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Batteri resistenti agli antibiotici: dobbiamo preoccuparci?

A chi è appassionato di film del genere catastrofico, saranno familiari tutte le possibili evenienze che potrebbero mettere fine alla nostra civiltà: impatti con asteroidi, virus mortali, sbarchi alieni, incidenti nucleari, perfino invasioni di zombie.

Non si parla mai, invece, di resistenza agli antibiotici: eppure, gli scienziati ritengono che la diffusione di batteri farmacoresistenti rappresenterà probabilmente la più temibile minaccia alla specie umana, perfino peggiore del terrorismo globale, dei cambiamenti climatici e di qualsiasi disastro ci capiti di vedere al cinema.

I segni di questa imminente “apocalisse antibiotica” sono già ben visibili: anche considerando soltanto l’Europa e gli Stati Uniti, almeno 50mila persone muoiono ogni anno di infezioni che non rispondono ai trattamenti convenzionali.

Batteri antibiotico-resistenti sono stati isolati in tutti i Paesi; se l’attuale tendenza continuerà, nel giro di pochi decenni i farmaci di questo tipo oggi disponibili a livello mondiale diventeranno completamente inutili.

Secondo una relazione presentata da uno speciale comitato, Review On Antimicrobial Resistance, se il problema non verrà affrontato, si metterà a rischio la vita di mezzo miliardo di persone in tutto il Pianeta entro il 2050, con costi per l’economia globale pari a 100 trilioni di dollari.

La resistenza agli antibiotici è una delle peggiori minacce alla sopravvivenza del genere umano: che cosa possiamo fare per contrastarla?

1. Perché gli antibiotici sono importanti e come funzionano?

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  • Perché gli antibiotici sono importanti?
    Queste sostanze uccidono i germi o ne inibiscono la crescita, consentendoci di guarire infezioni più o meno serie.
    Vengono utilizzate in tutti i campi della medicina, a partire dalla terapia di affezioni cutanee quali l’acne, passando per patologie più serie come la polmonite e le tossinfezioni alimentari, fino ad arrivare a malattie mortali e altamente contagiose quali la tubercolosi e la meningite.
    Gli antibiotici, inoltre, impediscono alle ferite di infettarsi dopo un evento accidentale o un intervento chirurgico, e contribuiscono a proteggere le persone il cui sistema immunitario si è indebolito, per esempio i pazienti oncologici o i neotrapiantati.
    Esistono centinaia di diversi tipi di antibiotici, disponibili per somministrazione topica, orale o per via iniettiva; ciascuno è stato sviluppato per trattare infezioni diverse, causate da batteri specifici.
    Dopo la loro introduzione, avvenuta circa 75 anni fa, hanno allungato l’aspettativa di vita media di quasi 20 anni, in tutto il mondo.
    Prima dell’avvento di questi medicinali straordinari, pericoli mortali potevano nascondersi ovunque: qualsiasi infezione, perfino un taglietto fatto con un foglio di carta, era potenzialmente in grado di uccidere.
    Nei secoli che hanno preceduto la scoperta di queste sostanze, si ritiene che il 40 per cento circa di tutti i decessi fosse causato da infezioni non trattate: infezioni che, anche quando non risultavano mortali, potevano sfigurare un paziente o condannarlo a conseguenze permanenti.
  • Come funzionano gli antibiotici?
    Sono composti chimici che interferiscono con importanti processi cellulari nei batteri.
    Per essere utilizzati in sicurezza come farmaci, devono colpire in maniera selettiva le cellule batteriche senza danneggiare i tessuti umani.
    Il primo antibatterico moderno, la penicillina, fu scoperto dallo scienziato scozzese Alexander Fleming nel 1928; prodotta da un fungo presente nella muffa, essa agisce attaccando le pareti cellulari dei microorganismi.
    Poiché le cellule umane non sono dotate di pareti rigide, non vengono intaccate da questo battericida; altri principi attivi analoghi sono stati identificati nel corso dei decenni successivi.
    Ci sono poi antibiotici che interferiscono con processi essenziali per la proliferazione batterica, per esempio la sintesi proteica e del DNA o la produzione energetica (nella foto Alexander Fleming lo scopritore della penicillina che rivoluzionò il mondo della medicina).

