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Libri da leggere assolutamente – L’ appuntamento mensile con i libri (Ottobre 2016)

Per questo mese di Ottobre 2016 vi proponiamo le 5 letture che più ci hanno colpito.

Ecco allora i nostri consigli su alcuni libri interessanti e ricordatevi sempre che “Leggere fa bene all’anima” e che “Un uomo che legge ne vale due”.

“I libri, loro non ti abbandonano mai. Tu sicuramente li abbandoni di tanto in tanto, i libri, magari li tradisci anche, loro invece non ti voltano mai le spalle: nel più completo silenzio e con immensa umiltà, loro ti aspettano sullo scaffale”. (Amos Oz)

1. "Mi chiamo Lucy Barton" di Elizabeth Strout

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Da tre settimane costretta in ospedale per le complicazioni post-operatorie di una banale appendicite, proprio quando il senso di solitudine e isolamento si fanno insostenibili, una donna vede comparire al suo capezzale il viso tanto noto quanto inaspettato della madre, che non incontra da anni.
Per arrivare da lei è partita dalla minuscola cittadina rurale di Amgash, nell'Illinois, e con il primo aereo della sua vita ha attraversato le mille miglia che la separano da New York. Alla donna basta sentire quel vezzeggiativo antico, "ciao, Bestiolina", perché ogni tensione le si sciolga in petto.
Non vuole altro che continuare ad ascoltare quella voce, timida ma inderogabile, e chiede alla madre di raccontare, una storia, qualunque storia.
E lei, impettita sulla sedia rigida, senza mai dormire né allontanarsi, per cinque giorni racconta: della spocchiosa Kathie Nicely e della sfortunata cugina Harriet, della bella Mississippi Mary, povera come un sorcio in sagrestia.
Un flusso di parole che placa e incanta, come una fiaba per bambini, come un pettegolezzo fra amiche. La donna è adulta ormai, ha un marito e due figlie sue.
Ma fra quelle lenzuola, accudita da un medico dolente e gentile, accarezzata dalla voce della madre, può tornare a osservare il suo passato dalla prospettiva protetta di un letto d'ospedale.
Lì la parola rassicura perché avvolge e nasconde. Ma è nel silenzio, nel fiume gelido del non detto, che scorre l'altra storia.

