Τutti i latti del mondo: dalla bufala al kefir, un viaggio nutrizionale

Il latte della propria mamma è il migliore per ciascun bambino perché creato apposta per lui, su questo ci sono pochi dubbi.

Ed è altrettanto certo che il latte materno, anche donato da altre mamme, sia quanto di meglio per i neonati, specialmente quelli nati prima del tempo.

 

Fin da quando l’uomo ha iniziato ad allevare altri mammiferi, però, ha anche cominciato a berne il latte: si tratta di latti inevitabilmente diversi da quello umano, nella composizione e nelle caratteristiche, che però possono entrare nella nostra dieta e oltre a essere buoni fare anche bene. Ecco perché.

Esploriamo il vasto panorama dei latti alternativi, ognuno con le proprie caratteristiche e vantaggi.

1. Latte vaccino

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Fin dalla preistoria è il più consumato dall’uomo ed è un alimento ricco e completo; prima di consumarlo viene pastorizzato per eliminare i possibili batteri, come Salmonella o Listeria, che potrebbero contaminarlo e provocare infezioni gastrointestinali.

Dal punto di vista nutrizionale è una delle principali fonti di calcio, fosforo, selenio, iodio e potassio; in Italia, latte e latticini rendono conto di un terzo dell’apporto di vitamina B12 nella popolazione.

Contiene inoltre proteine di buona qualità, peptidi bioattivi e, grazie al lattosio presente, l’assorbimento del calcio è facilitato. In media, 100 grammi di latte contengono circa 64 calorie e sono composti per l’80% da acqua; nel resto ci sono il 50% di grassi, il 30% di carboidrati e il 20% di proteine.

Oltre che di vitamina B12, il latte vaccino è ricco di vitamine C, A ed E, magnesio e zinco.

Essendo il più diffuso al mondo è anche quello che conosciamo meglio: le ricerche per esempio hanno dimostrato che un consumo regolare fa bene a ossa e denti, riduce il rischio di tumore del colon e di malattie cardiovascolari e ipertensione, al punto che la dieta Dash, pensata proprio per la gestione della pressione alta, prevede una quota più elevata di latte e latticini rispetto alla dieta mediterranea.

Il consumo di latte sembra anche avere un effetto positivo sui marcatori dell’infiammazione. L’unica controindicazione nota è perciò un’intolleranza grave o un’allergia al latte.

2. Latte di kefir e latte di asina

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- Latte di kefir
Molto di moda negli ultimi tempi, è un latte fermentato originario del Caucaso, dove si produce da secoli; come base è usato spesso il latte vaccino, ma può essere scelto anche quello di capra.
Al latte si aggiunge il kefir, un mix di probiotici che lo arricchisce e lo rende un prodotto con una maggiore biodiversità rispetto allo yogurt, dove ci sono solo uno o due ceppi batterici: nel kefir ce ne sono di più e sono presenti anche lieviti.

Tutto ciò ha effetti positivi sulla salute: una ricerca dell’Università di Cordoba, in Spagna, ha per esempio dimostrato che i microrganismi presenti producono almeno undici composti benefici con proprietà antipertensive, antiossidanti e antibatteriche.
Il gusto è diverso dallo yogurt, con cui condivide tuttavia molti vantaggi per la salute, perciò scegliere il kefir è spesso una questione di reperibilità, abitudine e gradimento di un sapore differente.

 

- Latte di asina
È il latte più simile a quello umano, come ha confermato di recente un’approfondita indagine dell’Università di Pisa: il contenuto in proteine è analogo (18 grammi per litro circa) ed è paragonabile anche quello di lattosio, che è elevato (60 grammi per litro) e rende questo latte bene accetto anche ai bambini.
Fermo restando che per la nutrizione dei neonati non allattati al seno serve il latte in formula, lo studio riferisce che, nei bambini più grandicelli con allergie a proteine del latte, la tollerabilità al latte di asina si aggira fra l’82 e il 98,5 per cento.

Può quindi essere ritenuto un possibile e buon sostituto: questo perché per esempio le caseine (il 56% del totale delle proteine contro l’80% nel latte vaccino) sono presenti in quantità più simili a quelle nel latte materno.
“Il latte di asina ha meno calorie e grassi di altri latti (dallo 0,2 all’1,7%), oltre che un buon profilo di acidi grassi, con pochi saturi e molti insaturi”, scrivono gli autori nel loro articolo su PubMed.
Gli effetti sulla salute finora sono stati testati quasi soltanto sugli animali, ma suggeriscono che possa avere effetti immunomodulatori e antiossidanti, con benefici sul metabolismo di zuccheri e grassi e sulla flora batterica intestinale.

3. Latte di capra

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Abbastanza diffuso, il latte di capra ha un sapore più deciso rispetto al latte vaccino e alcune proprietà che possono renderlo più digeribile, come spiegano i nutrizionisti: «I coaguli dei grassi contenuti nel latte di capra (i grassi sono leggermente più abbondanti rispetto al latte vaccino) hanno dimensioni inferiori, e questo potrebbe renderli più facili da aggredire e digerire da parte degli enzimi».