2. Come mai i batteri diventano antibiotico-resistenti e come si diffondono le resistenze?

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  • Come mai i batteri diventano antibiotico-resistenti?
    Malgrado si sia portati a pensare che i microorganismi, trattati con gli antibiotici, in qualche modo “imparino” a contrattaccare, lo sviluppo di farmacoresistenze è in realtà una componente inevitabile e naturale dell’evoluzione batterica.
    Ogni volta che un patogeno si moltiplica, infatti, si scinde in due e replica il proprio DNA.
    Le possibili imperfezioni nell’esecuzione di questo processo implicano che in una popolazione di milioni, miliardi o perfino trilioni di cellule batteriche, la moltiplicazione comporti numerosi “errori”, noti come mutazioni, nel DNA di ciascuna generazione successiva.
    Dato il grande numero di varianti, una piccolissima percentuale di individui potrà, nel tempo, sviluppare casualmente una mutazione che garantisce l’immunità a certi antibiotici – per esempio modificando impercettibilmente la struttura di una molecola chiave che costituisce il bersaglio di un determinato farmaco, rendendone vani gli effetti.
    Oppure, i germi possono iniziare a produrre una sostanza chimica che azzera le proprietà antibatteriche: nel caso della penicillina, numerosi microorganismi, evolvendosi, hanno cominciato a sintetizzare beta-lattamasi, enzimi che neutralizzano l’effetto del farmaco.
    Una volta emersa, l’antibiotico-resistenza può effettuare il salto di specie, passando da una tipologia di batteri a un’altra: i microbi tendono a scambiarsi naturalmente materiale genetico, secondo un processo noto come trasferimento genico orizzontale, sia per contatto ravvicinato, sia formando una sorta di “ponte” tra cellule di individui diversi.
    Ciò aiuta i germi a “rimescolare” il proprio DNA, condividendo elementi utili ma, allo stesso tempo, determinando spesso il passaggio di geni responsabili della resistenza antibiotica da specie innocue ad altre letali.
    Come se non bastasse, la farmacoresistenza non riguarda soltanto i batteri ma può emergere anche in virus, funghi e parassiti: in questo caso, si parla di resistenza antimicrobica, o AMR.
    Perfino gli insetti e le piante infestanti stanno sviluppando immunità ai prodotti chimici utilizzati per annientare i parassiti e proteggere le colture alimentari.
  • Come si diffondono le resistenze?
    La farmacoresistenza diventa un problema grave quando si fa un uso eccessivo di antibiotici: queste sostanze, infatti, distruggono una quota importante della flora batterica umana, che comprende ceppi sia “buoni” sia pericolosi.
    I batteri che sviluppano resistenze, dunque, sono in grado di colonizzare un ospite e moltiplicarsi senza alcun ostacolo.

    La vittima può così manifestare patologie, e anche diventare portatrice di elevatissime quantità di germi immuni a farmaci specifici, che si trasmettono poi ad altre persone. In questo contesto, gli ospedali agiscono come veri e propri snodi di scambio per i geni antibiotico-resistenti: qui, infatti, questi agenti farmacologici vengono utilizzati in maniera massiccia, ottenendo l’effetto di concentrare la resistenza genica nei reparti.
    I geni in questione vengono poi trasmessi al personale, ad altri batteri e ai pazienti. Più spesso si fa uso di antibiotici, più è probabile che i microrganismi resistenti finiscano per predominare negli ambienti interessati.
    Inoltre, la farmacoresistenza non viene diffusa solamente dalla medicina umana: in alcuni Paesi, gli antibatterici spesso sono somministrati al bestiame, per favorirne la crescita o impedire la propagazione di infezioni.
    Così facendo, si consente ai geni resistenti di ritrasmettersi a organismi umani attraverso carni contaminate, prodotti di origine animale o colture fertilizzate con concimi naturali.
    Non dimentichiamo che, spesso, Paesi con sistemi sanitari eccellenti, in termini di igiene e regolamentazione dell’uso degli antibiotici, sono comunque a poche ore di aereo da altre regioni mondiali dove la situazione è invece molto diversa.