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C’è un’America che neanche sospetta dell’esistenza di un “sogno americano”. È fatta di persone che vivono in garage, furgoni, roulotte, di bambini che frugano nei cassonetti in cerca di caramelle, di padri reduci di guerra che coltivano granturco. I più coraggiosi di loro sono andati nel Midwest e hanno mandato via gli indiani, ma non sono da disprezzare, sono coloni che ce l’hanno fatta. Gli altri sono rimasti nelle loro cittadine di frontiera.
Di questa America noi europei fino a poco tempo fa non sapevamo nulla. Le stelle e le strisce, Hollywood e la musica pop, non hanno mai raccontato questa terra desolata e stanca che produce le pagine di letteratura contemporanea più belle del mondo, forse senza saperlo. Poi alcuni libri, di una bellezza “spietata”, finiscono nelle nostre case. Elisabeth Strout è una di queste autrici sorprendenti, capaci di raccontare l’America rurale con voce sincera e disarmante.
Il nodo centrale della sua poetica è l’idea che nessuno sia in grado di conoscere veramente gli altri. Nel suo romanzo precedente, un libro corale, familiare, I ragazzi Burgess, il punto cruciale del racconto era proprio questo senso di incapacità di cogliere la vera natura delle persone, a cui si sopperisce spesso, nella provincia, con le chiacchiere e i pettegolezzi.
In questo nuovo romanzo, invece, la riflessione si fa più raffinata e introspettiva; il non detto, la pausa e l’attesa diventano gli elementi più significativi del romanzo.
In poco più di 150 pagine, la scrittrice premio Pulitzer racconta il rapporto tra una madre e una figlia interrotto molti anni prima, quando la ragazza lascia la casa dei genitori in Illinois per seguire gli studi. Da allora le due donne non si sono mai più riviste.
Lucy, che nel frattempo si è sposata, ha avuto due figlie ed è andata a vivere a New York, non tornerà più nella misera casa dei suoi genitori, dove ha trascorso un’infanzia di privazioni. Il suo amore per la lettura e la sua naturale inclinazione alla solitudine le hanno consentito di andare al college grazie alle borse di studio, per poi intraprendere una piccola carriera di scrittrice.
Improvvisamente, però, tutto si ferma. La malattia irrompe nella vita di Lucy, che si vede costretta in un letto d’ospedale. Dalla sua finestra scintilla il grande grattacielo Chrysler, ed è l’unica cosa che riesce a vedere per molti giorni, visto che suo marito e le sue figlie, presi da numerosi impegni, le fanno visita molto di rado. Dopo i primi giorni di assoluto silenzio e torpore, senza preavviso, Lucy vede comparire accanto al suo letto sua madre.
È una visione quasi onirica all’inizio. I lineamenti sbiaditi, la voce stentorea e i sedativi rendono questa presenza soltanto tratteggiata, eterea. Poi le due donne, quasi che non fossero in effetti due estranee, iniziano a parlare. La madre, in maniera fitta e precipitosa, racconta le sue storie di provincia, di Kathie Nicely lasciata dal marito, di Annie Appleby che è diventata famosa e triste, del fratello che dorme nella stalla con gli animali che il giorno dopo andranno al macello.
Chiacchiere che dicono tanto ma non rivelano niente di nessuno. Nemmeno una parola su suo padre e le sue crisi, nemmeno un accenno al loro matrimonio che si trascina come una peso da moltissimi anni, solo considerazioni superficiali e vacue sulle vite e i fallimenti altrui, chiamati in causa come fossero appigli per salvare se stessi. Ma a queste chiacchiere da cui è fuggita molti anni prima, Lucy adesso si aggrappa disperatamente, perché disperato è il bisogno di sentire sua madre vicina.
In questo libro troviamo un fulgido esempio di come un rapporto interrotto e tralasciato per anni, possa lentamente e a fatica riaffiorare in superficie. Nel racconto di Lucy c’è tutta la sua vita: i figli, gli studi, gli artisti che incontra a New York e il suo rapporto con la scrittura. Chiamarla auto-fictionsarebbe riduttivo, quasi offensivo. Elisabeth Strout racconta la storia di Lucy Barton calandosi nelle sue profondità più oscure, per poi risalire lasciando sulla pagina sprazzi di vita prismatica, illuminante (La recensione di IBS).

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«Un romanzo perfetto, nelle cui attente parole vibrano silenzi. Mi chiamo Lucy Barton offre una rara varietà di emozioni, dal dolore piú profondo fino alla pura gioia». - Claire Messud, The New York Times

«Strout si conferma una narratrice grandiosa di sfumate vicende famigliari, capace di tessere arazzi carichi di saggezza, compassione, profondità. Se non l’avesse già vinto con Olive Kitteridge, il Pulitzer dovrebbe essere suo per questo nuovo romanzo». - Hannah Beckerman, The Guardian

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Elizabeth Strout (Portland (Maine), 6/1/1956), vive a New York con il marito e la figlia, ed è originaria del Maine.
Ha insegnato letteratura e scrittura al Manhattan Community College per dieci anni e scrittura alla New School. Suoi racconti sono apparsi in numerose riviste, tra le quali il «New Yorker».
Con Amy e Isabelle (2000), acclamato da pubblico e critica, e vero e proprio caso editoriale, il suo primo romanzo, è stata finalista al PEN/Faulkner Prize e all'Orange Prize, e ha vinto il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award per l'opera prima e il Chicago Tribune Heartland Prize.
Con Olive Kitteridge (2009) ha vinto il Premio Pulitzer.
Citiamo anche Resta con me (2010) e I ragazzi Burgess (2013). Nel 2016 pubblica con Einaudi Mi chiamo Lucy Barton.