Inoltre, il latte di capra è più ricco di oligosaccaridi, sostanze che nell’intestino si comportano come prebiotici ovvero come “cibo” per i batteri buoni; questo lo rende simile al latte umano, tanto che esistono anche latti in formula realizzati a partire dal latte di capra.

Il latte di capra ha un sapore più ricco e cremoso rispetto al latte di mucca, con una leggera dolcezza che lo rende delizioso da gustare da solo o in varie ricette.

Stando a uno studio del Royal Melbourne Institute of Technology australiano, questi latti avrebbero una discreta varietà di oligosaccaridi e ne condividerebbero con il latte umano ben cinque, capaci di promuovere la crescita dei bifidobatteri “buoni” nell’intestino dei bimbi e limitando invece la proliferazione dei ceppi “cattivi”.

Non sono molto diffusi ma, se le ricerche ne confermassero le proprietà benefiche, potrebbero diventare un’opzione in più per un numero più ampio di lattanti.

Inoltre è facile da digerire. Molte persone che hanno difficoltà a digerire il latte di mucca possono tollerare meglio il latte di capra. Ciò è dovuto alla presenza di proteine più piccole e alla minore quantità di lattosio, il quale è il principale responsabile delle intolleranze al latte.

4. Bufala, pecora, cammella... e latti ancora più insoliti

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I loro latti sono più grassi e proteici rispetto al latte bovino, specialmente quelli di bufala e pecora, che però hanno anche sapori molto forti, per cui sono poco utilizzati (quello di bufala però è molto diffuso in India e Medio Oriente).

Il latte di cammella è impiegato largamente dalle popolazioni che vivono in aree desertiche e come il latte umano è privo della beta-lattoglobulina, la proteina considerata una delle cause principali della comparsa di allergia al latte vaccino; perciò c’è chi ne suggerisce l’impiego come base per latti in formula.

Sono circa venti le proteine del latte vaccino che possono dare allergie, oltre alla beta-lattoglobulina anche le caseine o la lattoferrina: latti da altri animali, ruminanti e non, sono perciò allo studio per capire se possano rivelarsi alternative adeguate per i bimbi allergici.

Certo non si trova al supermercato, ma per alcune popolazioni il latte di yak (foto sotto), di alce o di renna non è un cibo esotico. In Tibet, lo yak è l’equivalente della mucca e il suo latte, molto proteico, viene bevuto anche dall’uomo; il latte di renna, assai calorico, grasso ma disponibile in piccole quantità, in Siberia e Lapponia è usato soprattutto per produrre formaggi; anche il latte di alce, grasso e ricco di proteine, è munto in piccole quantità, e in Russia e Scandinavia è sporadicamente utilizzato per realizzare formaggio.

Pure il maiale produrrebbe latte, ma mungere una scrofa non è semplice perché l’animale non “collabora”; tuttavia tempo fa in Olanda è stato realizzato un formaggio suino, con non poca fatica degli allevatori. Non a caso, il prezzo era esorbitante: 3.000 euro al chilo.





5. I falsi miti sul latte

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Il latte da adulti fa male, siamo l’unica specie che lo beve dopo lo svezzamento, l’unica che consuma quello di altri animali... Sul latte, in special modo quello vaccino, circolano tante opinioni contrastanti che possono confondere le idee.

La scienza e il buonsenso, però, aiutano a fare chiarezza e, come spiegano i nutrizionisti, «è vero che il latte è un alimento specie-specifico, ma questo conta da neonati, quando per almeno sei mesi deve essere l’unico cibo e quindi fornire tutto ciò che serve. Per i piccoli non allattati al seno perciò non si usa il latte vaccino, ma prodotti in formula molto più simili a quello umano. Dopo lo svezzamento, però, il latte diventa un alimento come tutti gli altri: siamo l’unico animale a bere latte da adulto, ma siamo unici anche in molte altre prerogative. Aver imparato a nutrirci non solo di ciò che riuscivamo a raccogliere o a cacciare, ma anche della carne e del latte di animali allevati, ha consentito alla nostra specie di sopravvivere in aree difficili e aride dove l’agricoltura era quasi impossibile».

Il 70 per cento degli umani però crescendo “perde” del tutto o in parte l’enzima lattasi, necessario per digerire il lattosio: un indice del fatto che dovremmo smettere di bere latte? In realtà la maggioranza di queste persone non manifesta sintomi dell’intolleranza al lattosio e può introdurne 12 grammi in una volta, pari a una tazza di latte, senza alcun fastidio: sono pochi ad avere sintomi consistenti anche con poco lattosio.

Per di più, l’assenza di lattasi andrebbe vista come un’opportunità: il lattosio non digerito favorisce la crescita di batteri buoni nell’intestino e anche un maggiore assorbimento di calcio.

Questo minerale sarebbe anche la “vittima” della presunta acidificazione del pH indotta da latte e latticini, che ne impedirebbe l’assorbimento, ma le ricerche hanno confutato l’ipotesi e pure l’idea che il latte non protegga dalla osteoporosi: tutte le revisioni più recenti degli studi sul tema concordano, e nelle donne di razza caucasica e cinesi, per le quali i dati sono molto solidi, bere una tazza di latte al giorno diminuisce il rischio di fratture di almeno il 5%, con punte di oltre il 30% nelle più anziane.








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