3. Dobbiamo preoccuparci se gli antibiotici non fossero più efficaci e perché non produrre allora nuovi antibiotici?

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  • Che cosa accadrebbe se gli antibiotici non fossero più efficaci?
    Innanzitutto, si assisterebbe a un incremento dei decessi dovuti a infezioni batteriche, quali tubercolosi e meningiti.
    Anche malattie che oggi non consideriamo mortali comincerebbero ad avere conseguenze gravi e perfino letali; perfino disturbi minori, quali cisti o ascessi, diventerebbero difficili da trattare: di conseguenza, dovremmo abituarci a vedere persone con piaghe aperte ed evidenti alterazioni cutanee, un po’ come accadeva nel Medioevo.
    Gli effetti sulle pratiche sanitarie sarebbero ancora più considerevoli: ogni anno, in tutto il mondo vengono eseguiti miliardi di interventi chirurgici, e quasi tutti richiedono antibiotici per prevenire infezioni prima e dopo l’operazione.
    Più di un parto su quattro, in Italia, avviene per esempio con taglio cesareo: gli antibiotici servono a proteggere mamma e neonato.
    Senza questi farmaci, la possibilità di soccombere a un’infezione dopo una procedura invasiva comprometterebbe il Senza antibiotici, anche interventi chirurgici di routine diventerebbero incredibilmente rischiosi rapporto rischio/benefici; in ogni caso, il costo richiesto dai tentativi di curare infezioni particolarmente aggressive devasterebbe il bilancio di molti servizi sanitari nazionali.
    Se gli antibiotici dovessero cessare di funzionare, la pratica medica cambierebbe completamente, e con essa i nostri comportamenti.
  • Dobbiamo preoccuparci?
    Dobbiamo preoccuparci sì, e parecchio! Molti ceppi batterici hanno sviluppato resistenze a più tipi di antibiotici.
    Queste specie, note come organismi multiresistenti ai farmaci (MDR), o “superbatteri”, stanno già mettendo a dura prova la comunità medica in tutto il mondo.
    Sally Davies, a capo del servizio sanitario nazionale inglese, ha convenuto di recente che l’età d’oro dell’aspettativa di vita in continuo aumento potrebbe presto cedere il passo a un’epoca in cui il tasso di mortalità riprenderà ad aumentare.
    In risposta a un’indagine governativa sulla resistenza agli antibiotici, ha ammesso che la possibilità di “morire in sala operatoria durante un intervento di routine” la preoccupa molto più dei cambiamenti climatici.
    Gli ospedali faticano a eliminare dai reparti batteri multiresistenti come l’MRSA (Stafilococco Aureo Resistente alla Meticillina), mentre la cosiddetta “tubercolosi estensivamente resistente ai farmaci” (XDR-TB) è già stata identificata in ben 100 Paesi ed è causa ogni anno di 200mila morti.
    I batteri Escherichia coli, una delle cause più comuni di tossinfezioni alimentari, oggi manifestano resistenze tanto diffuse da rendere inefficaci i trattamenti tradizionali in oltre la metà dei pazienti.
    Inoltre, sono già stati individuati ceppi batterici immuni anche ai cosiddetti “antibiotici di ultima istanza”: sottoporre a terapie pazienti che ospitano queste specie patogene è difficile, rischioso e costoso.
    Gli esperti hanno previsto che, se l’attuale tendenza continuerà, gli odierni antibiotici potrebbero rivelarsi praticamente inutili già tra 20 anni.
  • Perché non produrre allora nuovi antibiotici?
    Per diversi decenni, la farmacoresistenza è stata un fenomeno relativamente raro e l’industria farmaceutica ha sfornato a ritmo costante nuovi medicinali: nel corso degli anni Novanta, però, le possibili alternative mirate alla distruzione dei batteri senza danno per le cellule umane hanno cominciato a scarseggiare.
    Molti dei nuovi composti erano simili ad antibiotici preesistenti, e di conseguenza, i microbi riuscivano presto ad aggirarli, adattando le proprie resistenze.
    Oggi, gli antibiotici utilizzati nel mondo sono, per la maggior parte, praticamente invariati rispetto a 30 anni fa.
    Il problema maggiore è di natura economica: scoprire un nuovo principio attivo e immetterlo sul mercato può costare dai 500 milioni ai due miliardi di dollari (da 430 milioni a 1,7 miliardi di euro circa).
    Un investimento enorme per produrre, in ogni caso, antibiotici da utilizzare come farmaci di ultima istanza che perderanno efficacia non appena i microrganismi svilupperanno resistenze specifiche: comprensibilmente, le case farmaceutiche non sono fortemente incentivate a concentrare risorse in quest’area.
    Ci sono, però, anche buone notizie: gli scienziati dell’Istituto di Ricerca Scripps, negli Stati Uniti, di recente hanno annunciato di aver modificato un comune antibiotico, la vancomicina, per indurlo ad attaccare i microbi secondo tre diverse modalità.
    I ricercatori sostengono che il farmaco potrebbe essere utilizzato diffusamente senza timore di resistenze, poiché è improbabile che i batteri riescano a beffare contemporaneamente tre tecniche di difesa.