2. "L'amica geniale" di Elena Ferrante

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Il romanzo comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità.
L'autrice scava nella natura complessa dell'amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto.
Narra poi gli effetti dei cambiamenti che investono il rione, Napoli, l'Italia, in più di un cinquantennio, trasformando le amiche e il loro legame.
E tutto ciò precipita nella pagina con l'andamento delle grandi narrazioni popolari, dense e insieme veloci, profonde e lievi, rovesciando di continuo situazioni, svelando fondi segreti dei personaggi, sommando evento a evento senza tregua, ma con la profondità e la potenza di voce a cui l'autrice ci ha abituati.
Si tratta di quel genere di libro che non finisce. O, per dire meglio, l'autrice porta compiutamente a termine in questo primo romanzo la narrazione dell'infanzia e dell'adolescenza di Lila e di Elena, ma ci lascia sulla soglia di nuovi grandi mutamenti che stanno per sconvolgere le loro vite e il loro intensissimo rapporto.

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Elena Ferrante (Napoli 1943) è una scrittrice italiana. È nata a Napoli, città che ha abbandonato presto per vivere a lungo all’estero. Dal suo primo romanzo, L’amore molesto, è stato tratto l’omonimo film di Mario Martone; dal romanzo successivo, I giorni dell’abbandono, è stata realizzata la pellicola di Roberto Faenza.
L'elusività che circonda l'autrice ha alimentato un piccolo, ma tenace mistero nella comunità letteraria.
Nel corso del tempo Ferrante è infatti stata identificata con Goffredo Fofi, autore delle sole due interviste che le siano state fatte; con Domenico Starnone, scrittore napoletano, soprattutto a seguito delle analogie che alcuni critici hanno ravvisato fra L'amore molesto e un romanzo dello stesso Starnone, Via Gemito; infine di Ferrante si è vociferato che altri non fosse che Anita Raja, moglie di Starnone, traduttrice dal tedesco e redattrice in forze presso E/O, casa editrice che pubblica l'opera della scrittrice.
Nessuna fra queste ipotesi ha trovato sino ad oggi conferma.
Ferrante si produce poi in un'operazione ambiziosa, che riscuoterà molto successo: L'amica geniale è il titolo di un ciclo romanzesco dedicato all'amicizia fra due donne, composto di quattro libri usciti fra il 2011 e il 2014 (L'amica geniale, Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta).
Grazie a L'amica geniale, Ferrante entra nella cinquina dei finalisti del Premio Strega, edizione 2015.

3. "7-7-2007" di Antonio Manzini

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"Lo sai cosa lasciamo di noi? Una matassa ingarbugliata di capelli bianchi da spazzare via da un appartamento vuoto".
Rocco Schiavone è il solito scorbutico, maleducato, sgualcito sbirro che abbiamo conosciuto nei precedenti romanzi che raccontano le sue indagini.
Ma in questo è anche, a modo suo, felice. E infatti qui siamo alcuni anni prima, quando la moglie Marina non è ancora diventata il fantasma del rimorso di Rocco: è viva, impegnata nel lavoro e con gli amici, e capace di coinvolgerlo in tutti gli aspetti dell'esistenza. Prima di cadere uccisa. E qui siamo quando tutto è cominciato.
Nel luglio del 2007 Roma è flagellata da acquazzoni tropicali e proprio nei giorni in cui Marina se ne è andata di casa perché ha scoperto i "conti sporchi" di Rocco, al vicequestore capita un caso di bravi ragazzi.
Giovanni Ferri, figlio ventenne di un giornalista, ottimo studente di giurisprudenza, è trovato in una cava di marmo, pestato e poi accoltellato. Schiavone comincia a indagare nella vita ordinata e ordinaria dell'assassinato.
Giorni dopo il corpo senza vita di un amico di Giovanni è scoperto, in una coincidenza raccapricciante, per strada. Matteo Livolsi, questo il suo nome, è stato finito anche lui in modo violento ma stavolta una strana circostanza consente di agganciarci una pista: non c'è sangue sul cadavere.
Adesso, l'animale da fiuto che c'è dentro Rocco Schiavone può mettersi, con la spregiudicatezza e la sete di giustizia di sempre, sulle tracce "del figlio di puttana"...

