovere l’istrionico scrittore a “padre nobile del fascismo”, dall’altra sapeva che il Vate era uno spirito libero, molto difficile da tenere a bada.
Il controverso aviatore-poeta, infatti, entrò nei libri di Storia nel settembre del 1919, quando, ormai cinquantaseienne, si lanciò nell’ardita missione di guidare un esercito di irregolari e ammutinati nella città di Fiume (ora Rijeka, in Croazia), contesa da Italia e Regno di Iugoslavia, dove poi governò per 500 giorni come un licenzioso dittatore (la cosiddetta Reggenza del Carnaro), finché a Natale la marina italiana mise fine all’impresa a colpi di cannone, su ordine dell’allora governo Giolitti.
In quel 1919 in Italia nascevano i Fasci di combattimento, e mentre Mussolini spianava la strada alla Marcia su Roma, d’Annunzio, deluso dal fallimento di Fiume, decise di trasferirsi al Vittoriale, la lussuosa dimora museo dove vivrà fino alla morte, togliendosi ogni capriccio, finanziato dal governo fascista.
Il duce, infatti, pur di tenerlo alla larga preferì ricoprirlo di onori, dotarlo di un regolare assegno statale per compensare i debiti della sua dispendiosa esistenza, assecondando il suo eccentrico isolamento per renderlo ininfluente e inoffensivo dal punto di vista politico.

 

 

- ARNALDO MUSSOLINI: PATTO DI SANGUE
Quando il 29 ottobre 1922 Mussolini ricevette dal re un telegramma con l’invito a recarsi a Roma per formare un nuovo governo, passò il testimone al fratello minore Arnaldo Mussolini (1885-1931), anche lui giornalista, che ereditò la direzione del quotidiano Il Popolo d'Italia.
Dal primo dopoguerra Mussolini era riuscito a tessere la tela del consenso dalle pagine del quotidiano da lui fondato, e ben conosceva l’importanza del controllo sugli organi d’informazione.
Quando nel 1926, infatti, soppresse i giornali di opposizione, lasciò in vita i quotidiani nazionali, ma con redazioni a lui fedeli. Chi meglio di Arnaldo, dunque, sempre fedele alla linea politica del fratello, anche se più mite nei toni, poteva tenere le redini dell’informazione?
Sempre al fratello, che godeva della sua fiducia, era affidato l’incarico della correzione delle bozze dei suoi discorsi.
Arnaldo ebbe anche il merito di mediare le trattative tra Vaticano e regime fascista. Nel 1931 raggiunse uno storico compromesso tra Chiesa e Stato, per cui i giovani cattolici poterono riunirsi in Azione Cattolica, ma senza svolgere attività politica.

 








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