4. Esistono alternative agli antibiotici e che cos’altro si può fare per fermare l’attacco batterico?

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  • Esistono alternative agli antibiotici?
    Gli scienziati stanno iniziando ad associare i principi attivi a preparati che interferiscono con i meccanismi di adattamento messi in atto dai batteri resistenti.
    Per esempio, se un microrganismo ha iniziato a produrre una proteina che impedisce al farmaco di attraversare la sua membrana cellulare, i ricercatori possono creare un composto in grado di depistare quella proteina: al paziente viene somministrata un’associazione di antibiotico e sostanza-esca, e il farmaco ritorna attivo.
    Un’altra soluzione possibile è stata adottata in Russia e in Europa dell’Est fin dagli anni Quaranta, benché il mondo occidentale l’abbia sempre vista con scetticismo.
    Si tratta della terapia batteriofaga, che utilizza virus per invadere i batteri e distruggerli dall’interno.
    Se l’impiego di virus può sembrare pericoloso, va detto che i batteriofagi utilizzati attaccano naturalmente i microbi – e non le cellule umane.
    Altre potenziali alternative comprendono la ricerca di farmaci in grado di aiutare il sistema immunitario a identificare e combattere i batteri, l’uso di nanoparticelle bioingegnerizzate o virus per il bombardamento batterico e l’impiego di batteri probiotici “buoni” per neutralizzare quelli pericolosi.
    Tutti questi sistemi, però, presentano lo stesso problema: essi potrebbero, prima o poi, sviluppare resistenze specifiche per contrastarli.
  • Che cos’altro si può fare per fermare l’attacco batterico?
    Vista la frequenza con la quale ci capita di viaggiare in tutto il mondo, contenere la diffusione della farmacoresistenza richiede un’azione concertata a livello globale.
    Per preservare l’efficacia degli antibiotici già esistenti occorre innanzitutto limitarne l’uso: devono essere prescritti esclusivamente per infezioni batteriche, ai dosaggi indicati e per il periodo di tempo richiesto.
    I ricercatori stanno dedicando molti sforzi alla messa a punto di test rivolti ai medici di base, per determinare rapidamente se una malattia è o no sensibile agli antibiotici e favorire un uso più mirato di questi medicinali.
    Altri studi indagano invece le modalità secondo le quali i batteri si scambiano DNA, per tentare di contrastare la diffusione della resistenza genica.
    Che cosa possiamo fare invece tutti noi? Intanto, lavarsi regolarmente le mani e garantire buone condizioni igieniche aiuta a ridurre la proliferazione batterica e di conseguenza, la necessità di antibiotici.
    È bene inoltre evitare di richiederli insistentemente a medici e farmacisti, senza averne accertato la reale necessità.
    La nostra società, insomma, deve iniziare ad apprezzare di più queste preziose sostanze, da utilizzare con parsimonia proprio per tutelarne l’efficacia.