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Le prime frasi del romanzo:
«United united united we stand, united we never shall fall!».
Aprì gli occhi e si tirò su di scatto. «Ma che...?». Lupa allarmata dai movimenti del padrone aveva alzato le orecchie. La musica veniva dall’appartamento accanto.
«United united united we stand, united we stand one and all!». Ritmo tribale, schitarrate catarrose e distorte, un coro ignorante con uno slogan da cerebrolesi. L’heavy metal, il tipo di musica al quale quel brano distorto si poteva ascrivere, era per Rocco Schiavone al settimo posto nella sua graduatoria delle rotture di coglioni. Se suonato poi alle tre e quarantacinque di notte, saliva di diritto al nono. "Porca troia!" urlò e si alzò dal letto.
Dopo 10 giorni aveva preso confidenza col nuovo appartamento di via Croix de Ville, non però con i vicini. Soprattutto i dirimpettai. Gli toccava andare a fare una visita. Alternative non ce n’erano. Aprì la porta, il freddo delle scale lo investì, tornò in casa, si infilò il loden direttamente su boxer e maglietta e uscì di nuovo a piedi scalzi. Bussò. Nessuna risposta. La musica era udibile anche sul pianerottolo.
«So keep it up, don’t give in...».
Bussò ancora premendo il campanello e percuotendo la porta coi pugni.
Improvvisamente tutto tacque. Seguirono passi veloci. Un graffiare sul legno, segno che il vicino stava osservando dallo spioncino.
«Sì, sono Schiavone, il vicino. Apra!».
E la porta si aprì. Apparve un ragazzo di neanche 16 anni. Brufoli, capelli lunghi, una maglietta bucata degli Iron Maiden, in mutande, con la pelle bianca come la pancia di un pesce. «S... sì?».
«Sì? Mi dici sì? Porca troia, sono le tre e 45 e ti metti a suonare quella merda a tutto volume?».
Il ragazzo incassò la testa nelle spalle. «Mi scusi. Io pensavo che non ci fosse nessuno».
«E pensi male. So’ dieci giorni che abito qui. E agli altri inquilini poi non pensi?».
«È tutto vuoto il palazzo. I Benaix sono andati in Olanda, e anche i Candiani sono partiti. Mi scusi, se avessi saputo...».
«Be’ ora lo sai. Mettiti una cuffia e sparati i Judas Priest a palla di cannone, dei tuoi timpani non me ne frega niente!».
Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Conosce i Judas Priest?».
«Certo. Erano un gruppo quando ero ragazzo io. Com’è che li conosci tu, invece!».
Il vicino alzò timidamente la mano destra, le dita a formare le corna, disse «Rock’n roll will never die!» e sorrise.
«Ma sei deficiente o che?» gli chiese Rocco. «Va a dormire, cicci, che domani hai scuola. Mi risvegli co’ sto schifo e ti faccio sbranare da Lupa!».
Il ragazzo parve accorgersi solo in quel momento del cane. «Uh! Bellino».
«Bellina!».
«Che razza è?».
«Un Saint Rhemy en ardennes».
Il ragazzo scoppiò a ridere. «Esiste una razza così?».
«Se esiste un gruppo come i Judas Priest sì, esiste anche una razza così».
«Io mi chiamo Gabriele».
«E sti cazzi» rispose Rocco. Non gli era passata ancora la rabbia. Si girò e tornò nel suo appartamento.
Di dormire non era più cosa. Dopo una doccia rapida e la pappa a Lupa, lui e il cane erano usciti di casa. L’alba stava sbavando di rosa il cielo e i tetti di Aosta erano umidi. Voleva fare colazione, un caffè doppio, due brioches e guardare piazza Chanoux prendere lentamente i colori del nuovo giorno che si annunciava splendido, dal momento che non una nuvola si aggirava fra i comignoli spenti ormai da più di un mese. Si guardò le scarpe, il sedicesimo paio di Clarks che aveva acquistato in 10 mesi, il paio più fortunato. Con un po’ di sforzo potevano addirittura arrivare al prossimo inverno. Un vento leggero, freddo ma non gelato, gli accarezzava il volto. Lupa si bloccava ad ogni angolo ad annusare i messaggi lasciati la sera prima dagli altri cani. Lui invece si fermò all’edicola a prendere il giornale.
Non poté credere ai suoi occhi mentre leggeva l’articolo in terza pagina.

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Antonio Manzini (Roma, 7/8/1964), attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l'antologia Crimini.
Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi).
Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007).
Un suo racconto è uscito nell'antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012).
Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014).
Nel 2015 pubblica Non è stagione (Sellerio), Era di maggio (Sellerio) e Sull'orlo del precipizio (Sellerio). Del 2016 è Cinque indagini romane per Rocco Schiavone (Sellerio).

4. "Lo stupore di una notte di luce" di Clara Sanchez

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È una notte stranamente luminosa. Una notte in cui il buio non può più nascondere nulla.
Lo sa bene Sandra, mentre guarda suo figlio che dorme accanto a lei. Ha fatto il possibile per proteggerlo. Ma nessuno è mai davvero al sicuro.
Soprattutto ora che nella borsa dell’asilo ha trovato un biglietto. Poche parole che possono venire solo dal suo passato: «Dov’è Julián?». All’improvviso il castello che Sandra ha costruito crolla pezzo dopo pezzo: il bambino è in pericolo.
Sandra deve tornare dove tutto è iniziato. Dove ha scoperto che la verità può essere peggio di un incubo. Dove ha incontrato due vecchietti che l’hanno accolta come una figlia, ma che in realtà erano due nazisti con le mani sporche di sangue innocente, che inseguivano ancora i loro ideali crudeli e spietati.
È stato Julián ad aiutarla a capire chi erano veramente. Lui che, sopravvissuto a Mauthausen, ha cercato di scovare quei criminali ancora in libertà. Lui ora è l’unico che può conoscere chi ha scritto quel biglietto e perché.
Julián sa che la sua lotta non è finita, che i nazisti non si sono mai arresi. Si nascondono dietro nuovi segreti e tradimenti. Dietro minacce sempre più pericolose. E quando il figlio di Sandra viene rapito, l’uomo sente che bisogna fare qualcosa e in fretta.
Perché in gioco c’è la vita di un bambino. Ma non solo. C’è una sete di giustizia che non può ancora essere messa a tacere. Clara Sánchez regala finalmente ai suoi lettori il libro che aspettavano con ansia, il seguito di uno dei romanzi più venduti e amati degli ultimi anni: Il profumo delle foglie di limone, un milione di copie vendute solo in Italia, ancora in classifica a cinque anni dall’uscita.
L’unica autrice spagnola ad aver vinto i tre più prestigiosi premi letterari del suo paese: Alfaguara, Nadal e Planeta, con Lo stupore di una notte di luce torna a raccontare di Sandra e Julián. Torna a raccontare di una verità sconvolgente che pochi conoscevano. Una storia indimenticabile sulla forza delle scelte e il coraggio di non tradirle.
Sulla impossibilità di dimenticare il male e sulle colpe che devono essere punite. Una storia di amore e speranza là dove nessuno crede possa essercene ancora.

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L'incipit del romanzo
PROLOGO
Nacque alle undici e mezzo del mattino, e fin dal primo istante facevo fatica a separarmi da lui. Restavo imbambolata a contemplarlo, affascinata: era un miracolo. La sua pelle rosa e gli occhi socchiusi, attraverso i quali entravamo a poco a poco noi che lo circondavamo, concentravano il potere di tutti i poteri misteriosi.
Lo chiamai Julián, che con il passare dei giorni gli altri, senza che potessi fare niente per evitarlo, pian piano trasformarono in Janín. E non spiegai mai né a Santi ­­­– il padre del bambino – né alla mia famiglia il motivo di quel nome.
Non avrebbero capito perché un uomo che avrebbe potuto essere mio nonno e che era entrato da poco nella mia vita avesse più influenza su di me rispetto a loro. Neanch’io lo avrei capito. I legami forti sono riservati all’amore o alla famiglia, non a un estraneo di ottant’anni con cui prima non si è condiviso niente.
Santi mi diceva che la mia esperienza a Dianium mi aveva rivoltato come un calzino. Ed era vero, adesso m’interessava soltanto crescere Janín, guadagnare per lui, e non mi preoccupavo se mi annoiavo o meno, se questo era ciò che desideravo oppure no. Non ci pensavo neanche. In me era nata la smania di proteggere quello che avevo. Se mi ero resa conto di qualcosa, a Dianium, era di quanto sia facile che ti rubino l’anima a poco a poco, senza che tu te ne accorga.
Avevo smesso di vedere la vita dalla parte dei desideri impossibili e anche di quelli possibili. Di fronte alla morte, lo dico con il cuore in mano a chiunque voglia ascoltarmi, i desideri smettono di avere anche solo la minima importanza.