5. I nove batteri farmacoresistenti più pericolosi e che cosa non sappiamo ancora

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  • I nove batteri farmacoresistenti più pericolosi
    All’inizio di quest’anno (2017), l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un elenco dei batteri più pericolosi al mondo: per nove di essi, la formulazione di nuovi antibiotici mirati è stata dichiarata una alta o altissima priorità.
    1) Acinetobacter baumannii
    Può causare polmonite e infezioni delle ferite o del sangue in soggetti con sistema immunitario compromesso.
    2) Pseudomonas aeruginosa
    Questo microorganismo, resistente agli antibiotici “di ultima istanza”, può causare infezioni letali in pazienti vulnerabili.
    3) Campylobacter spp.
    Campylobacter si trova nella carne cruda e causa tossinfezioni alimentari. Si dimostra sempre più resistente al fluorochinolone, il farmaco utilizzato per debellarlo.
    4) Enterobacteriaceae
    Potrebbero diventare la nuova famiglia di superbatteri: gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi (antibiotici ad ampio spettro) uccidono la metà dei pazienti infettati.
    5) Staphylococcus aureus (MRSA)
    Lo Stafilococco Aureo Resistente alla Meticillina è rilevabile sulla cute di circa una persona su 30 e, in questa sede, è innocuo; se però penetra all’interno del corpo umano, può provocare infezioni mortali.
    6) Salmonelle
    Le svariate migliaia di ceppi di Salmonella possono provocare malattie che vanno dalla febbre tifoide alle intossicazioni alimentari.
    7) Enterococcus faecium
    Questo batterio provoca infezioni del sangue e del tratto urinario. Ha sviluppato sei diverse resistenze all’antibiotico vancomicina.
    8) Helicobacter pylori
    Una mutazione può rendere inefficace la Claritromicina, il principale trattamento utilizzato contro questo agente patogeno, spesso causa di ulcere peptiche.
    9) Neisseria gonorrhoeae
    È l’agente eziologico della gonorrea, malattia a trasmissione sessuale; in questa specie, l’antibiotico-resistenza era stata osservata già negli anni Quaranta del secolo scorso.
  • Che cosa non sappiamo ancora
    1) Quanto tempo ci resta?
    Poiché lo sviluppo delle immunità agli antibiotici è basato su mutazioni e trasferimenti casuali di materiale genetico, è difficile prevedere quando e dove emergeranno nuovi casi e quanto tempo ci resta per trovare soluzioni.
    Tuttavia, oggi si stanno attivando strumenti per identificare e monitorare i cosiddetti “hotspot”, i punti caldi delle farmacoresistenze a livello mondiale.
    2) Possiamo affrontare questa sfida globalmente?
    I nostri sforzi mirati al contenimento della farmacoresistenza hanno diversi punti in comune con la lotta ai cambiamenti climatici: per quanto sofisticate, iniziative unilaterali promosse da un solo Paese non hanno alcuna utilità, se non si introducono cambiamenti anche nel resto del Pianeta.
    Nel mondo occidentale sono stati fatti molti progressi, ma non sarà facile impedire ai Paesi più poveri o emergenti di utilizzare liberamente gli antibiotici finalmente disponibili.
    3) Quando arriveranno nuovi farmaci?
    Non sappiamo con esattezza quanto sarà efficace l’attività di ricerca di nuovi antibiotici e di messa a punto di strategie per prolungare la vita utile dei farmaci già esistenti.
    Potrebbero passare diversi decenni prima che un medicinale di nuova concezione sia pronto per l’uso generalizzato in condizioni di sicurezza; i relativi costi ammontano a milioni di dollari e al termine del percorso, i batteri potrebbero sviluppare altre tecniche per neutralizzare le nuove armi.








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