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«È in classifica da cinque anni con il bestseller Il profumo delle foglie di limone, un fenomeno editoriale che fa scuola. Ora arriva il seguito. La scrittrice spagnola riapre la storia del suo libro più famoso. Una nuova avventura della giovane e tormentata Sandra e dell'anziano e saggio Juliàn.» Mario Baudino, ttL-La Stampa

«Clara Sànchez è la scrittrice spagnola più amata nel nostro paese fin dai tempi del Profumo delle foglie di limone.» Annarita Briganti, la Repubblica

«Un'autrice che ha venduto un milione di copie, da anni in classifica.» La Lettura — Correre della Sera

«Come le nuvole nel cielo di Madrid, i fortunati romanzi di Clara Sánchez volano per mesi o anni in vetta alle classifiche.» Corriere della Sera

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Clara Sanchez, Guadalajara, 1/3/1955: la sua infanzia è connotata dai molti viaggi compiuti al seguito della famiglia, per gli spostamenti dovuti al lavoro del padre.
Laureatasi in filologia spagnola presso l'Università Complutense di Madrid, ha in seguito eletto la capitale a propria residenza.
Sin dal conseguimento della sua laurea, ha insegnato alla Università nazionale per l'educazione a distanza.
Sánchez ha scritto prefazioni a moltissimi libri di autori stranieri (fra i quali ricordiamo Yukio Mishima), ha collaborato con diversi periodici nazionali, ed è stata occasionalmente collaboratrice della serie televisiva ¡Qué grande es el cine!
Il suo romanzo d'esordio, Piedras preciosas, ha ricevuto al suo apparire (1989) un ottimo riscontro di critica. Filo conduttore dell'opera di Sánchez è una prosa intimistica, capace di mettere a nudo le iniquità e inadeguatezze del mondo contemporaneo grazie anche ad una buona dose di humour cinico.
Nel 2010 Sánchez ha ricevuto il Premio Nadal per il suo romanzo Il profumo delle foglie di limone, un thriller psicologico i cui protagonisti includono un sopravvissuto spagnolo al campo di concentramento di Mauthausen-Gusen e una giovane donna in crisi, il cui percorso incrocia quello di un'anziana coppia di nazisti sulla Costa del Sol.
Nel 2012 esce La voce invisibile del vento e nel 2013 è la volta di Entra nella mia vita.
Del 2014 Le cose che sai di me vincitore del Premio Planeta, del 2015 invece Le mille luci del mattino.
Nel 2016 esce La meraviglia degli anni imperfetti che vede ancora come protagonista un adolescente, che lentamente scopre come tutto intorno e dentro di lui stia cambiando.
Tutti i libri dell'autrice sono pubblicati in Italia da Garzanti.





5. "Teutoburgo" di Valerio M. Manfredi

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È un giorno di sole quando Armin chiama suo fratello Wulf, per mostrargli un prodigio: la costruzione della "strada che non si ferma mai".
Una meraviglia che li lascia senza fiato, il miracolo tecnico dei nemici romani, capaci di creare dal nulla una strada che attraversa foreste, fiumi, paludi e non devia nemmeno davanti alle montagne.
Improvvisamente i due sentono dei rumori: è una pattuglia romana. Armin e Wulf sono catturati dai soldati. Nel loro destino però non c'è la morte, né la schiavitù.
Perché Armin e Wulf sono figli di re. Sigmer, il loro padre, è un guerriero terribile e fiero, principe germanico rispettato e amato dalla sua tribù.
La sua sola debolezza era l'amicizia segreta con Druso, il grande nemico, il generale romano precocemente scomparso, che Sigmer, di nascosto, ha imparato a conoscere e ad ammirare. Ma di questa ammirazione nulla sanno i due giovani.
Devono abbandonare la terra natale e il padre, per essere condotti a Roma. Sono principi, per quanto barbari. Saranno educati secondo i costumi dell'Impero, fino a diventare comandanti degli ausiliari germanici delle legioni di Augusto.
Sotto gli occhi dell'inflessibile centurione Tauro, mezzosangue germano convertito all'amore e alla fedeltà verso Roma, impareranno una nuova lingua, adotteranno nuove abitudini, un modo diverso di pensare.
E come possono Armin e Wolf, cresciuti nei boschi, non farsi incantare dai prodigi di Roma? Non solo la strada, ma anche gli acquedotti, i templi, i palazzi meravigliosi.
I due ragazzi diverranno Arminius e Flavus, il biondo, cittadini romani, due giovani guerrieri, stimati da tutta Roma, capaci di conquistarsi la fiducia dello stesso princeps Augusto.
Ma il richiamo del sangue è davvero spento in loro? La fedeltà agli avi può portare alla decisione di tradire la terra che li ha adottati a favore di quella che li ha generati?
Valerio Massimo Manfredi torna al romanzo e racconta, unendo alla perfezione esattezza storica e respiro epico, la storia straordinaria e mai narrata prima di due fratelli, due guerrieri, le cui scelte hanno portato a Teutoburgo, lo scontro decisivo tra Romani e Germani, la battaglia che ha cambiato il destino dell'Impero Romano e del mondo.

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Valerio Massimo Manfredi (Modena, 1943), scrittore, archeologo, topografo del mondo antico, ha condotto spedizioni archeologiche in molte località del Mediterraneo.
Dopo essersi laureato in Lettere Classiche all'Università di Bologna è subito entrato nel mondo dell'archeologia, specializzandosi in topografia del mondo antico all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ha insegnato nella stessa Università Cattolica dal 1980 all'86, per poi iniziare un’intensa carriera accademica prima all'Università di Venezia (1987) e dopo presso prestigiose Università americane fino alla Loyola University of Chicago, all'Eçole Pratique des Hautes Etudes della Sorbona di Parigi e alla Bocconi di Milano.
Tra gli anni Settanta e gli Ottanta ha progettato e condotto le spedizioni Anabasi per la ricostruzione sul campo dell'itinerario della ritirata dei Diecimila, ma sono numerose le sue partecipazioni a campagne di scavo: Lavinium, Forum Gallorum, Forte Urbano in Italia. Prestigiose quelle condotte in terra straniera come ad Har Karkom, in Israele e la Campagna di ricognizione e rilievo con Timothy Mitford sul sito del “Trofeo dei Diecimila” in Anatolia orientale (2002).
Ha tenuto conferenze e seminari in alcuni dei più prestigiosi atenei come il New College di Oxford, University of California Los Angeles, lectio magistralis alla National University of Canberra (Australia), inoltre lectio magistralis all'Università dell'Avana, Cuba, Universidad de Antiochia, Medellin (Colombia), Universidad de Bilbao, Universidad Internacional Menendez Pelayo (Tenerife) e molte altre.
Saggista, giornalista, sceneggiatore e brillante divulgatore, si è affermato come scrittore di grande successo internazionale con la trilogia "Aléxandros", da cui è stato tratto un film. Tra i suoi saggi: La strada dei Diecimila (1986), Le isole fortunate (1990); con Luigi Malnati Gli Etruschi in Val Padana (1991); con Lorenzo Braccesi Mare greco (1992) e I greci d'Occidente (1996); con Vencenslav Kruta I celti d'Italia (1999).
Tra le opere di narrativa: Palladion, Lo scudo di Talos, L'oracolo, Le paludi di Hesperia, La torre della solitudine, Il faraone delle sabbie, Chimaira, Il tiranno (2003), L'impero dei draghi (2005), L'ultima legione (2007), Idi di marzo (2008), Otel Bruni (2011), la serie "Il mio nome è Nessuno" (2012-2014).
Per ragazzi ha pubblicato Il romanzo di Alessandro (2005) e Il romanzo di Odisseo (2014).








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